Roberta Collu Psicologa Perinatale

Roberta Collu Psicologa Perinatale Psicologa in continua evoluzione e trasformazione!

A volte, noi adulti non siamo del tutto consapevoli del peso che i nostri comportamenti hanno sui bambini, che essendo a...
05/02/2025

A volte, noi adulti non siamo del tutto consapevoli del peso che i nostri comportamenti hanno sui bambini, che essendo amorevoli e leali, fanno di tutto per renderci felici.

Il comportamento perfezionistico, caratterizzato dal “dovere” essere perfetto a tutti i costi e in tutti gli ambiti in cui il soggetto si esprime quotidianamente, è una modalità di funzionamento che si sviluppa attraverso le prime interazioni con l’ambiente.

Il bambino può apprendere che l’amore e l’approvazione degli adulti significativi sono condizionati dai livelli di performance raggiunti.

Questo può accadere a casa, dove le aspettative genitoriali sono eccessivamente elevate oppure dove il bambino impara per imitazione dai modelli, riproducendo i comportamenti perfezionistici osservati nei genitori.
Oppure a scuola dove gli insegnanti possono essere più attenti alla didattica che alla formazione umana incoraggiando e premiando solo i primi della classe,
il pomeriggio durante le attività sportive dove l’allenatore può trasmettere la necessità di vincere piuttosto che divertirsi… e così via.

Il compito degli adulti non è quello di aspettarsi qualcosa dai bambini.

Le aspettative possono essere completamente sganciate dalla realtà di quel bambino. Il rischio è che l’adulto cerchi di fare in modo che il piccolo corrisponda ad all’immagine ideale del bambino perfetto: il figlio perfetto, l’alunno perfetto, il giocatore perfetto.

Ma il bambino reale perderà sempre questo confronto e se gli adulti continueranno su questa scia egli sentirà di non essere all’altezza di un ideale irraggiungibile e la frustrazione lo accompagnerà sempre.

É importante sostenere i bambini per evitare che sviluppino un basso livello di autostima e reazioni di ansia legate alla paura del fallimento e del giudizio altrui. Osserviamoli, ascoltiamoli e accettiamoli per le loro peculiarità perché sviluppino buone competenze emotive, relazionali e un autentica accettazione di sé e dell’altro!

Una prima spiegazione potrebbe trovarsi nella risposta biologica alle situazioni percepite come pericolose. La reazione ...
06/09/2024

Una prima spiegazione potrebbe trovarsi nella risposta biologica alle situazioni percepite come pericolose.

La reazione a questi stimoli è governata dall’amigdala, un complesso di neuroni a forma di mandorla che si trova nella parte più interna di entrambi i lobi temporali del cervello.

Se l’amigdala percepisce una minaccia, invia un messaggio all’ipotalamo, una piccola struttura cerebrale che a sua volta sollecita il rilascio di potenti ormoni dello stress.

Si scatena la cosiddetta reazione di attacco o fuga: l’adrenalina mantiene il corpo in una situazione di allerta, accelera il battito cardiaco e fa in modo che arrivi più sangue ai muscoli, così che siamo pronti a scattare.
L’ormone cortisolo fa aumentare la pressione sanguigna, i vasi attorno agli organi si dilatano irrorandoli di ossigeno e nutrienti, il respiro si fa più veloce e al cervello arriva più ossigeno, i livelli di glucosio nel sangue aumentano e il corpo è pervaso da una speciale energia.

Questa reazione è immediata e molto rapida.

L’amigdala “decide” che uno stimolo fa paura ancora prima che ne siamo consapevoli. Solo in un secondo tempo l’informazione viene mandata alla corteccia, lo strato più esterno, il cervello pensante associato a ragionamento, memoria e coscienza.

Quando finalmente decidiamo che il pericolo è scampato e che la paura era esagerata, a questo tsunami chimico segue il rilascio di endorfine e dopamina, gli ormoni del benessere che ci ricompensano con sensazioni di euforia.

Se la chimica ha senz’altro un suo ruolo nel farci “apprezzare” la paura, c’è anche un aspetto istruttivo e insieme sociale che rende le esperienze terrificanti utili occasioni per imparare.

