18/09/2025
Questa è una di quelle notizie che lasciano una certo sgomento, una certa nota di tristezza mista a rabbia.
Come psicologo e criminologo non posso restare indifferente davanti a questa notizia: quanto accaduto a Brescia — violenza sessuale su un minore, condanna già emessa, mandato di cattura europeo — è una ferita profonda per la nostra società.
Prima di tutto, il mio pensiero va alla vittima che è solo una bambina di 10 anni, una bambina che ha subito un abuso impensabile. La sofferenza e il trauma che questa piccola porta dentro di sé, e che probabilmente la accompagnerà per molti anni, non sono solo responsabilità individuali, ma anche collettive.
Poi, pongo l’attenzione sulle lacune istituzionali che emergono: come è stato possibile che un individuo con una condanna definitiva per questo tipo di reato arrivasse a trovarsi sul territorio italiano? Come ha attraversato confini, come è stato accolto, quali controlli sono stati fatti — o non fatti — lungo il cammino?
E ancora: non basta arrestare. Serve lavorare seriamente sul dopo — sulla prevenzione, sui percorsi terapeutici per i sopravvissuti, sull’educazione alla tutela, sulla prevenzione di tali orribili atti e su un sistema giudiziario internazionale che funzioni davvero, soprattutto nei casi con mandati di cattura europei.
Infine, mi interrogo sul modo in cui la comunità reagisce: non con allarmismi o discriminazioni, ma con rigore nell’applicare le leggi, con trasparenza nelle indagini, e con compassione verso chi ha subito il danno. Combattere la violenza significa anche questo: non lasciare soli i minori, non delegare il dolore alla rassegnazione, pretendere che la società nel suo insieme faccia la propria parte.