Dr Antonio Ferro - Psicologo Psicoterapeuta

Dr Antonio Ferro - Psicologo Psicoterapeuta Psicologo Psicoterapeuta Ipnoterapeuta individuale, di coppia, familiare. EMDR.
Riceve ad Agrigento, Canicattì, Palermo e ONLINE.

12/11/2025

Il 18 novembre 2025 la Chiesa italiana si raccoglierà in preghiera per le vittime e i sopravvissuti agli abusi, una ferita che interpella la coscienza di tutti e chiede di essere guardata con verità, rispetto e responsabilità (qui) . Anche la Chiesa agrigentina vivrà questa giornata con spirito ...

🙏 RISPETTO – Generare relazioni autentiche. L’Arcidiocesi di Agrigento e il Servizio Diocesano Tutela Minori invitano tu...
30/10/2025

🙏 RISPETTO – Generare relazioni autentiche.

L’Arcidiocesi di Agrigento e il Servizio Diocesano Tutela Minori invitano tutta la comunità diocesana a un incontro di riflessione e confronto in occasione della V Giornata nazionale di preghiera per le vittime degli abusi.

📅 Sabato 22 novembre, ore 17:30
📍 Chiesa di Santa Croce – Villaseta (Agrigento)

Un momento per fermarsi, ascoltare e costruire insieme relazioni autentiche, fondate sul rispetto reciproco e sulla cura dell’altro.

Interverranno:
• S.E. Mons. Alessandro Damiano, arcivescovo di Agrigento
• Rossana Carmagnani, filosofa e psicologa
• don Vittorio Rocca, docente di teologia morale

Modera Antonio Ferro, del Servizio Diocesano Tutela Minori.

Vi aspettiamo per un incontro di ascolto, speranza e impegno condiviso. 💙

La salute mentale non è un traguardo da raggiungere una volta per tutte, ma un equilibrio dinamico, fragile e prezioso, ...
10/10/2025

La salute mentale non è un traguardo da raggiungere una volta per tutte, ma un equilibrio dinamico, fragile e prezioso, che si costruisce giorno dopo giorno nel dialogo con sé stessi e con il mondo. È la capacità di restare umani anche quando la vita si fa complessa, di riconoscere le proprie vulnerabilità non come segni di debolezza, ma come spazi di autenticità e crescita.
In un tempo in cui la produttività sembra spesso contare più del benessere, prendersi cura della propria mente diventa un atto di resistenza gentile. Significa concedersi il diritto di rallentare, di sentire, di chiedere aiuto senza vergogna. La salute mentale non coincide con l’assenza di dolore, ma con la possibilità di dargli un senso, di integrarlo nella trama della propria storia personale.
Ogni relazione, ogni gesto di ascolto, ogni parola detta o taciuta contribuisce a questo equilibrio invisibile che ci tiene insieme. Coltivare la salute mentale è imparare a riconoscere i propri limiti e, nello stesso tempo, a credere nella possibilità di trasformarli in forza. È ricordare che dentro ciascuno di noi c’è una resilienza silenziosa, che attende solo di essere ascoltata.
Oggi, in questa Giornata Mondiale della Salute Mentale, possiamo fermarci un istante per accogliere ciò che siamo: non perfetti, ma vivi, capaci di speranza. E la speranza è forse la forma più profonda di salute mentale che possediamo.
AF

  d’Assisi è una figura che attraversa i secoli come un simbolo universale di guarigione interiore. Lui incarna il perco...
04/10/2025