Le situazioni che ricreano la paura in condizioni di sicurezza come i film, i libri e le serie dell’orrore sono un modo per allenare la nostra capacità di reagire all’incertezza: potremmo considerarli un manuale di istruzioni per future situazioni critiche.

⭐️ Prosegui la lettura nei commenti per saperne di più…

Quando in stanza, la terapia è rivolta alla cura del proprio dolore emotivo cerco sempre di fare comprendere l’importanz...
05/09/2024

Quando in stanza, la terapia è rivolta alla cura del proprio dolore emotivo cerco sempre di fare comprendere l’importanza dello “stare nel dolore”.

Spesso si è sfuggenti, evitanti e indisposti ad accogliere e ascoltare la propria sofferenza emotiva.

Tuttavia è solo attraverso l’accoglienza e l’ascolto del proprio dolore che si può iniziare a intraprendere un percorso di cura e guarigione!

In questo percorso di guarigione interiore c’è il grande cammino della ricomposizione delle fratture emotive del passato, della pacificazione con le nostre parti irrisolte, dell’ammorbidimento verso le nostre incongruenze, dell’accettazione dell’incompiutezza.

Riuscire a guardarsi dentro a fondo e con coraggio, per ricomporsi e ricongiungersi è la grande opportunità e il grande dono, se accolta che il dolore porta con sé.

Alla fine non è importante quanto a lungo si viva, ma che si arrivi a chiudere gli occhi sereni, con la sensazione di aver vissuto davvero, in senso profondo, presenti a se stessi, e non alienati, nella gioia come nel dolore, davvero pacificati, in armonia.

E’ un cammino di alleggerimento dalla pesantezza a volte greve della vita, e da tutto l’inessenziale e l’effimero di cui ci facciamo vanto.

Gestire il proprio dolore interiore diventa quindi un lasciare che “il dolore sia semplicemente quello è”, senza cercare di anestetizzarlo, allontanarlo o negarlo.

Piuttosto accogliamo il nostro dolore psicologico con gentilezza, come faremmo con una persona cara che sta soffrendo e concediamo a noi stessi uno spazio ed un tempo circoscritti per sperimentarlo, considerando che le onde delle emozioni col tempo diventeranno più piccole e più diradate.

Ricordiamo a noi stessi di iniziare da dove siamo ora e con quello che abbiamo a disposizione, una sola azione coerente con ciò che è importante nella nostra vita è un passo in più verso un’autentica felicità.

La terapia è un dono che si sceglie di fare a se stessi. Il dono di uscire da una vita vissuta in modo automatico e inco...
04/09/2024

La terapia è un dono che si sceglie di fare a se stessi.

Il dono di uscire da una vita vissuta in modo automatico e inconsapevole per raggiungere nuove consapevolezze e significati da attribuire agli eventi della propria vita.

Terapeuta e paziente stabiliscono un’alleanza che muove verso obiettivi comuni che riguardano la salute mentale e fisica del paziente.

Infatti il paziente accompagnato dal terapeuta all’interno del percorso di cura, si impegna per adottare nuovi punti di vista rispetto al suo consueto modo di pensare, sentire e agire e raggiungere così il cambiamento desiderato.

Grazie alla relazione che si instaura tra paziente e terapeuta, fiducia e intimità circolano liberamente nella stanza, generando nel paziente un ventaglio di emozioni piacevoli che vanno a modificare format e funzionamenti guidati dal senso di sfiducia e rassegnazione che possono aver caratterizzato le sue precedenti relazioni intime, primariamente quelle di attaccamento.

In questo clima di accoglienza e di ascolto, il paziente può attuare una ristrutturazione dei propri schemi cognitivi e comportamentali che, fino a quel momento, si sono rivelati inefficaci e disadattivi.

Con pazienza e impegno, imparerà ad entrare in contatto con il proprio mondo interiore, scoprendo e dando espressione alle emozioni, spesso tenute a bada e inespresse.

Numerosi studi, oggi, testimoniano come la Psicoterapia agisca sui meccanismi cerebrali andando a modificarli, attraverso un cambiamento dell’attività funzionale di alcune aree del cervello, in particolare Amigdala e Neocorteccia, ed una riorganizzazione dell’attività neuronale con il potenziamento di nuove connessioni sinaptiche a cui si accompagna un diverso sentire.

