Dott.ssa Anna Zanardo - Psicologa Psicoterapeuta

Dott.ssa Anna Zanardo - Psicologa Psicoterapeuta Studio di Psicologia e Psicoterapia a Padova

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31/03/2024

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🕊️ In questo periodo di Pasqua, desideriamo estendere a tutti un augurio di pace e serenità. Possa ciascuno trovare armonia e connessione con le persone importanti nella propria vita, alimentando i valori di tolleranza, rispetto e inclusione che ci uniscono.

L'Ordine delle Psicologhe e degli Psicologi del Veneto vi augura una Pasqua luminosa simbolo di speranza in cui i legami che forgiano la nostra umanità possano rafforzarsi e fiorire. 🌿

07/03/2024

ELOGIO DELL’IMPERFEZIONE E DELLA DIVERSITA'
Ci stiamo avvicinando al centenario della nascita di Franco BASAGLIA, la persona che forse più di ogni altra ha rivoluzionato l’idea di nel Novecento.
Lo ricordiamo con alcune frasi che ne mostrano l’attualità e sottolineano la necessità di continuare a leggerlo per muoverci in questi tempi dove la è uno dei grandi temi.

Questa frase, una delle più note, “𝗩𝗶𝘀𝘁𝗼 𝗱𝗮 𝘃𝗶𝗰𝗶𝗻𝗼 𝗻𝗲𝘀𝘀𝘂𝗻𝗼 𝗲̀ 𝗻𝗼𝗿𝗺𝗮𝗹𝗲”, parla all’oggi, soprattutto alle/agli che vivono una fragilità indotta anche da immaginari prestativi e da modelli di , e veicolati dai social.

Viola Ardone, insegnante e scrittrice, a riguardo recentemente ha scritto:

«L’eredità di Basaglia è soprattutto nella radicale del concetto di e di , tutta la sua vita è stata un elogio dell’ , una demolizione costante dell’idea che esista un a cui l’umanità debba conformarsi. E oggi, a 100 anni dalla sua nascita e a 44 dalla sua morte, 𝗾𝘂𝗲𝘀𝘁𝗮 𝗶𝗱𝗲𝗮 𝗽𝘂𝗼̀ 𝗲𝘀𝘀𝗲𝗿𝗲 𝘀𝗮𝗹𝘃𝗶𝗳𝗶𝗰𝗮 𝘀𝗼𝗽𝗿𝗮𝘁𝘁𝘂𝘁𝘁𝗼 𝗽𝗲𝗿 𝗹𝗲 𝗻𝘂𝗼𝘃𝗲 𝗴𝗲𝗻𝗲𝗿𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗶, cresciute sotto il fardello del “ " e di una che chiede loro risultati da raggiungere a tutti i costi».

19/11/2023

[Giulia, e tutti noi]

Difficile commentare i fatti drammatici di questi giorni.
Quanto è avvenuto ci richiama spazi di "Indicibile", e difficilmente elaborabile.

Tanti elementi in questa storia alimentano la nostra inquietudine e la potenziale identificazione in quanto successo (chi non ha pensato "poteva succedere anche a me, o a una persona che conosco", "quante volte in passato ho sottovalutato qualcosa", "come mi sentirei se fossi uno dei parenti"?).

La giovanissima età dei protagonisti, l'apparente "normalità" della situazione da studenti avviati alla vita adulta - anche se sappiamo troppo poco di quanto intercorso, l'esordio della vicenda, che poteva anche far sperare in un esito diverso.

Psicologicamente, è il Perturbante che irrompe nella quotidianità.
E l'angoscia che ci porta a voler chiudere, in poche righe di un post, trovando una soluzione semplice ad un evento così complesso e doloroso.

Leggiamo prese di posizione nette e telegrafiche ("buttiamo via la chiave"); spiegazioni a volte molto semplicistiche; affermazioni ideologiche, accanto a commenti collusivi e deresponsabilizzanti. Leggiamo rappresentazioni collettive utili a sedare l'ansia e potersi dire "a me o a mia figlia non capiterà mai, basta che stia un po' attenta...".