d’Assisi è una figura che attraversa i secoli come un simbolo universale di guarigione interiore. Lui incarna il percorso di trasformazione che porta dall’ego ferito al sé riconciliato. Nato in un mondo segnato dal potere e dalla guerra, Francesco vive inizialmente l’illusione della gloria terrena. Ma la sua crisi, quel momento in cui tutto ciò che era “successo” si rivela vuoto, diventa la soglia di un nuovo modo di vedere. La spogliazione davanti al vescovo, il gesto di restituire perfino i vestiti al padre, rappresenta la rinascita dell’uomo autentico che sceglie di essere libero anche dal bisogno di apparire.
Il “poverello di ” non abbraccia la povertà come fuga dal mondo, ma come ritorno all’essenziale: all’essere umano spoglio di ogni potere, pronto ad accogliere la vita in tutte le sue forme. È l’esperienza di chi ha toccato la propria vulnerabilità e, anziché respingerla, l’ha trasformata in compassione. Da questa ferita guarita nasce la capacità di guardare l’altro non più come nemico, ma come fratello (anche quando appartiene a un’altra cultura, un’altra fede, un’altra parte del mondo).
Ed è qui che la figura di Francesco ci parla anche oggi. In un tempo in cui la violenza continua a devastare popoli e coscienze (come accade tragicamente in , dove innocenti vengono uccisi, e la logica del potere calpesta la dignità dei più deboli), Francesco ci richiama alla follia dell’ . Non quella ingenua o romantica, ma la follia di chi sceglie la pace quando il mondo grida vendetta. Il suo incontro con il Sultano, in piena crociata, è un gesto rivoluzionario: l’apertura empatica all’altro, la fede che non divide, ma si fa ponte.
Francesco è l’uomo che ha saputo vedere in ogni volto il riflesso del volto di . E nel Cristo povero, crocifisso, inerme, egli ha riconosciuto la verità ultima della vita: che la potenza di Dio si manifesta nell’amore che si lascia ferire pur di non ferire. È questa la suprema guarigione psicologica (e spirituale) dell’essere umano: uscire dalla logica del dominio per entrare nella logica della compassione.
Solo così il cuore può diventare specchio di Cristo: un cuore che, come il suo, porta le stimmate dell’amore, non per ostentazione, ma come segno di comunione con l’umanità sofferente.
A chi porta il nome di Francesco, auguro di custodire nel proprio cuore la stessa luce che guidò il Santo di Assisi: la luce di un amore che sa farsi pace, che non ha paura della tenerezza, che crede nella forza disarmante della bontà. Che il vostro nome sia ogni giorno un invito a costruire ponti, a lenire ferite, a scegliere la via di Cristo anche quando il mondo sembra perdersi nella violenza.
AF

🔴🔴 La vicenda della   Sumud Flotilla fermata da Israele in acque internazionali è un gesto che svela, ancora una volta, ...
03/10/2025

