15/03/2024
L’occasione liturgica della riapertura al culto della Chiesa San Giuseppe in Pachino sortisce in me ricordi, emozioni e sentimenti, mai sopiti, sempre gelosamente custoditi nel cuore e nella mente, come atti fondanti del carattere, della personalità e dell’approccio all’esistenza, che non hanno trovato discontinuità alcuna. Anche quando le sofferenze e i patemi della vita sembravano essere riconducibili, almeno alla mia mente scientifica, a quell’educazione moralmente ed eticamente “rigida” ricevuta, fin dalla più tenera età, sui banchi dell’Asilo e nella Liturgia della Parola e nella Mensa Eucaristica della piccola chiesetta di via San Martino.
Per questo le sorti della Chiesa Nuova non mi lasciano mai indifferente, ma mi ricordano sempre il legame indissolubile con quell’esperienza umana, tanto religiosa quanto civile e sociale, inaugurata nel lontano 1954.
Non è per vantare meriti, assolutamente non ne ho alcuno, ma solo per correttezza storica che ricordo che io (avevo appena tre anni) come Giovanni, Enzo, Sebastiano, Corrado, Cettina, Sara, Marisa e tanti altri, siamo stati parte di quell’”alba” voluta tenacemente dal parroco Vincenzo Spiraglia.
Era il 1954, avevo appena compiuto tre anni, e dalla lontana Rivolta d’Adda arrivarono la Suore Adoratrici del SS. Sacramento, cinque in tutto. Come non ricordarle una ad una: suor Michela la direttrice austera e direttiva, suor Colombina, mia maestra, forse la più amata di tutte per la sua grande dolcezza, suor Raffaella grande affettuosità con le mamme e maestra di cucina, suor Elena l’intellettuale e animatrice culturale, suor Serafina la “burbera” che nascondeva anch’essa sotto l’apparente rigidità e severità una grande dedizione alla sua missione. In meno di un anno, riuscirono nell’intento di aprire l’asilo che fu intitolato al “Patriarca San Giuseppe” cui fu dedicata, subito dopo, anche la Parrocchia.
A guidare l’evangelizzazione di quella “periferia dello spirito” più che del corpo, fu chiamato l’indimenticato ed indimenticabile sacerdote padre Paolo Gangi, appena dopo un anno di vice-parroco alla Matrice. Riporto ciò che scrissi nel mio “Pachino incontro con la storia Volume unico” a proposito dell’azione pastorale di padre Paolo:
“Nel gennaio del medesimo anno viene eletto parroco il sac. Paolo Gangi, già vice-parroco della Chiesa Madre. Nato a Noto di madre di origine trentina, Gangi è un giovane sacerdote di buona cultura e animato da spirito missionario. Intuisce, già dalla prima ora che si è assunto un compito gravoso, portare il Vangelo in una realtà sociale con poche presenze culturali e sostanzialmente dominata da analfabetismo di massa. Comprende che nella maggioranza di quelle tremila anime che gli sono affidate ciò che manca è il senso dell’appartenenza, il sentirsi parte di una comunità di comune destino. E a questo dedica, per tutto il periodo del suo parrocato e fino al 1976, anno in cui viene trasferito ad altra sede, tempo risorse ben coadiuvato dalle suore. Le ferite della guerra si rimarginano gradualmente grazie all’attività sinergica del parroco e delle suore. Le attività più tipicamente religiose, dal catechismo alle varie forme di liturgia, vengono sempre affiancate da attività ludiche, sportive e, soprattutto, gite parrocchiali. E sono proprio queste che cementano nella coscienza del popolo affidatogli i valori umani di solidarietà e disponibilità ai bisogni dell’altro, che in poco tempo ne fanno una comunità di uomini e di credenti. Le gite parrocchiali, tra le attività elettive, a San Corrado, alla Madonna della Scala, al Santuario di Valverde alle pendici dell’Etna, consentono a Ganci e alle suore di coniugare evangelizzazione e formazione umana e sociale, e in poco tempo una moltitudine di sperduti abitanti di periferia diventa una comunità di persone e di credenti.