La nostra mente cerca disperatamente di trovare modelli più rassicuranti del mondo, in cui il male non esiste, o è comunque prevedibile, o è comunque sempre evitabile: "Se solo avessimo fatto X invece che Y"... così, tacitando la nostra inquietudine diffusa.
Tutto, per rassicurarci davanti al fantasma dell'incontrollabile che può emergere nelle nostre vite a volte in maniera inattesa, sottovalutata o insidiosa.
Una rassicurazione per sedare gli errori di tutti, e le responsabilità collettive.

Allora, che fare?
Qual è la causa prima che ha portato via Giulia?

L'astratto "elemento sociale" che è così generico da non chiamare in causa responsabilità individuali?
Una "cultura delle relazioni" troppo spesso disfunzionale?
L'assenza di un'attenzione diffusa alla salute mentale, anche in fase giovanile?
L'assenza strutturale di programmi di educazione affettiva nelle scuole?
Di servizi psicologici facilmente accessibili?
La cultura tossica dello "spogliatoio maschile"?
I genitori che non formano fin da piccoli alle emozioni i figli maschi, o che non insegnano le figlie femmine a far rispettare i confini?

Non c'è soluzione "unica e semplice".
Il macro e il micro sono strettamente uniti, nella nostra complessità psichica e relazionale e qualunque spiegazione che coinvolga esclusivamente i "massimi sistemi", o isoli il "caso singolo eccezionale" per spiegare tutto questo, è incompleta.

I comportamenti sono individuali, ma maturano per anni in una dinamica familiare. E si esprimono e convalidano in una matrice gruppale. E beneficiano o meno di interventi istituzionali, educativi, clinici che possono cambiarli. Tutto questo, all'interno di una cornice socioculturale e mediatica collettiva, che ci influenza ampiamente.

È davvero quindi il momento di pensare a "interventi di sistema", che si muovano su più livelli, senza sperare o illudersi che una singola soluzione risolva temi così trasversali.
Abbiamo bisogno di lavorare sulle dinamiche culturali, lo dobbiamo e possiamo fare a partire dal costruire contenitori familiari adeguati, dal sostenere percorsi di genitorialità, dal rendere più agevole l'accesso ai servizi, dal diffondere logiche di gruppo più supportive tra i giovani.

Dobbiamo - ed è fondamentale - inserire strutturalmente un pensiero, e *solidi e ampi percorsi di educazione affettiva e relazionale*, fin dalle prime fasi della formazione scolastica, dedicandovi risorse credibili e adeguate: è ineludibile elemento di civismo relazionale, e di crescita personale.

Non è l'inserire un'ora isolata di "educazione alle emozioni" in un programma scolastico che può, da sola, cambiare magicamente qualcosa, se questa "CURA DELLE RELAZIONI" non diventa una sensibilità e dimensione diffusa in tutti i contesti, per i giovani e per gli adulti.
Abbiamo bisogno di responsabilizzare sulla "qualità delle relazioni, e delle relazioni di genere" anche gli insegnanti, gli allenatori sportivi, gli educatori degli oratori e dei campi estivi...

E in generale serve investire molto di più in psicologia (nelle scuole, come nei servizi per i giovani, gli adulti e i genitori): perché il ritorno dell'investimento in termini sociali e individuali è enormemente maggiore del suo costo, e a volte senza prezzo.

Infine, dobbiamo abituarci ad avere sguardi e attenzioni collettive, da "piccolo villaggio": reti familiari, amicali, compagni di studio, persone forse a conoscenza di alcune difficoltà... ognuno può e deve fare qualcosa, essere più presente, portare chi è in difficoltà a farsi aiutare.
Rielaboriamo quanto è successo, chiedendoci responsabilmente se i nostri contenitori gruppali e relazionali sono uno strumento che dobbiamo usare con meno imbarazzi ed esitazioni, per sostenerci insieme quando vediamo che qualcosa non va.

Un pensiero forte va ora a chi rimane, e che dovrà rielaborare uno "strappo biografico", i cui lembi saranno difficili e dolorosi da ricucire.