Sappiamo inoltre che tutte le emozioni che sperimentiamo momento per momento rilasciano nel corpo specifiche molecole, ormoni, neurotrasmettitori, neuropeptidi, di conseguenza promuovere nel paziente la nascita di emozioni positive nei confronti di se stesso e del mondo significa portare il suo corpo a rispondere con la produzione e la messa in circolodi molecole che generano benessere e salute.

Togliere il pannolino è una fase delicata nella crescita del bambino e comporta nuove consapevolezze e significati educa...
22/08/2024

Togliere il pannolino è una fase delicata nella crescita del bambino e comporta nuove consapevolezze e significati educativi.

Come togliere il pannolino e quando farlo sono due delle principali domande che la maggior parte dei genitori si pongono intorno ai 18/24 mesi del bambino, cercando di capire a che età iniziare lo “spannolinamento” e le modalità più efficaci per riuscirci!

Ciò che oggi sappiamo, grazie alle ricerche scientifiche, è che l’approccio utilizzato deve riconoscere i bisogni del bambino e i suoi tempi di sviluppo.

Dunque deve essere un approccio “centrato sul bambino” !

É il bambino a diventare protagonista attivo dell’intero processo e i genitori devono aspettare che sia pronto ad abbandonare il pannolino, individuando alcuni segnali della sua volontà e consapevolezza, senza fretta o pressioni.

Dal punto di vista pedagogico, parlare solo di “spannolinamento” è riduttivo. Ciò che dovrebbe interessare non è unicamente il risultato finale (togliere il pannolino), ma soprattutto come ci si arriva, cosa succede nel frattempo e il significato educativo per la crescita del bambino.

Educare alla conoscenza e alla cura del proprio corpo, all’autonomia, scoprire la dimensione dell’intimità, la capacità di ascoltarsi, fare nuove esperienze, sono questi gli obiettivi educativi di largo respiro che dovremmo avere in mente anche quando pensiamo a come far sì che il nostro bambino smetta di utilizzare il pannolino.

Avremo bisogno di tempo e gradualità, e sarà molto importante il tipo di relazione che instauriamo con il bambino, l’ascolto dei suoi bisogni e la proposta di diverse esperienze.

Al momento della nascita, nel tempo che la precede è in quello che la segue, la cura, le attenzioni, l’interesse e la pr...
09/07/2024

Al momento della nascita, nel tempo che la precede è in quello che la segue, la cura, le attenzioni, l’interesse e la presenza per la madre é un aspetto imprescindibile!

É una necessità, un’ esigenza e un dovere!

Essere genitori è una vera sfida, dato che non solo bisogna suddividere il tempo al meglio, ma bisogna anche essere coer...
01/07/2024

Essere genitori è una vera sfida, dato che non solo bisogna suddividere il tempo al meglio, ma bisogna anche essere coerenti in ciò che diciamo e facciamo, dato che i nostri figli, anche se non ce ne accorgiamo, osservano tutto e modellano il modo in cui si comportano sulla base di quanto vedono.

Inconsciamente, i nostri figli imitano i nostri gesti, le nostre azioni, il nostro modo di parlare e persino il nostro modo di relazionarci con gli altri. Questo va di pari passo con il fatto che sono emotivamente legati a noi in quanto genitori.

Dopo il parto le donne sono spaventate, stanche, schiacciate da una maternità per la quale non sono mai abbastanza prepa...
24/06/2024

Dopo il parto le donne sono spaventate, stanche, schiacciate da una maternità per la quale non sono mai abbastanza preparate.

Hanno grandi difficoltà a ritrovarsi e a riconoscersi allo specchio come mamme. Non “si piacciono”. I segni della gravidanza e del parto sono ancora tutti lì e non c’è il tempo per dedicarsi a se stesse nemmeno per un attimo. La notte non si dorme e la stanchezza sembra trascinare con se ogni gioia e ogni entusiasmo.

Ci vuole un salvagente, una maniglia forte, un sostegno emotivo capace immettere nel sistema energiche iniezioni di fiducia e di stima.