🔴🔴 La vicenda della Sumud Flotilla fermata da Israele in acque internazionali è un gesto che svela, ancora una volta, il modo in cui il potere si arroga il diritto di cancellare il diritto. Delle barche che portano aiuti diventano “minaccia”, un convoglio civile che porta aiuti umanitari viene trattato come un bersaglio da neutralizzare. E tutto questo non accade in un vuoto giuridico: accade mentre la Corte Internazionale di Giustizia parla esplicitamente di rischio genocidio, mentre organizzazioni come Amnesty e Human Rights Watch documentano distruzioni sistematiche e assedio deliberato.
Ciò che accade a Gaza non è una “crisi umanitaria” o un “conflitto complicato”: è un genocidio, compiuto da Israele sotto gli occhi del mondo, con la fame usata come arma, i civili trasformati in bersagli, un intero popolo condannato alla cancellazione.
È qui che si consuma il dramma più grave: le istituzioni scelgono di non vedere. Non si tratta di ignoranza, ma di rimozione consapevole. Non nominano il crimine perché sanno che dovrebbero guardarsi allo specchio, chiedersi perché, di fronte a bambini che muoiono di fame o sotto le bombe, il proprio Paese continua a intrattenere rapporti militari ed economici con chi li assedia. L’Italia è emblematica in questa ipocrisia: proclama la necessità di aiuti umanitari, ma permette la prosecuzione dei contratti di armamenti con Israele; dichiara “equilibrio” diplomatico, ma riduce al silenzio la vicenda della Flottilla; rivendica l’ordine pubblico contro chi manifesta, mentre resta cieca davanti al crimine più grave che un popolo possa subire: l’annientamento deliberato.
La società civile italiana, invece, ha deciso di vedere. Lo dimostrano le manifestazioni, i blocchi dei porti, la richiesta di embargo sulle armi. E lo dimostra con forza lo sciopero generale di oggi: un atto che spezza la routine quotidiana e afferma che non possiamo accettare l’indifferenza istituzionale. Fermarsi oggi significa rifiutare il cinismo, rompere la complicità, restituire alla politica quella coscienza morale che le istituzioni hanno tradito. È un atto di resistenza e di solidarietà che ribalta il silenzio: se i governi non vogliono vedere, tocca ai cittadini ricordare loro che la verità non può essere oscurata.
Israele sembra intrappolato in una dinamica che Freud avrebbe chiamato “coazione a ripetere”: il trauma di un popolo perseguitato, anziché trasformarsi in memoria capace di generare empatia, viene convertito in arma di dominio. La vittima di ieri si identifica con l’aggressore e finisce per esercitare sugli altri la stessa logica di annientamento da cui è stata ferita. È un paradosso tragico, ma reale: la ferita non elaborata diventa motore di violenza.
E il resto del mondo? Dissociato. Una parte proclama i diritti umani, l’altra tollera la loro violazione. È la schizofrenia dell’Occidente: difendere l’ordine internazionale quando conviene, sospenderlo quando mette in discussione gli alleati strategici. Questo doppio linguaggio penetra anche dentro di noi, ci abitua al cinismo, ci fa accettare che la vita di alcuni valga meno di quella di altri. È qui la vera sconfitta: nell’anestesia morale che ci fa percepire il genocidio come un “effetto collaterale”, la fame come un “strumento bellico”, l’annientamento di un popolo come un “danno collaterale”.
La Flottilla fermata non è solo la fine di un viaggio: è il simbolo di un’umanità bloccata. Bloccata dalla paura di nominare il crimine per quello che è, bloccata dall’ipocrisia dei governi che predicano pace ma commerciano armi, bloccata dall’incapacità di riconoscere nell’altro la propria stessa fragilità. E mentre si fermano le navi, si ferma anche la possibilità di credere che il diritto internazionale non sia soltanto carta straccia.
In fondo, la domanda che ci resta è semplice e bruciante: quanto ancora possiamo negare di vedere, prima che il silenzio diventi la nostra vera condanna?
AF

Esprimo con fermezza tutta la mia solidarietà a Padre Maurizio Patriciello per il gravissimo atto subito: ricevere un pr...
28/09/2025

Esprimo con fermezza tutta la mia solidarietà a Padre Maurizio Patriciello per il gravissimo atto subito: ricevere un proiettile in chiesa è un gesto vile che offende non solo la sua persona, ma la dignità, la giustizia e la speranza che egli difende con coraggio ogni giorno.
Don Maurizio, non sei solo. Chi crede nel bene, nella legalità e nella solidarietà è al tuo fianco. Che questo episodio non intimorisca, ma rafforzi la tua determinazione e la tua testimonianza coraggiosa.
Antonio Ferro

🔴 Perché é importante “FARSI PICCOLI”?  Cosa vuol dire?“Farsi piccoli” è un invito a recuperare quella condizione interi...
27/09/2025

🔴 Perché é importante “FARSI PICCOLI”? Cosa vuol dire?
“Farsi piccoli” è un invito a recuperare quella condizione interiore in cui l’essere umano non si difende dietro il potere, la forza o l’indifferenza, ma osa restare vulnerabile, permeabile, capace di custodire. si tratta di una piccolezza che non è debolezza, ma un atto di resistenza alla tentazione di chiudere gli occhi di fronte al dolore.
Lo vediamo oggi nel volto ferito dell’infanzia: i bambini che vivono sotto le bombe a Gaza e quelli che hanno subito abusi nelle relazioni più intime sono parte dello stesso grido. In entrambi i casi, l’innocenza viene calpestata e la fiducia tradita: in un caso dal potere distruttivo della guerra, nell’altro dall’abuso di chi avrebbe dovuto proteggere. “Farsi piccoli” davanti a questo significa non normalizzare la violenza, non voltarsi dall’altra parte, non trasformare le vittime in numeri o statistiche. È scegliere di mantenere viva la capacità di empatia e di indignazione, nonostante la mente cerchi naturalmente di anestetizzarsi di fronte all’eccesso di dolore.
Farsi piccoli significa allora rifiutare ogni logica di dominio. Significa accettare il limite, riconoscere che la vita e l’altro non ci appartengono, custodire anziché possedere. In questa prospettiva, la piccolezza diventa forza trasformativa: ci libera dalla seduzione narcisistica che alimenta guerre e abusi, e ci restituisce la possibilità di servire la vita in ogni sua forma fragile.
La via della piccolezza si rivela, dunque, come la via della responsabilità: non chiudersi nella durezza, ma restare aperti; non dominare, ma custodire; non negare il dolore, ma attraversarlo lasciandosi cambiare. Solo così i sogni di pace e di giustizia non restano parole astratte, ma diventano semi concreti di un mondo più umano.
AF