24/06/2023

“La decisione della Procura di Padova di impugnare 33 atti di nascita di figlie e figli di coppie omogenitoriali e di spezzare un legame ormai suggellato nei primi anni di vita in alcune bambine e bambini, deve spingerci ad aprire un dibattito serio sui diritti dei minorenni”.
Così l’Ordine degli Psicologi del Veneto e l’Ordine degli Assistenti Sociali del Veneto che, dopo essersi confrontati in questi giorni sui fatti al centro delle cronache, hanno scelto per la prima volta di assumere una posizione congiunta

https://www.quotidianosanita.it/m/lavoro-e-professioni/articolo.php?articolo_id=114948&fbclid=IwAR2nXSob55Vp6O3N7dMOugKN8LLiafWKCUY7w_yCArvqt1vXpKcdJd9FVHM_aem_AS403r8UbXRGG5JCSXrsfRK6X--42lMY1bjwxzjPg-VC4T6tgOdbvpsqpcpkp-c8jHQ

Ogni situazione che metta in discussione la legittimità e stabilità della propria famiglia può generare inevitabile confusione e stress, con potenziali ripercussioni sulla salute mentale dei bambini e anche degli adulti coinvolti, sottolieano gli Ordini professionali

17/05/2023

Le immagini e le notizie di queste ore ci colpiscono nel profondo. Vedere i nostri territori stravolti e le nostre comunità in difficoltà è davvero toccante.

Per questo teniamo a esprimere la nostra vicinanza alle famiglie delle vittime e a tutte le comunità colpite dalle alluvioni. Come Ordine, anche attraverso la rappresentanza del GdL “Psicologia dell'emergenza”, oggi pomeriggio saremo in Regione insieme alle ASL e alle associazioni di psicologia dell'emergenza per coordinare azioni a sostegno a cittadine e cittadini e per offrire la nostra disponibilità.

Tante psicologhe e tanti psicologi dell'emergenza sono impegnati in questi giorni (e lo saranno in futuro) per offrire un supporto psicologico competente a chi ne sente il bisogno e per prevenire situazioni di malessere. A loro, e a tutti gli operatori coinvolti, va il nostro più sentito grazie.

09/04/2023
L'appello della studentessa scuote l'aula magna: "Siamo stanchi di piangere coetanei uccisi dalla competizione"È interve...
15/02/2023

L'appello della studentessa scuote l'aula magna: "Siamo stanchi di piangere coetanei uccisi dalla competizione"

È intervenuta alla cerimonia di inaugurazione dell'anno accademico dell'università di Padova e le sue parole hanno scosso l'aula magna. Emma Ruzzon, presidente del consiglio dei 70mila studenti del Bo (nome della storica sede dell'Ateneo), ha denunciato il "sistema merito-centrico e competitivo" dell’università italiana, che ha portato anche a casi di suicidio tra gli studenti. Con il fiocco verde appuntato sulla giacca, simbolo della salute mentale, ha chiesto case per i fuori sede, borse di studio e sostegno psicologico. Ecco il suo accorato appello davanti alla ministra dell'Università e della ricerca Anna Maria Bernini e alla rettrice Daniela Mapelli.

https://video.repubblica.it/cronaca/l-appello-della-studentessa-scuote-l-aula-magna-siamo-stanchi-di-piangere-coetanei-uccisi-dalla-competizione/438224/439190?ref=RHCV-BG-I367295185-P1-S2-T1&fbclid=IwAR2W_P6Qtl6bDZPjb8hBHxoIWHcdCnkWz26vMqCaMbtIxNmNCTK6Ja9BjoQ

È intervenuta alla cerimonia di inaugurazione dell'anno accademico dell'università di Padova e le sue parole hanno scosso l'aula magna. Emma Ruzzon, presidente del consiglio dei 70mila studenti del Bo (nome della storica sede dell'Ateneo), ha denunciato il 'sistema merito-centrico e competitivo' d...

14/02/2023

Potentissima.
È appena stata pubblicata sulla pagina di questa nuova sua opera.
Sì intitola Valentine’s Day Mascara.
Proprio il giorno di San Valentino Banksy decide di ricordarci l’essenziale.
Non è amore se fa male.

