
12/09/2025
Lei:
Ti ho odiato.
Ti ho odiato con una violenza che non sapevo nemmeno di avere.
Ti ho odiato quando restavi zitto mentre io urlavo,
quando mi guardavi come se stessi aspettando qualcosa da me.
Mi facevi sentire come un esperimento.
Come se stessi studiando le mie crepe.
Io:
Lo ricordo.
Ricordo ogni parola che mi hai lanciato addosso.
Ogni sguardo che cercava di farmi sparire.
E io non sono sparito.
Lei:
Ti ho provocato.
Ti ho insultato.
Ti ho detto che eri inutile, freddo, arrogante.
Che ti pagavano per farti sentire superiore.
Ti ho detto che speravo di farti male.
Che volevo distruggerti.
Io:
E io ho scelto di restare.
Non per resistere.
Ma per esserci.
Perché dietro ogni colpo c’era una voce che diceva: “Non lasciarmi.”
Lei:
Mi facevi schifo.
Mi faceva schifo la tua calma.
La tua pazienza.
La tua capacità di non reagire.
Mi faceva sentire piccola.
E io odiavo sentirmi piccola.
Io:
Ma non eri piccola.
Eri enorme.
Eri piena di fuoco.
E quel fuoco non mi ha bruciato.
Mi ha mostrato dove faceva male.
Lei:
Poi hai detto quella frase.
Che non ero rotta.
Che ero in lotta.
E io ho pianto.
Perché nessuno mi aveva mai detto che la mia rabbia era degna di essere capita.
Io:
Hai cominciato a dare un nome alle cose.
Alla rabbia.
Alla paura.
Alla vergogna.
Alla solitudine.
E quando le hai chiamate, hanno smesso di comandarti.
Lei
Dare un nome alle cose…
Io:
Aiuta. Sempre.
Lei:
Posso abbracciarti?
Io:
Certo che puoi.
Lei:
Grazie. Per non essere scappato.
Per avermi visto.
Anche quando io volevo sparire.
Io:
Ciao piccola mia.
Prenditi il tuo mondo.