01/08/2025
Hai riassunto perfettamente come mi ripropongo di affrontare ogni mia giornata lavorativa da circa 35 anni!
Aggiungo una postilla, chiediamoci sempre se la persona che si rivolge a noi è nel “momento giusto” per sperimentare un potenziale cambiamento, seppur teoricamente in positivo, e non arroghiamoci MAI il diritto di obbligare ad una qualsivoglia modifica senza domandarcene il prezzo, in termini di rapporto “costi/benefici”.
Superiamo sempre il nostro Ego e domandiamoci come riuscire ad essere propositivi e mai impositivi: ricordiamoci che ai “liberatori” si lanciano fiori dai balconi, agli oppressori, le tegole!
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E SE IL CORPO NON FOSSE UNA CATENA.. MA UNA RETE!?
Dal modello lineare alla visione bio-psico-funzionale-sociale: riflessioni sulla complessità posturale (oltre la meccanica).
Questa riflessione nasce da un post recente che ha generato molte critiche, confronti e reazioni contrastanti.
E va benissimo così.
Anzi, è proprio per questo che vale la pena continuare a parlarne.
Perché il tema non è teorico. È clinico, quotidiano, culturale.
Quel post toccava un’immagine ancora molto diffusa nella pratica professionale: quella del corpo visto come una catena di segmenti meccanicamente interdipendenti. Un modello che, come dimostrano i numerosissimi commenti ricevuti, è ancora profondamente radicato nei discorsi, nei trattamenti e nei ragionamenti di tanti operatori della salute.
E allora abbiamo deciso di fare un passo indietro per poterne fare uno avanti: ripartire da quella visione lineare, per aprirci a una lettura più ampia, più fedele, più attuale del corpo umano.
Perché ogni paradigma nasce da una storia.
E ogni cambiamento comincia proprio da lì: dal metterla in discussione. 💪
Per anni abbiamo raccontato il corpo come un congegno perfettamente allineato. Una catena meccanica dove, se un anello si indebolisce, l’effetto si propaga in modo ordinato: il piede cede, la tibia ruota, il ginocchio compensa, il bacino si adatta, la spalla si alza, il collo si irrigidisce.
Una teoria semplice, affascinante, persino terapeuticamente utile. Una narrazione che ci ha aiutato a vedere collegamenti, cercare spiegazioni, costruire interventi coerenti. Ha nutrito il ragionamento clinico e sviluppato il pensiero critico.
Ma.. siamo sicuri che il corpo funzioni davvero così?
ATTENZIONE: il corpo a volte si comporta come una catena, soprattutto in contesti ad alta richiesta meccanica (come la corsa o l’atletica), ma è solo uno dei tanti modi in cui può organizzarsi. Il modello di rete che leggerete sotto non sostituisce quello lineare. Lo completa. Lo arricchisce.
DAL DOMINO ALLA RAGNATELA: IL CORPO COME RETE CONNESSA
La realtà è molto più sofisticata.
Le neuroscienze, la biotensegrità, la sistemica, la fascia, la clinica osservativa.. ci dicono la stessa cosa: il corpo non ragiona in termini di sequenze, ma di reti.
Non c’è un ordine meccanico.
Non c’è una direzione fissa.
Non c’è un prima e un dopo.
Il corpo non è un domino. È una ragnatela dinamica, che si riconfigura in tempo reale, con migliaia di input simultanei che si integrano tra loro.
Ogni nodo è in relazione.
Ogni adattamento è contestuale.
Un dolore alla spalla può essere l’eco di una disfunzione diaframmatica. Un piede che collassa può essere la conseguenza di una strategia di protezione psico-emotiva. Una tensione cervicale può derivare da un’alterata percezione interocettiva.
BENVENUTI NEL PARADIGMA DELLA COMPLESSITÀ
Dal segmento alla relazione.
Il passaggio da un modello lineare e puramente biomeccanico a uno a rete cambia radicalmente il nostro modo di osservare il corpo.
Non ci chiediamo più: “Dov’è il segmento fuori asse?”
Ci chiediamo “perché il sistema ha scelto questa configurazione?” “Quali nodi funzionali stanno sostenendo quella posizione?” “Quanto costa al sistema mantenere questa coerenza?”
Parliamo infatti di coerenza funzionale, ovvero la capacità del sistema di trovare un’organizzazione temporanea, economicamente vantaggiosa, e compatibile con il compito o l’ambiente.
È un ribaltamento epistemologico.
Dall’analisi dei pezzi alla comprensione delle relazioni.
IL MODELLO BIO-PSICO-FUNZIONALE-SOCIALE
Ed è qui che il nostro sguardo si espande ulteriormente.
Non basta dire “rete muscolo-fasciale”.
Per comprendere davvero il comportamento del corpo, dobbiamo integrare le dimensioni biologiche, psicologiche, funzionali e sociali.
Il modello bio-psico-funzionale-sociale è presente in letteratura come evoluzione del classico bio-psico-sociale.
Insiste sulla funzione come luogo di espressione dinamica del sistema, dove biologia, psicologia e contesto sociale si integrano nell’azione.
Una visione coerente con le esigenze della clinica contemporanea.
Vediamola in sintesi.
Biologica: struttura, biomeccanica, neurofisiologia.
Psicologica: esperienza, emozioni, percezione, attenzione, memoria del dolore.
Funzionale: obiettivo, carico, contesto, adattamento.
Sociale: relazioni, ambiente, lavoro, cultura, aspettative, linguaggio.
Ogni tensione, postura o sintomo è il risultato di questa rete di fattori che interagiscono.
Non c’è mai una causa sola: c’è un pattern emergente.