24/01/2023

[ Di Maternità e narrazioni tossiche ]

Questa sono io.
Credo fosse un pomeriggio di maggio. Mia figlia aveva quasi due mesi.
Questa sono io che dormo con mia figlia su di me che aveva smesso di ciucciare da poco.
Questa sono io che mi sono addormentata mentre allattavo e non ho rimesso mia figlia nella next to me. Questa sono io stanca.
Perché no, "la notte non è l'altra metà del giorno per una mamma" o ancora "vuole abbandonarsi al sonno ma lei non lo fa" come alcune tristi e patetiche vignette che stanno circolando in queste settimane ci vogliono fare credere. Io qui stavo proprio dormendo, abbandonata assolutamente al mio sonno che non è il punto da demonizzare.

Sono le narrazioni tossiche invece che vanno demonizzate, quelle ci ci dicono che le mamme non dormono mai, che devono essere sempre vigili. Quelle che impongono un rooming - in senza valutare se la neo mamma sia serena a riguardo, se senta di potercela fare, banalmente valutando come sia andato il parto.
Quelle che ci dicono che "noi sappiamo come si fa, perché si è sempre fatto così, perché ci dobbiamo fidare nel nostro istinto".
Quelle che ci parlano di istinto quando un istinto non esiste, non si nasce madri, madri lo si diventa. Quelle che ci parlano di allattamento esclusivo come "la via Lattea" (Antonio mio, ma che brutto scivolone con quella metafora religiosa).
Quelle che ci impongono la Montessori, la disciplina dolce, l'autosvezzamento senza tenere minimamente conto non solo della madre che si ha di fronte ma, soprattutto, del bambino, delle sue preferenze e della sua personalità in formazione.

Sono quelle le narrazioni da demonizzare, quelle che vogliono farci credere che esista un solo modo per essere madre.
Sono quelle le narrazioni da cui fuggire a gambe levate perché sono quelle a farci sentire inadeguate, spaventate, non all'altezza.
È questo modo in cui la società di oggi intende la maternità come fosse un "One woman show" a cui dobbiamo opporci, l'essere ancora sole nei reparti senza la possibilità di assistenza e sostegno ciò che dobbiamo combattere, non la nostra stanchezza.

Questa sono io. E sono stanca.

24/01/2023

L’autopsia dirà se il bimbo di Anna, nome di fantasia, è morto davvero per soffocamento. Saranno i giudici, invece, a dire se qualcuno ha colpe specifiche per la sua morte. Quello che resta di questa storia, però, è lo squallore di una pratica ospedaliera fredda, scostante, affidata a protocolli che servono più alla tutela legale del personale sanitario che alla salute dei pazienti.
Dobbiamo dire di nuovo, da psicoterapeuti, e con più forza, fino a farci sentire da tutti, che la nascita di un bambino è ogni volta un evento insieme miracoloso e pieno di rischi. Che una partita importante per la salute mentale del bambino e di sua madre si gioca nelle prime ore e nei primi giorni di vita. Che la costruzione di un ambiente umano adatto alla importanza dell’evento dovrebbe essere una priorità assoluta per i luoghi del parto e del puerperio. Che la condivisione col padre e con i famigliari dovrebbe essere favorita con entusiasmo e non subita da un personale stanco ed inaridito dai protocolli. Che la presenza di psicologi e assistenti sociali dovrebbe essere assicurata per tutte le situazioni difficili. Che medici ed infermieri dovrebbero essere educati, nelle Università, a rendersi conto del fatto che negli ospedali non si ha a che fare con dei pazienti ma con delle persone. E’ una cultura psicologica e psicoterapeutica quella di cui c’è sempre più bisogno nelle nostre strutture sanitarie. Anche se gli amministratori e i politici non se ne sono ancora accorti.

15/01/2023

[La spirale del “busy bragging"]

💼 Può essere difficile staccarsi dalla cultura del "busy bragging", poiché spesso la convalida sociale sembra derivare da quanto siamo produttivi e da quanto è richiesto il nostro tempo.

