24/03/2025
POST RIFLESSIVO
Chi è un ragazzo/a che ottiene voti alti a scuola ma di fronte al dolore di un compagno, scrolla via veloce come un video su uno smartphone invece di alzare lo sguardo e tendere una mano?
Che valore ha la sua padronanza dei sistemi informatici, se non riesce a riconoscere una semplice emozione? Cosa serve brillare in equazioni perfette, ma restare muto quando si tratta di offrire parole di conforto e rassicurazione?
Stiamo formando generazioni di straordinarie menti informatiche, matematiche, manageriali, ma affettivamente disorientate, depotenziate, incomplete.
Li inseguiamo con numeri, competenze e ambizioni,stimolando alla performance, come unico valore ,dote , utile alla crescita personale e professionale, dimenticando di coltivare il seme dell’empatia, l'osservazione, il linguaggio, la comunicazione.
Sono esperti di algoritmi, ma spesso ignari delle dinamiche relazionali. Navigano con estrema abilità nel mondo digitale, ma nella realtà fisica, quotidiana, possono sentirsi persi e soli, tanto da riconoscersi nel primo ed escludersi nel secondo. Prima di diventare dei prodigi, dovrebbero imparare a essere autenticamente umani.
Prima di indossare i panni dei professionisti, dovrebbero scoprire ciò che significa essere persone.
Perché la vera intelligenza non è solo artificiale: è quella che sa ascoltare un bisogno profondo e rispondere con il cuore, non con un semplice clic.