🕊️🔵 La pace non è una condizione statica né un’etichetta che si può appiccicare su eventi, governi, o confini: è una din...
26/09/2025

🕊️🔵 La pace non è una condizione statica né un’etichetta che si può appiccicare su eventi, governi, o confini: è una dinamica fragile, fatta di scelte consapevoli, di responsabilità morali, di coraggio. Spesso la pensiamo come un faro distante, luminoso ma quasi intangibile: la desideriamo, la invochiamo, la speriamo, ma fatichiamo a comprenderne il prezzo, la forma, la vita interiore che richiede.
Nel momento in cui uno Stato (e con esso una collettività) osserva ingiustizie, violenze, sofferenze e decide di “non esporsi”, cade in una trappola psicologica deleteria: quella del silenzio. Il silenzio può sembrare difensivo, prudente, diplomatico. Ma all’interno del tessuto etico, restare fermi equivale, pur senza sparare un colpo, a dare il proprio consenso tacito. Significa chiudere le porte all’empatia, irrigidire il cuore pubblico, evitare il conflitto per mantenere un equilibrio apparente che però è costruito sulla negazione della sofferenza altrui.
La questione di Gaza, oggi, pone una sfida profonda: quanto siamo disposti a permettere che il timore del dissenso, della divisione interna, del prezzo diplomatico, prevalga sulla necessità di farsi carico della coscienza collettiva? Il governo italiano ha responsabilità che vanno ben oltre la mera diplomazia formale: ha la responsabilità del riconoscimento del dolore, dell’umanità. Quando ignora, minimizza, si astiene, non solo evita il conflitto pubblico, ma coltiva dentro di sé una forma di anestesia morale.
Viene naturale chiedersi: cosa impedisce di parlare? Paura delle conseguenze, del giudizio internazionale, della perdita di consenso interno. Ma anche una forma di identificazione con il potere: “Se io governo, meglio non esporsi troppo, non prendere posizioni nette, per non inimicarsi”. È la paura del danno personale e politico che prevale sulla voce dell’etica comune. Eppure, la pace reale, quella che si può costruire, ha bisogno che si rompa il silenzio: che si nomino le ingiustizie, che si guardi la realtà negli occhi, che la compassione diventi politica.
Esporsi non significa solo fare dichiarazioni: significa alimentare nel tessuto sociale l’idea che la pace non è complicità con il meno peggio, ma lotta attiva contro il male che si può riconoscere. Significa che il dibattito, la manifestazione, la critica non sono segni di debolezza, ma di salute democratica. Significa dare dignità alla ferita che l’altro porta, non chiuderla sotto il tappeto del quieto vivere.
Restare in silenzio oggi vuol dire colludere; è una forma di tradimento verso la propria umanità, verso quella degli altri. Perché la pace non è semplicemente assenza di guerra, è presenza di verità, presenza di cura, presenza di azione. E se è vero che ogni parola può essere insufficiente, è altrettanto vero che il loro non-detto è veleno che avvelena le relazioni fra cittadini, fra istituzioni, fra coscienze. Solo chi parla può sperare di cambiare; e cambiare, a volte, è l’atto più pacifico che esista.
𝐋𝐚 𝐩𝐚𝐜𝐞 𝐜𝐫𝐞𝐬𝐜𝐞 𝐝𝐨𝐯𝐞 𝐢𝐥 𝐜𝐮𝐨𝐫𝐞 𝐨𝐬𝐚 𝐫𝐢𝐜𝐨𝐧𝐨𝐬𝐜𝐞𝐫𝐞 𝐥’𝐚𝐥𝐭𝐫𝐨 𝐜𝐨𝐦𝐞 𝐩𝐚𝐫𝐭𝐞 𝐝𝐢 𝐬𝐞́.
AF