È facile farsi prendere dalla sensazione che l'essere "occupati" rifletta il nostro talento o il nostro successo. Tuttavia, questa percezione è pericolosa, perché ci porta sulla strada del sovraccarico di lavoro, alla costante ricerca di affermazione attraverso agende sempre più f***e.

👉 Questa tendenza può rivelarsi un boomerang che si ripercuote sulla nostra efficienza e sulla salute psicofisica.

Sul tema del busy bragging si è concentrata recentemente Silvia Bellezza – docente di psicologia del marketing alla Columbia Business School – autrice di uno studio pubblicato sul Journal of Consumer Research. La ricercatrice ha chiesto a un gruppo di persone di giudicare post di sconosciuti, rilevando che chi è pieno di impegni viene considerato effettivamente di status superiore.

🗨 Questa convinzione, però, può rivelarsi una trappola. Dovremmo guardare gli altri, riconoscendo che i loro risultati non rendono i nostri meno preziosi. Un sano equilibrio tra riposo e produttività ci mantiene concentrati e appagati e porta ad un'autentica autostima e a un valore che va ben oltre qualsiasi vanto.

Se ti fa piacere puoi approfondire qui l'articolo
https://thevision.com/attualita/busy-bragging/

Fonte: The Vision

25/11/2022

Il racconto di questo mese di Nicolò Targhetta ci ricorda che la violenza contro le donne esiste ovunque. Non si tratta di un concetto lontano, una notizia proveniente da qualche altra parte del mondo e facilmente dimenticabile. L'aspetto più agghiacciante di questa realtà è la quasi normalità con cui si verifica, dal catcalling alle molestie.

Nella Giornata internazionale per l'Eliminazione della Violenza contro le Donne, onoriamo la necessità di prevenzione rafforzando gli spazi sicuri sia nei luoghi pubblici che tra le mura di casa, per costruire insieme un futuro migliore.

✍️ La grafica è dell’illustratrice Amandine Delclos.


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Mi piacciono molto i videogiochi. I survival in particolare. Il survival è un tipo di videogioco che va un po' in controtendenza. Nei survival non sei il classico protagonista autosufficiente e armato fino ai denti, ma un poveraccio che tira a campare e che è spesso vittima impotente dell'ambiente che lo circonda. I miei preferiti sono quelli dove ti insegue qualcuno. Un mostro, un alieno o qualche altra minaccia innominabile che ti vuole sbranare. Ce n'era uno quand'ero piccolo, si chiamava Alone in the Dark. Eri in una villa braccato da una moltitudine di zombie e affini. Se lo guardi oggi ti viene da ridere, gli zombie sono quattro pixel verdi inchiodati allo sfondo. Adesso, ovviamente, con i progressi della grafica ne fanno di veramente spaventosi. Le ambientazioni sono realistiche, la fuga è davvero adrenalinica, la sensazione di panico e di impotenza fortissima, quasi reale. Ce ne sono alcuni dove non puoi neppure contrattaccare, l'unica cosa che puoi fare è scappare e nasconderti. Ti infili sotto i letti, dentro gli armadietti. Puoi correre, ma solo finché ti regge il fiato. La mia ragazza si rifiuta di giocarci. Probabilmente perché le fanno paura.

Qualche settimana fa sono su un regionale e sto tornando a casa. È sera. Le ferrovie del Veneto sono spartane in tutti i sensi, cioè sono state costruire per eliminare ogni traccia di debolezza dai suoi passeggeri e scoraggiare i forestieri ad addentrarsi oltre. Nessun annuncio, nessun avvertimento, solo il tuo istinto e la campagna fuori. Le cose peggiorano quando cala il buio poiché il sadico progettista delle carrozze ha diabolicamente optato per dei vetri a specchio in ogni vettura cosicché, con la scomparsa del sole, quello che vedi al posto della fermata è la tua faccia id**ta che si domanda "sarà la mia fermata?".