La cosa migliore che può fare un papà per il suo bambino è accarezzare la mamma! Accarezzarla e poi accarezzarla e poi accarezzarla.
Con le carezze delle mani e del corpo sono indispensabili ed anche quelle emotive, per sottolineare che la mamma è bella, brava, buona e che ce la farà benissimo, che il papà c’è e la ama, che il bambino che ora ha tra le sue braccia è stupendo.

Una mamma che si sente supportata, apprezzata e amata dal compagno aumenta i suoi livelli di endorfine cerebrali, di ossitocina e prolattina.

Con questi mediatori il latte diventa tantissimo e lo stress si riduce. Si abbassano nel circolo sanguigno i livelli di cortisolo e di adrenalina e quindi migliora la disponibilità, si riduce la stanchezza, cambia l’umore. Torna il sorriso ma soprattutto l’entusiasmo!

Un bambino tra le braccia di una mamma felice, che lo allatta, gli sorride, lo coccola e gli canta le ninne nanna gode di un potente effetto rilassante che influenza tutto il sistema neuroendocrino.

Tutte queste esperienze emotive precoci “scrivono” nel cervello del neonato circuiti neurali che resteranno come un timbro per tutta la vita come un sistema operativo. Grazie all’esperienza e percezione di avere una mamma sicura affidabile e capace di rispondere ai bisogni.

Entrare in una relazione terapeutica vuol dire portare nella stanza del terapeuta, ancora prima della domanda specifica,...
20/06/2024

Entrare in una relazione terapeutica vuol dire portare nella stanza del terapeuta, ancora prima della domanda specifica, un bisogno più o meno consapevole di affidarci a qualcuno e, potendogli stare di fronte, aprire la porta del nostro mondo più intimo e privato perché ci accompagni a esplorarlo pian piano.

Per fare questo, per affidarci all’altro e affidargli il nostro mondo interiore, ci vuole fiducia!

Avere fiducia nel terapeuta vuol dire rischiare di aprirsi e aprendosi verificare che cosa ci torna indietro in termini di emozione, accettazione e appartenenza.

É percorrendo questo rischio che può stabilirsi quella che viene chiamata alleanza terapeutica, indispensabile per il percorso di cura.

L’alleanza funziona nel senso che rende possibili dei movimenti altrimenti impensabili.

Andare in psicoterapia offre l’opportunità unica di poter sperimentare questi movimenti, esprimendo emozioni come la rabbia, il dolore, la paura e vedendo che cosa accade quando le contattiamo e le mettiamo in parole, immaginando in che modo e in quali situazioni concrete della nostra esistenza potremmo iniziare a utilizzarle.

Mettere in moto questo processo è la chiave per attuare dei cambiamenti anche apparentemente minimi da un punto di vista di passi da compiere, ma di grande portata sulla vita.

Imparare infatti a utilizzare le proprie risorse e scoprire risorse che non immaginavamo di avere è un passo fondamentale per acquisire fiducia in noi stessi, per sentire che realizzarci personalmente è qualcosa di possibile nel campo degli affetti e dei sentimenti, nel campo professionale, nel campo relazionale familiare e con il gruppo dei pari.

Quando terapeuta e paziente entrano in relazione, costruiscono un legame che durante tutta la psicoterapia ha la funzione di fare da sfondo rassicurante e contenitivo a un processo di crescita.

Ecco perché é fondamentale che il paziente si senta accolto, compreso, contenuto e non giudicato.

Libero di potersi raccontare senza paure e censure all’interno di uno spazio sicuro e protetto.

Il nostro naso è una vera e propria porta di “accesso fisico” al nostro mondo emotivo. Il nostro olfatto è intimamente l...
17/06/2024

Il nostro naso è una vera e propria porta di “accesso fisico” al nostro mondo emotivo. Il nostro olfatto è intimamente legato al nostro cervello.

Quando le molecole dell’odore di un profumo si connettono all’epitelio del nostro naso, viene inviato un segnale al bulbo olfattivo una piccola e sofisticata struttura posizionata appena sopra i nostri occhi dando inizio ad un viaggio nel tempo che ci farà percepire ricordi ed emozioni come reali.

Gli stimoli olfattivi sono le uniche percezioni che non passano per il talamo ma che sono percepite immediatamente.