🔴 𝐏𝐄𝐑 𝐍𝐎𝐍 𝐃𝐈𝐌𝐄𝐍𝐓𝐈𝐂𝐀𝐑𝐄 🔴 Oggi ricorre il 37º anniversario del duplice omicidio del giudice Antonino Saetta e di suo figli...
25/09/2025

🔴 𝐏𝐄𝐑 𝐍𝐎𝐍 𝐃𝐈𝐌𝐄𝐍𝐓𝐈𝐂𝐀𝐑𝐄 🔴 Oggi ricorre il 37º anniversario del duplice omicidio del giudice Antonino Saetta e di suo figlio Stefano. Un crimine che non ha colpito solo due vite innocenti, ma che continua a rappresentare una ferita profonda nella memoria e nella psiche collettiva. La violenza mafiosa non si limita a sopprimere esistenze: mira a spezzare il tessuto di una comunità, insinuando paura, impotenza e silenzio.
Eppure la memoria ha una forza terapeutica. Ricordare significa rielaborare il trauma, impedire all’oblio di prevalere e restituire dignità a chi è stato strappato ingiustamente alla vita. Non è un gesto rivolto soltanto al passato, ma un esercizio che rafforza, giorno dopo giorno, l’identità di un popolo.
Ogni volta che una comunità sceglie di commemorare, trasforma la ferita in cicatrice: un segno che non sanguina più, ma che resta a ricordarci l’urgenza di rimanere vigili, uniti e responsabili.
Il giudice Saetta e suo figlio Stefano ci insegnano ancora che la speranza nasce dalla capacità di dare un senso al dolore e di trasformarlo in impegno quotidiano.
𝐑𝐢𝐜𝐨𝐫𝐝𝐚𝐫𝐥𝐢 𝐬𝐢𝐠𝐧𝐢𝐟𝐢𝐜𝐚 𝐜𝐮𝐬𝐭𝐨𝐝𝐢𝐫𝐞 𝐥𝐚 𝐬𝐚𝐥𝐮𝐭𝐞 𝐩𝐬𝐢𝐜𝐨𝐥𝐨𝐠𝐢𝐜𝐚 𝐝𝐢 𝐭𝐮𝐭𝐭𝐢 𝐧𝐨𝐢: 𝐩𝐞𝐫𝐜𝐡𝐞́ 𝐥𝐚 𝐦𝐞𝐦𝐨𝐫𝐢𝐚 𝐞̀ 𝐢𝐥 𝐯𝐚𝐜𝐜𝐢𝐧𝐨 𝐜𝐨𝐧𝐭𝐫𝐨 𝐥𝐚 𝐫𝐚𝐬𝐬𝐞𝐠𝐧𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞.

❗️🔵 👉🏻 Considerare l’esistenza come un compito significa guardare alla vita non solo come a una successione di esperienz...
24/09/2025

