03/08/2025
Identità culturale non è razzismo: contro l’equivoco ideologico contemporaneo
Nel dibattito contemporaneo sull’identità culturale e sull’interculturalità, si è diffusa una confusione concettuale che tende a sovrapporre la legittima difesa della propria identità storico-culturale con il razzismo. Questa equivalenza indebita non solo è epistemologicamente errata, ma ha prodotto una delegittimazione selettiva delle identità – in particolare di quelle europee – a vantaggio di una narrazione sbilanciata e ideologicamente egemonica.
Identità culturale come diritto universale
Ogni gruppo umano ha diritto a preservare, trasmettere e valorizzare la propria eredità culturale, linguistica, religiosa e simbolica. Questo diritto è sancito da testi fondamentali del diritto internazionale, come la Dichiarazione Universale sulla Diversità Culturale dell’UNESCO (2001) e la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni (2007), che affermano il principio per cui «la diversità culturale è patrimonio comune dell’umanità» e che i popoli hanno diritto a «mantenere e rafforzare le proprie istituzioni politiche, giuridiche, economiche, sociali e culturali» (art. 5).
Pluralità delle culture e relativismo simmetrico
La difesa della propria identità non implica alcuna gerarchia tra culture, ma presuppone la coesistenza pluralistica. Claude Lévi-Strauss ha criticato tanto il razzismo etnocentrico quanto il cosmopolitismo omologante, affermando che «il rispetto per tutte le culture si accompagna alla consapevolezza che nessuna può valere più delle altre» (Razza e storia, 1952). In tal senso, ogni comunità – sia essa Māori, giapponese, curda, navajo o italiana – ha il diritto di esistere e trasmettersi, senza che ciò implichi escludere l’altro o ritenersi superiore.
Razzismo: definizione e distinzione
Il razzismo non consiste nel voler preservare sé stessi, ma nell’essenzializzare e gerarchizzare le differenze, negando all’altro l’accesso a diritti, dignità e appartenenza. È razzismo quando si afferma che un popolo è “naturalmente” superiore, o che un altro è “biologicamente” inferiore. È razzismo anche quando si applicano politiche sistematiche di esclusione, discriminazione o deumanizzazione (cfr. Tzvetan Todorov, La paura dei barbari, 2008). Non è razzismo, invece, opporsi all’omologazione culturale, al dissolvimento dei legami simbolici, o alla colonizzazione linguistica.
L’equivoco ideologico contemporaneo
Nel clima culturale odierno, dominato da una forma di postcolonialismo selettivo e da un’etica progressista anglocentrica, si è creata una asimmetria morale: le identità “altre” (indigene, minoritarie, postcoloniali) sono celebrate e protette, mentre le identità autoctone europee – soprattutto se associate a tradizioni storiche o a memoria nazionale – sono frequentemente associate a “suprematismo” o “razzismo latente”. Ciò produce un paradosso: il diritto alla differenza è riconosciuto a tutti, tranne che all’Occidente stesso (cfr. Alain Finkielkraut, L'identité malheureuse, 2013).
L’identità non come esclusione, ma come forma
Difendere la propria identità non significa chiudersi all’altro, ma anzi possedere una forma stabile attraverso cui incontrarlo senza dissolversi. La relazione autentica tra culture non è data dalla perdita di sé, ma dal riconoscimento reciproco. Come scriveva Charles Taylor, «l’identità non è un ostacolo al dialogo, ma la sua condizione» (La politica del riconoscimento, 1992). Senza una forma propria, il dialogo si trasforma in assimilazione.
Una pluralità in tensione, non una neutralizzazione globale
Una società autenticamente multiculturale non si costruisce sull’azzeramento delle differenze, ma sul loro riconoscimento reciproco e su una coesistenza dinamica. In questo senso, l'identità culturale è un bene comune, e la sua difesa – da parte di qualunque popolo – non è solo legittima, ma necessaria. Come scriveva Herder nel XVIII secolo, «ogni nazione ha il centro della felicità dentro di sé, come ogni sfera ha il suo centro di gravità» (Idee per la filosofia della storia dell’umanità, 1784-1791).
Conclusione
Il discorso sull’identità culturale necessita di rigore concettuale e simmetria etica. Laddove si demonizza la conservazione di una memoria storica, di una lingua o di un orizzonte simbolico come “razzismo”, si rischia di riprodurre un razzismo di segno opposto: quello che considera legittime solo le identità altrui, e patologica la propria. La vera tolleranza non consiste nell’uniformare, ma nel saper coabitare nella differenza.
Bibliografia essenziale
Claude Lévi-Strauss, Razza e storia, Einaudi, 2001 (ed. orig. 1952)
Charles Taylor, La politica del riconoscimento, in Multiculturalismo, Feltrinelli, 1993
Tzvetan Todorov, La paura dei barbari, Garzanti, 2008
Alain Finkielkraut, L'identité malheureuse, Stock, 2013
Johann Gottfried Herder, Idee per la filosofia della storia dell’umanità, Laterza, 1974
UNESCO, Dichiarazione Universale sulla Diversità Culturale, 2001
ONU, Dichiarazione sui Diritti dei Popoli Indigeni, 2007