15/03/2024
Quando ero all'università, un anno prima di laurearmi, avevo scelto l'argomento della tesi. Avrei fatto una tesi compilativa sui DCA (disturbi del comportamento alimentare) che per noi dietisti era un argomento centrale che avevo avuto modo di approfondire nelle varie "psicologie" che avevo già sostenuto.
Allora comprai una serie di libri consigliati e cominciai a buttare giù qualcosa.
Leggevo, scrivevo, leggevo e scrivevo...
Ma lo scritto "non decollava".
C'era sempre qualcosa che non mi piaceva, ma soprattutto, mi sembrava di aver sentito talmente tanto sull'argomento da non poter dire niente di originale.
In mio aiuto arrivò il primario del reparto di nefrologia e dialisi dell'ospedale dei bambini, in cui facevo tirocinio già da un anno che mi propose una tesi sperimentale sulle malattie renali nei bambini e la correlazione con l'alimentazione.
E così, abbandonai la mia tesi precedente.
Quando cominciai a lavorare incontrai qualche paziente con disturbo del comportamento alimentare più o meno grave e dopo qualche confronto con colleghi e psicoterapeuti, decisi che non me ne sarei mai occupata.
Per noi dietisti avere una nicchia specifica è importante poiché l'alimentazione è in tutto, ma noi non possiamo essere specializzati in tutto.
E così mi rivolsi soprattutto ai bambini che erano il mio "terreno" più conosciuto, agli adolescenti e alle donne sovrappeso per ragioni soprattutto legate alla gravidanza e alla menopausa.
Questi sono stati i miei primi quindici anni di lavoro sul campo, fino a quando...
Un giorno, ricevetti la telefonata di uno psichiatra che si occupa di anoressia e bulimia in adolescenza, da tanti anni. Mi chiese la disponibilità a seguire insieme a lui qualche ragazza del suo ambulatorio. Ricordo di essere stata reticente: qualcosa mi bloccava rispetto a questo argomento.
Capii solo qualche settimana dopo, in seguito ai colloqui con le ragazze e con le loro famiglie, che il punto era esattamente questo: non si trattava di un argomento, di una branca, di un target, di una nicchia né di un insieme di parametri standardizzati per fare una diagnosi.
I disturbi del comportamento alimentare sono "un mondo" che si apre di fronte a chi li ascolta, a chi li accoglie e a chi decide di prendersene carico.
Si tratta si un mondo fatto di dolore, di paure, di incertezze, di lacrime nelle quali è difficile non restare coinvolti.
Si tratta di malattie con prognosi estremamente variabile e con terapie legate a linee guida generali certo, ma in cui la differenza può farla il vedere esattamente quella vita e quella persona nella sua unicità.
Decisi, colloquio dopo colloquio, che potevo, che dovevo e che volevo occuparmene.
E ancora oggi, col supporto di psicoterapeuti con i quali collaboro, continuo ad occuparmene.
E penso che niente per me ha contato di più, in questi anni, di tutti quei piccoli passi lenti, fragili e incerti mossi da ragazze straordinarie nella loro determinazione nel guarire, nel rinascere e nel vivere libere.
Niente ha contato di più di certi sguardi di riconoscenza dei loro genitori.
Oggi, nella giornata dedicata alla sensibilizzazione sui DCA vi chiedo di interessarvi a quest'argomento, qualsiasi lavoro voi facciate, poiché riconoscere i sintomi precoci, adottare il giusto atteggiamento nei confronti di chi ne soffre e sapere a chi rivolgersi per ricevere supporto, può essere davvero molto importante.
Grazie
Marina Sutera