Insomma, sono perduto a casa mia, in un labirinto di paesini dai nomi ridicoli quando il treno si ferma. Triangolo rapidamente orario di partenza, orario di arrivo e orario attuale e deduco che dovremmo essere arrivati. Guardo fuori: il buio. Provo ad aprire le porte: niente. Inizio a farmi prendere dal panico. Nella mia vita di spatentato non vi è umiliazione più grande dello scendere alla stazione sbagliata. C'è solo un'altra persona nella carrozza insieme a me. Una ragazza con le cuffie che sta leggendo un libro.

Le chiedo se per caso sa dove ci troviamo.

Lei si toglie le cuffie.

- Eh?

- Sai per caso se siamo arrivati a una stazione?

- No, mi spiace.

Io guardo di nuovo fuori cercando di intuire qualcosa oltre al mio riflesso che cerca di intuire qualcosa. Niente. Buio.

- Si è solo fermato a un semaforo - dice una voce.

È un ragazzo, avrà vent'anni.

- Il treno - spiega - si è fermato a un semaforo. Appena gli danno l'okay entra in stazione.

Io e la ragazza annuiamo e ringraziamo sollevati.

- Lo so perché ho lavorato sui treni.

Io e la ragazza annuiamo.

- Tutto l'anno scorso.

Io annuisco e la ragazza conficca gli occhi nel libro.

Il ragazzo inizia, inesorabile, un pi***ne da viaggio. Il pi***ne da viaggio, detto anche monologo del pendolare, è una dinamica molto folkloristica che il cliente di Trenitalia conosce bene. Di solito, però, viene proposta da ottuagenari senza WiFi e non da giovani aspiranti ferrovieri.

Io e la ragazza, con gradi diversi di tedio, ascoltiamo pazienti il giovane tramandarci oralmente le sue memorie. D'altra parte ci ha salvato dal perderci per le stazioni venete, glielo dobbiamo.

A un certo punto la ragazza prende un golfino dalla borsa e se lo mette.

- Ma ti vesti per me? - domanda il ragazzo.

La temperatura cambia. La ragazza rimane un attimo stordita.

- Eh?

- Dico, non devi mica rivestirti per me. Sei bella, ma non ti faccio mica niente.

È come se il regista avesse appena cambiato il genere del film.

La ragazza guarda il ragazzo, poi guarda me, io guardo il ragazzo e dico,

- Senti, raccontami un po' di sta esperienza coi treni.

Lui racconta ma non guarda me, guarda solo lei. La ragazza prova a mettere le cuffie, lui dice

- Se non vuoi ascoltarmi basta dirlo.

In quel momento il treno riparte e comincia a entrare in stazione.

- Torno subito - dice il ragazzo.

Lo guardiamo andar via.

- Scendi qua? - mi domanda subito la ragazza.

- Sì.

- E allora mi sa che io vado in cerca di un'altra carrozza e mi siedo vicino a qualcuno.

Raccatta le sue cose e si alza.

È più scocciata che spaventata.

Scendo e dalla banchina guardo il treno scivolare via nel buio.

Qualche giorno dopo sono a cena da amici e racconto tutta la storia.

La mia ragazza dice,

- Io uso la parola "treno".

- Eh?

- Chiamo Alice, dico "treno" e lei molla tutto e chiacchiera con me finché il tipo non mi molla e sono al sicuro.

Al sicuro. Ha detto proprio al sicuro.

- Ma dai, pure tu! - si è aggiunta una nostra amica. Il tono di chi ha appena scoperto di avere avuto la stessa insegnante al liceo.

E hanno cominciato allegramente a scambiarsi informazioni su parole in codice, numeri di emergenza, raffinate tecniche antipedinamento e modi di impugnare le chiavi di casa che avrebbero reso orgoglioso Wolverine.

Sembrano due agenti segreti lieti di poter confrontare i trucchi del mestiere.

La cosa più agghiacciante è la normalità un po' rassegnata con cui viene discusso tutto quanto. Dai tallonamenti, agli approcci non richiesti, dalle masturbazioni pubbliche al problema in cui si trasforma una stazione (qualsiasi stazione) quando viene sera.

Lungi da me fingere di aver scoperto l'acqua calda o che questo universo parallelo non esistesse già prima che il signorino ci sbattesse contro il muso, allo stesso tempo, visto che conosco i miei social, ci tengo a precisare che non tutti gli uomini che pigliano un treno dopo le 18 sono per forza degli aspiranti serial killer.