Al sac. Gangi e a quel piccolo originario gruppo di suore va riconosciuto il merito di avere svolto un ruolo sociale di fondamentale importanza nella Pachino degli anni ’50. Supplirono, per almeno un ventennio, con il loro Asilo San Giuseppe, lo Sato assente, che non riteneva ancora che la crescita umana, sociale e culturale dovesse iniziare molto prima dell’ingresso nella scuola elementare. Una lezione di laicità proprio da chi ci si aspettava una chiusura di religiosità”.
La Chiesa nuova, è bene non dimenticarlo, fu progettata e fortemente voluta da padre Paolo, e le prime risorse economiche furono date dai parrocchiani. Stimolati uno ad uno cedevano mensilmente un “piccolo obolo” per la sua costruzione.
Ma veniamo all’oggi e alla consueta illuminante omelia del Pastore della Chiesa netina, mons. Salvatore Rumeo. Ciò che mi colpisce della sua pastorale di vescovo della Nostra Diocesi, che emerge prepotentemente in tutte le sue uscite pubbliche, la dimensione di “paternità sacerdotale”, che in Lui non è solo declarata linguisticamente nei suoi tanti scritti e nelle sue omelie, ma praticata nel concreto della vita reale, nel rapporto con i suoi “figli sacerdoti”, con le parrocchie della Diocesi cui non fa mancare il suo apporto pastorale e umano, nella relazione con i singoli credenti con cui si intrattiene amorevolmente, non già da “principe della Chiesa” ma da Padre attento che sa coniugare “la misericordia tema biblico centrale” lungo “i sentieri della vita quotidiana”, a lenire la sofferenza altrui.
In fondo “lo stile del farsi carico, dell’uscire verso le periferie esistenziali, del prendersi cura, del farsi prossimo, dell’essere accanto alle sofferenze dell’umanità” di papa Francesco è il suo stesso medesimo stile, incarnato nella sua azione pastorale. Ne sperimentiamo un chiaro esempio nell’attenzione paterna ch’Egli sta dedicando alla nostra Pachino, in tutte le sue dimensioni pastorali, che sono di evangelizzazione, di sostegno umano e sociale, anche a quando pare individuale ove non manca di esercitare questa paternità in favore dei più deboli e bisognosi, e financo politiche nel senso più nobile del concetto.
Nell’omelia mons. Salvatore ha toccato diversi e fondamentali temi molto cari alla sua pastorale vescovile, e ha esortato la Chiesa locale e i credenti tutti a “uscire dall’intimismo ecclesiale prendendo l’iniziativa e, soprattutto, aprendosi alle periferie”. La missione della Chiesa è “andare verso gli altri e prendersi cura fraternamente di tutti”. E di questo I care mons. Salvatore Rumeno è un esempio vivente.
Così come per papa Francesco, anche per il Nostro Vescovo “La misericordia è l’attributo di Dio per eccellenza”. E per Lui come per il santo Padre la misericordia è lungi dall’essere una cosa statica e fredda, un sostantivo, essa è invece “un verbo”, nel suo gerundio “miserando” “perde la sua staticità di atto e di fatto, e diventa azione, nel senso di un processo: non è più un fatto, ma energia potente di vita”.
È quel che noi fedeli di Pachino cogliamo, non solamente nei suoi scritti, per tutti il recente “La mistica della strada e il vangelo della gioia e della misericordia”, ma soprattutto nella sua azione pastorale quotidiana e nella vicinanza che da un anno stiamo sperimentando noi della periferia pachinese.
Dobbiamo ringraziare Iddio per averci dato questo vescovo e questo pastore, e il Vescovo medesimo per tutto quanto sta facendo per la ri-evangelizzazione delle genti di Pachino.