08/12/2020
Ultimamente sta montando un clima ostile nei confronti dello sciopero dei dipendenti pubblici del prossimo 9 dicembre. L'eco comune delle voci di dissenso suona più o meno così: “capiamo le ragioni dello sciopero ma giudichiamo inopportuno il momento per farlo”. Spieghiamo perché la pensiamo diversamente.
Punto 1
Ricordiamo che il precedente rinnovo del Contratto nazionale, avvenuto nel 2018, aveva portato, dopo ben 9 anni di lotte, ad un aumento di soli 85 euro lordi nella busta paga dei dipendenti pubblici.
Il contratto è scaduto nel 2018, le risorse economiche per il rinnovo 19/21 si devono reperire nelle leggi finanziarie che vengono approvate ogni anno. Le risorse fin qui destinate ai rinnovi contrattuali sono insufficienti. Chi parla di 107 euro di media deve anche specificare che in quella cifra rientrano anche i dirigenti della PA, rientrano i Prefetti per esempio.
Se le risorse rimarranno quelle i 107 euro si tradurranno per alcune categorie del comparto non dirigenziale in circa la metà dell’ultimo rinnovo contrattuale, intorno a 40 euro lordi al mese.
Questo sciopero viene proclamato perché dal governo non è arrivata alcuna risposta dopo la proclamazione dello stato di agitazione. Di norma si viene convocati per tentare un accordo….silenzio assoluto.
Viene proclamato in questo momento perché è l’ultima occasione per riuscire ad ottenere risorse aggiuntive con l’ultima legge finanziaria del triennio. Il prossimo anno si discuteranno le risorse del triennio successivo. E questo sarà chiuso definitivamente.
Stiamo parlando di 3 milioni e duecentomila dipendenti che percepiscono poco più che 1.200 euro al mese.
È una situazione che va urgentemente sanata. In questi mesi, per il rinnovo dei CCNL e visto l’atteggiamento refrattario di Confindustria sul tema, hanno praticamente scioperato i lavoratori di tutte le categorie e nessuno ha fiatato.
Non si capisce perché questo diritto dovrebbe venir negato ai dipendenti di pubblici.
Punto 2
La cronica e insostenibile carenza di personale.
Decenni di riduzioni del personale del settore pubblico hanno messo in ginocchio la sua capacità di erogare servizi.
Dietro espressioni come “razionalizzazione del personale” e “tagli della spesa pubblica” si è celato il taglio sistematico di migliaia di dipendenti con inevitabili conseguenze sulla qualità dei servizi erogati.
In tutte le strutture pubbliche vi è carenza: negli ospedali, nelle scuole, nelle questure e prefetture e in generale negli uffici degli enti e delle agenzie pubbliche.
Ci si lamenta dei disservizi ma mai nessuno che li colleghi ai tagli al personale perpetrati in questi anni.
Per decenni si è imposto il blocco delle assunzioni e la non sostituzione del personale andato in pensione e il risultato è che, adesso, in questa emergenza sanitaria, l'età media dei dipendenti pubblici è di 55 anni, tra le più alte di Europa.
Bisognerebbe avere l'umiltà di riconoscere che aver tagliato per anni le risorse destinate al personale pubblico è stato un enorme errore. E invece, con l'ultima manovra, dal Governo nessun segnale in questa direzione.
In un paese normale non si metterebbe in contrapposizione dipendenti pubblici e dipendenti privati.
Non si può speculare sulle oggettive e reali difficoltà del mondo del lavoro autonomo e privato per attaccare le lavoratrici e lavoratori dei servizi pubblici.
Le disparità tra lavoratori pubblici e privati non si risolvono togliendo diritti ai primi, ma aumento le tutele ai secondi.
Perché la proposta di iniziativa popolare promossa dalla CGIL attraverso la raccolta di 5 milioni di dfirme giace in qualche cassetto in parlamento? La carta dei diritti universali delle lavoratrici e dei lavoratori aveva come obiettivo proprio di parificare a tutelare maggiormente i lavori poveri. Per lo stesso lavoro stessi diritti, stesso salario.
Punto 3
La sicurezza dei lavoratori pubblici. È sotto gli occhi di tutti l'enorme tributo che hanno pagato sul fronte dei contagi e delle vittime al Covid.
Non solo tra il personale sanitario degli ospedali o delle case di riposo.
Anche tra gli insegnanti, tra le forze dell'ordine, tra gli impiegati degli uffici territoriali e ministeriali si contano un numero altissimo di contagiati.
È la palese dimostrazione che i lavoratori non sono stati sufficientemente protetti.
E questo è profondamente ingiusto perché se la macchina Stato ha retto l'urto della prima ondata di questa pandemia lo dobbiamo proprio ai dipendenti pubblici che hanno continuato a farne funzionare gli ingranaggi.
Non sono eroi, sono persone che lavorano, ed hanno la pretesa di farlo senza ammalarsi o morire.
Anche per questo è giusto scioperare il 9 dicembre.
È davvero inopportuno scioperare in questo momento?
Ma quando è opportuno uno sciopero e quando smette di esserlo?
La pandemia pone problemi grossi per il paese e le persone in carne e ossa.
Soprattutto richiede la capacità di pensare e progettare un futuro migliore in cui il disastro di oggi sia irripetibile.
Assunzioni e stabilizzazioni, ammodernamento e riqualificazione della PA, sono condizioni fondamentali per la ripresa dopo la crisi economica di qualche anno fa e quella causata dall’emergenza sanitaria di oggi.
La stessa presidente della Commissione Europea ha ricordato alla Bocconi che le risorse oggi messe a disposizione dell’Italia per il rilancio dovranno saper investire per migliorare la PA, tutta e non a pezzi (la presidente ha citato a esempio la giustizia).
Il contratto di lavoro non è solo soldi.
Avere un contratto è una questione di diritti!
Il virus ha solo svelato le nostre fragilità eppure c'è ancora chi si ostina a non voler vedere “il re nudo”, neanche adesso che con la pandemia sono giunti al pettine i nodi creati da anni di scelte sbagliate che hanno portato solo disagi ai cittadini e prodotto un clima di masochistica ostilità nei confronti dei dipendenti pubblici. Non capire le ragioni dello sciopero del 9 dicembre significa non aver capito questo e aver concesso al virus anche l'ultima parola sui diritti fondamentali dei lavoratori.
Enrico Ciligot
Fp Cgil Padova