03/07/2025
Ho la fortuna di potermi confrontare con ben due equipe di colleghi, lavorando in due contesti diversi (La Nostra Famiglia per l'età evolutiva, Gruppo Empathie per l'età adulta). Osservo costantemente come ogni professionista abbia la sua "parola", ovvero un concetto che trova centrale nel suo lavoro, nella relazione con il paziente, nell'interazione con i contesti che ruotano attorno alla persona. La mia "parola" è CONSAPEVOLEZZA. C'è sempre nelle mie risposte, nei materiali che uso, nelle cose che condivido. Credo fortemente che la CONSAPEVOLEZZA sia la chiave del percorso di benessere della persona neurodivergente.
Nell'età evolutiva mi trovo genitori e insegnanti che mi dicono che, una volta ricevuta la diagnosi, il bambino o l'adolescente la usa come scusa.
Non è vero.
È un bisogno di dare un nome a ciò che la persona neurodivergente vive, è un modo per condividere e rendere partecipe l'altro.
"Parlo di me", non "mi giustifico".
In altri piccoli pazienti, invece, emerge forte il bisogno di usare le parole corrette per comprendere i propri vissuti. Anche i più piccoli, ognuno con i propri tempi e modi, hanno bisogno di nominare nel modo giusto le cose.
Nei percorsi valutativi, con tutti, bambini, adolescenti, adulti, il livello di consapevolezza è determinante, sia per definire al meglio il percorso stesso, sia per arrivare ad una descrizione completa e puntuale delle caratteristiche della persona.
Spesso la diagnosi è quel confine che permette alla persona di mettere ordine e fare chiarezza. E togliersi sensi di colpa o la percezione di essere sbagliati.
La mia "parola" è e continuerà ad essere sempre CONSAPEVOLEZZA!