❗️🔵 👉🏻 Considerare l’esistenza come un compito significa guardare alla vita non solo come a una successione di esperienze, ma come a una domanda che ci interpella in profondità. Da un lato possiamo percepirci come un enigma consegnato al mondo, dall’altro come persone che hanno ricevuto un enigma da decifrare. In ogni caso, ciò che ci accomuna è la chiamata a rispondere.
La percezione di “essere un problema” non è un segno di debolezza, ma la testimonianza del fatto che siamo consapevoli della nostra complessità. L’essere umano cresce non tanto quando trova risposte facili, quanto quando osa restare in dialogo con le proprie domande. Se evitiamo questa fatica, rischiamo di accontentarci della risposta che l’ambiente ci impone: convenzioni sociali, ruoli precostituiti, soluzioni già pronte. Ma queste risposte, pur rassicuranti, non sempre rispecchiano ciò che siamo davvero.
Prendere sul serio il “problema” della nostra esistenza significa, allora, riconoscere che ogni difficoltà, conflitto o ambivalenza porta con sé un’opportunità di chiarimento e trasformazione. L’identità non è qualcosa di già dato, ma qualcosa che si costruisce attraverso il modo in cui affrontiamo ciò che ci sfida. In questo senso, la vita non ci chiede perfezione, ma autenticità: il coraggio di dare una risposta nostra, capace di rispecchiare la verità più profonda di chi siamo.
𝐋𝐚 𝐯𝐢𝐭𝐚 𝐧𝐨𝐧 𝐩𝐫𝐞𝐭𝐞𝐧𝐝𝐞 𝐝𝐚 𝐧𝐨𝐢 𝐫𝐢𝐬𝐩𝐨𝐬𝐭𝐞 𝐩𝐞𝐫𝐟𝐞𝐭𝐭𝐞, 𝐦𝐚 𝐥𝐚 𝐬𝐢𝐧𝐜𝐞𝐫𝐢𝐭𝐚̀ 𝐝𝐢 𝐮𝐧𝐚 𝐫𝐢𝐜𝐞𝐫𝐜𝐚 𝐜𝐡𝐞 𝐜𝐢 𝐫𝐞𝐧𝐝𝐚 𝐚𝐮𝐭𝐞𝐧𝐭𝐢𝐜𝐢, 𝐯𝐢𝐯𝐢 𝐞 𝐮𝐧𝐢𝐜𝐢.
AF

Di solito, quando accostiamo l’orecchio a una conchiglia, ci sembra di ascoltare il mare. In questa frase, invece, l’imm...
23/09/2025

Di solito, quando accostiamo l’orecchio a una conchiglia, ci sembra di ascoltare il mare. In questa frase, invece, l’immagine si capovolge: non più il mare nelle conchiglie, ma l’ansia. È come se ci fosse il desiderio di spostare fuori dal corpo ciò che pesa dentro, di dare all’ansia un luogo preciso in cui stare, lontano da noi. Questo gesto immaginario diventa un modo per alleggerirsi, per dire: l’ansia non mi abita, può restare altrove.
Il mare, invece, viene portato nei cuscini. E lì non è più eco di lontananza, ma respiro, ritmo, pace. È la calma che accompagna il sonno, che sostiene il riposo e protegge lo spazio del sogno.
In questo scambio simbolico c’è un messaggio profondo: non possiamo sempre eliminare l’ansia, ma possiamo darle un posto che non ci sovrasti, e al tempo stesso coltivare luoghi e momenti in cui lasciar entrare la quiete.
𝐋𝐚 𝐯𝐞𝐫𝐚 𝐜𝐮𝐫𝐚 𝐧𝐨𝐧 𝐞̀ 𝐜𝐚𝐧𝐜𝐞𝐥𝐥𝐚𝐫𝐞 𝐜𝐢𝐨̀ 𝐜𝐡𝐞 𝐟𝐚 𝐩𝐚𝐮𝐫𝐚, 𝐦𝐚 𝐢𝐦𝐩𝐚𝐫𝐚𝐫𝐞 𝐚 𝐭𝐫𝐚𝐬𝐟𝐨𝐫𝐦𝐚𝐫𝐥𝐨 𝐢𝐧 𝐪𝐮𝐚𝐥𝐜𝐨𝐬𝐚 𝐜𝐡𝐞 𝐧𝐨𝐧 𝐜𝐢 𝐝𝐨𝐦𝐢𝐧𝐚 𝐩𝐢𝐮̀.
AF