Il resto dei sensi (la vista, l’udito, il gusto e il tatto), invece, devono percorrere una lunga strada prima di arrivare alle zone del cervello che si occupano della memoria e delle emozioni.

L’olfatto è l’organo sensoriale più vicino all’ippocampo, una delle strutture cerebrali responsabili della nostra memoria, ed è collegato al sistema limbico, che è il centro emotivo del cervello.

Non è un caso che bulbo olfattivo e ippocampo siano così vicini. Infatti, l’odore è connesso fortemente alla memoria episodica.

Il nostro cervello ha indelebilmente associato le esperienze vissute e gli odori in cui queste si sono svolte. Basta che quell’odore si ripresenti, perché immediatamente dal nulla si ridesti in noi il ricordo e l’emozione dell’episodio ad esso associato.

Ecco perché un odore, un profumo appena sentito, riesce a risvegliare ad anni di distanza dettagli ed emozioni connesse a quel profumo.

Come in altre situazioni di difficile gestione educativa, il mio primo suggerimento è quello di porre l’attenzione sul c...
13/06/2024

Come in altre situazioni di difficile gestione educativa, il mio primo suggerimento è quello di porre l’attenzione sul contesto, osservandone le caratteristiche.

Messi in disparte il nostro giudizio e la preoccupazione, offriamo a noi stessi l’opportunità di porci delle domande utili:

-quando si scatena questo comportamento?

-Dopo una lunga giornata fuori, in cui il piccolo è stanco?

-Ogni volta che un bambino gli sottrae il gioco?

Queste e altre simili domande sono utili a circoscrivere il comportamento e valutare quando sia possibile prevenirlo ad esempio.
Anticipare le reazioni dei più piccoli non è sempre fattibile, ma resta un ottimo modo per guidare in modo più dolce e meno diretto i bambini.

Nei primi tre anni, tre anni e mezzo di vita, i bambini e le bambine sono ancora, da un punto di vista sociale, agli eso...
12/06/2024

Nei primi tre anni, tre anni e mezzo di vita, i bambini e le bambine sono ancora, da un punto di vista sociale, agli esordi delle loro competenze di interazione: stanno edificando, costruendo la casa delle loro skill sociali.

In questo contesto, i comportamenti come morsi e graffi sono manifestazioni normali, tipiche e fisiologiche che bambini e bambine utilizzano nel loro percorso di costruzione delle abilità socio-emotive e che sono del tutto non intenzionali.

Noi adulti tendiamo a pensare al morso, al graffio e agli altri atteggiamenti aggressivi come a una manifestazione volontaria legata a rabbia, frustrazione, delusione o disappunto.

In realtà si tratta di comportamenti istintivi, involontari, che non hanno mai l’obiettivo di arrecare un danno all’altro o fare del male, ma sono finalizzati alla protezione/difesa e all’interazione con il pari.

Quando ci troviamo di fronte a bambine e bambini che mordono, assistiamo a una forma di comunicazione che anticipa il loro sviluppo linguistico.

Noi genitori, educatrici ed educatori abbiamo il compito di comprendere questa forma di comunicazione e di vederla come un segnale che necessita di essere interpretato, decodificato e tradotto.

Purtroppo, non abbiamo a disposizione un traduttore simultaneo del linguaggio non verbale dei bambini dagli zero ai tre anni: per comprendere bambini e bambine la via maestra è quella di osservarli, ascoltarli e stare loro vicino.

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Ciao e benvenuto nella mia pagina!

Sono Roberta una psicologa esperta in “Perinatalità”, in continua evoluzione e trasformazione.

Sono madre di due splendidi bambini e l’aver vissuto due gravidanze e l’essermi trovata di fronte a tante difficoltà, fragilità, insicurezze che accomunano molte famiglie, mi ha portata ad avvicinarmi al mondo della perinatalità.

Ho, quindi deciso di intraprendere un percorso formativo (rivelatosi di estrema importanza per il mio sviluppo personale e professionale), appunto, in ambito perinatale.

A oggi uno dei miei principali obiettivi è quello di promuovere e tutelare la salute delle famiglie, fornendo sostegno e ascolto ai genitori affinché siano consapevoli del loro ruolo, soprattutto, ma non solo, nel periodo che ruota attorno alla nascita.