IL MODELLO PCS – Polyconnective Skeleton
È un altro riferimento emergente che nasce proprio per abbracciare la complessità, senza semplificarla.
Il Polyconnective Skeleton è un modello tridimensionale e integrato del corpo umano, in cui reti osteoarticolari, fasciali, neuromuscolari e viscerali interagiscono in modo policentrico e adattativo, non lineare.
Ogni nodo può diventare centrale a seconda del compito, dello stato emotivo o della memoria del corpo. Gli adattamenti non sono rigidi né in sequenza: sono plastici, distribuiti, contestuali.
Un modello realistico, coerente con la fisiologia, l’anatomia, la neuroplasticità e la clinica.
Una bussola concreta nella terapia manuale e nel movimento.
LE IMPLICAZIONI CLINICHE
E quindi, cosa cambia nella pratica?
1. Valutazione
Nel modello lineare cercavamo “dove parte il problema”. Nel modello a rete, bio-psico-funzionale-sociale, ci chiediamo:
“Dove si organizza il sistema per sostenere il carico?”
“Quali strutture si sacrificano per mantenere l’efficienza?”
“Dove si manifesta la strategia adattativa più significativa?”
E soprattutto: “che senso ha, per quel paziente, in quel momento, quella configurazione?”
2. Trattamento
Non correggiamo una postura.
Proponiamo una nuova coerenza funzionale, compatibile con le risorse e la storia del paziente.
Non allineiamo.
Riorganizziamo le forze, le percezioni, le intenzioni.
Il trattamento diventa un dialogo con la rete, non un’aggressione al sintomo.
E in tutto questo, non dimentichiamo mai la persona dietro il sintomo.
Ogni nodo è attraversato da una storia, un’emozione, un bisogno.
3. Monitoraggio
La risposta del corpo è la nostra guida.
Ogni esercizio, ogni input, ogni tecnica è un’ipotesi da osservare. Ci muoviamo per tentativi, in ascolto, senza certezze assolute.
E il dolore? Cambia anche lui.
Nel modello lineare è la spia di un errore.
Nel modello a rete, il dolore è una strategia comunicativa.
Il corpo non urla perché è rotto.
Urla perché sta proteggendo.
Urla perché sta negoziando.
Urla perché ha bisogno di cambiare mappa.
In termini neuroscientifici, il dolore è l’espressione di un sistema nervoso centrale che risponde a una minaccia percepita, non necessariamente a un danno reale.
IL LINGUAGGIO CONTA
Le parole che usiamo non sono neutre.
Quante volte diciamo ancora “catena posteriore accorciata”, “bacino in anteroversione”, “segmento instabile, “spalla che scappa”..
Parole che sembrano descrivere ma che raccontano un corpo rotto, passivo, meccanico.
Se vogliamo una visione di rete, dobbiamo aggiornare anche il vocabolario. Per coerenza clinica e per rispetto del paziente.
Ogni parola costruisce una rappresentazione. Quella rappresentazione plasma il modo in cui il paziente vive il proprio corpo.. e noi scegliamo di intervenire.
Alcuni esempi concreti.
Una paziente con dolore mandibolare migliora dopo un lavoro sul pavimento pelvico. Nella sua rete, era un nodo tensivo centrale.
Un runner con fascite plantare cronica migliora lavorando su diaframma e respiro. Il problema era un tronco rigido e iperattivo.
Un adolescente con scoliosi e dolore lombare migliora con lavoro su propriocezione e identità corporea. Non era un problema posturale, ma percettivo.
Concludendo, fare divulgazione non significa dire meno. Significa dire meglio. Con parole semplici, ma mai semplificate.
Con i piedi ben piantati nel presente, ma lo sguardo rivolto al futuro.
Semplificare senza distorcere.
Comunicare senza irrigidire.
Educare senza infantilizzare.
Anche i pazienti meritano di sapere che non sono rotti. Che il loro corpo sta solo cercando un nuovo equilibrio.
E ALLORA.. QUAL È IL NOSTRO RUOLO?
Siamo ancora terapisti manuali? Sì.
Esperti di esercizio terapeutico? Assolutamente.
Ma oggi più che mai siamo anche facilitatori di consapevolezza, osservatori della complessità, traduttori di segnali corporei e alleati nella costruzione di nuove reti funzionali.
Non aggiustiamo.
Riorganizziamo.
Non imponiamo.
Proponiamo.
Non normalizziamo.
Facilitiamo l’adattamento.
Il corpo non si adatta in sequenza.
Si adatta in coerenza.
Non ragiona per catene lineari.
Ragiona per reti distribuite, influenzate da esperienze, pensieri, tensioni, respiri, relazioni.
E noi fisioterapisti?
Siamo chiamati a guardare oltre l’anatomia, oltre la postura, oltre il sintomo.
Siamo chiamati a sentire la rete. A riconoscerla. A rispettarla.
Se anche tu credi che la fisioterapia non sia solo correzione, ma ascolto, relazione, visione, adattamento.. condividi questo post.
Perché il futuro del nostro mestiere non si costruisce con blocchi da correggere,
ma con connessioni da nutrire.
Raccontaci nei commenti qual è stata la connessione più sorprendente che hai osservato nel corpo. Oppure condividilo con chi, come te, ha voglia di guardare oltre.
NOTA FINALE
Le informazioni contenute in questo post hanno finalità divulgativa e non sostituiscono la valutazione di un professionista sanitario.
Un sentito grazie a tutti i colleghi fisioterapisti e ai professionisti sanitari che, con i loro studi scientifici pubblicati, commenti, critiche e spunti, hanno contribuito alla nascita di questo testo.
È anche così che si costruisce una rete: con il dialogo.