𝕀𝕝 𝕔𝕠𝕣𝕒𝕘𝕘𝕚𝕠 𝕤𝕚𝕝𝕖𝕟𝕫𝕚𝕠𝕤𝕠 𝕔𝕙𝕖 𝕕𝕚𝕧𝕖𝕟𝕥𝕒 𝕗𝕦𝕥𝕦𝕣𝕠: 𝕃𝕚𝕧𝕒𝕥𝕚𝕟𝕠 𝕖 𝕚𝕝 𝕓𝕚𝕤𝕠𝕘𝕟𝕠 𝕕𝕚 𝕟𝕦𝕠𝕧𝕠 𝕦𝕞𝕒𝕟𝕖𝕤𝕚𝕞𝕠Trentacinque anni dopo il barbaro ass...
21/09/2025

𝕀𝕝 𝕔𝕠𝕣𝕒𝕘𝕘𝕚𝕠 𝕤𝕚𝕝𝕖𝕟𝕫𝕚𝕠𝕤𝕠 𝕔𝕙𝕖 𝕕𝕚𝕧𝕖𝕟𝕥𝕒 𝕗𝕦𝕥𝕦𝕣𝕠: 𝕃𝕚𝕧𝕒𝕥𝕚𝕟𝕠 𝕖 𝕚𝕝 𝕓𝕚𝕤𝕠𝕘𝕟𝕠 𝕕𝕚 𝕟𝕦𝕠𝕧𝕠 𝕦𝕞𝕒𝕟𝕖𝕤𝕚𝕞𝕠
Trentacinque anni dopo il barbaro assassinio del Giudice Beato Rosario Livatino, la sua memoria continua a parlarci come un monito e come un invito. La mafia lo ha ucciso perché incarnava un’idea di giustizia che non si piega alla logica del potere e della paura. Ma la sua figura ci ricorda qualcosa di più profondo: la necessità di costruire un’identità collettiva fondata sul coraggio etico, non sull’indifferenza o sulla complicità silenziosa.
La mafia non è solo un’organizzazione criminale: è una struttura psichica collettiva, una mentalità che alimenta la rassegnazione e la cultura della sopraffazione. Combatterla significa prima di tutto risanare le radici della nostra coscienza, imparare a riconoscere i meccanismi interiori che ci rendono complici della violenza quando preferiamo voltare lo sguardo.
Livatino diventa, in tal senso, una figura di “nuovo umanesimo”. Non un umanesimo astratto o retorico, ma concreto, fatto di responsabilità quotidiana, di silenzioso servizio, di capacità di unire fede, legge e giustizia senza scinderle. L’essere umano cresce quando riesce a integrare i propri valori con le proprie azioni: Livatino ha vissuto questa coerenza fino al martirio, e per questo è un seme di rinnovamento che ci interpella ancora oggi.
Ecco perché il suo esempio ci chiama anche a guardare oltre i confini della nostra storia nazionale. Perché la logica della violenza, che sia mafiosa o statuale, resta sempre la stessa: la riduzione dell’altro a oggetto, la cancellazione della dignità dell’essere umano. Non possiamo ricordare Livatino senza alzare la voce contro i genocidi e le stragi che si consumano sotto i nostri occhi. Oggi, di fronte al massacro del popolo di Gaza, che vive sotto bombardamenti e privazioni disumane, il silenzio sarebbe complicità.
Il nuovo umanesimo di cui abbiamo bisogno è quello che spezza ogni giustificazione alla violenza, che riconosce nell’altro non un nemico né un mezzo, ma un volto, una persona, un tu irripetibile. È la stessa visione che ha guidato Livatino: un’umanità che non si lascia anestetizzare dalla paura, che crede nella giustizia come strumento di liberazione, che non accetta che la vita venga calpestata da interessi di potere, economici o militari.
La memoria di Livatino è allora anche un invito alla resilienza collettiva: trasformare il dolore in coscienza, la paura in responsabilità, la rassegnazione in speranza. Solo così il sacrificio di chi ha pagato con la vita diventa seme fecondo di un futuro diverso, un futuro in cui la parola “giustizia” non sia più un’utopia, ma una realtà incarnata.
AF

Indirizzo

Via Giuseppe Sciuti, 54
Palermo
90144

Orario di apertura

Lunedì 10:00 - 20:00
Martedì 10:00 - 20:00
Mercoledì 10:00 - 20:00
Giovedì 10:00 - 20:00
Venerdì 10:00 - 20:00

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