Quello che voglio dire è solo che finalmente credo di aver capito perché la mia ragazza non vuole giocare ai survival.

Non è che ha paura, è che ci sta già giocando.

24/11/2022

"Lloyd, perché non mi va mai bene niente al primo colpo?"
"Perché la vita non è fatta di colpi, sir, ma di passi"
"Anche se sono passi sbagliati?"
"Ancor meglio, sir"
"E come mai?"
"Un passo sbagliato costringe spesso a fare un salto in avanti, sir"
"Per non perdere l'equilibrio?"
"Per trovarne uno nuovo di zecca... sir"

Vita con Lloyd - Simone Tempia

18/11/2022

Come misurare il successo «oltre le apparenze»

20/09/2022

Lo sapevate che... il mito di Amore e Psiche ci parla del coraggio indispensabile in chi ama.

Psiche era una fanciulla talmente bella da suscitare l’invidia di Venere. La dea chiese allora a suo figlio Amore di aiutarla: avrebbe dovuto farla innamorare di un uomo umile e insignificante. Amore però restò incantato dalla bellezza di Psiche e, disobbedendo agli ordini della madre, la portò con sé nel suo palazzo senza rivelarle chi fosse e le impose una sola regola: ella non doveva mai vederlo in volto.

Psiche però con il trascorrere del tempo non seppe vincere la curiosità e una notte illuminò il volto di Amore con una lanterna. Una goccia d'olio bollente fece svegliare quest'ultimo che, deluso, scappò via. Psiche si mise in cerca del suo amore perduto e Venere per vendicarsi le impose delle terribili prove. Come ultima prova Psiche dovette discendere negli inferi e chiedere alla dea Proserpina una magica ampolla. Durante la via del ritorno, Psiche aprì l’ampolla, cosa che le era stato proibita, e cadde in un sonno profondo. Soltanto l’intervento di Amore, che nel frattempo l’aveva cercata per mari e per monti, riuscì a risvegliarla e come ricompensa per tutte le terribili prove che aveva affrontato il padre degli dei le donò l’immortalità.

La convivenza iniziale di Psiche con Amore rappresenta le prime fasi dell’innamoramento quando il vero volto dell’amato resta celato agli occhi dell’amante. Ma un rapporto vero, autentico non può reggersi sull’inganno. È necessario guardare l’altro e scoprire a poco a poco le sue vere sembianze, un processo tanto oscuro quanto doloroso, come la discesa di Psiche negli inferi. Il mito ci rivela inoltre che amare richiede coraggio, sacrifici, dedizione, ma la felicità è possibile, a patto che ci sia un sentimento autentico, più forte di tutto e tutti.

Secondo Freud invece, Amore e Psiche rappresentano il connubio tra due forze dirompenti, l'istintualità e la passionalità propria dell'eros e la razionalità (Psiche)presenti all'interno della nostra mente. Dall’unione di queste due forze nasce l’amore.

G.Middei, anche se voi mi conoscete come Professor X. Cari amici, il mio romanzo Clodio tornerà a brevissimo in libreria. Nel frattempo potete trovare le ultime copie rimaste e leggerne un estratto gratuito qui: https://amzn.to/3twdkBK

Nella foto: Antonio Canova, “Amore e Psiche”.

16/09/2022

🆕 «FATE LE BRAVE» è il progetto ideato da Il Cantiere delle Donne in collaborazione con l'Ordine che sarà presentato questa mattina a Padova presso la Sala Rossini del Caffè Pedrocchi alle ore 11.30.

🎤 Nel corso della conferenza stampa verrà illustrato il progetto, che si articola in 8 incontri tematici che ricoprono i principali aspetti della gestione economica personale, lavorativa e familiare delle donne.

💼 In rappresentanza dell’Ordine delle Psicologhe e Psicologi del Veneto interverranno il Presidente Luca Pezzullo e il Segretario e Consigliera Federica Sandi.

Indirizzo

Via Vergerio 17
Padua
35126

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