15/12/2025
I "momenti asfalto fresco"
Mia figlia ha un po’ di problemi in matematica.
È entrata in quella fase oscura della materia, quel momento che per molti è stato uno shock: le frazioni, i decimali, le equivalenze.
È dura, eccome se è dura.
Per lei, certo, ma è dura anche per me ripetermi come un mantra cose assurde tipo “Montessori Montessori Montessori” oppure “Le punizioni corporali sono perseguibili, attento”, quando dopo mezz’ora lei mi ripresenta sempre lo stesso, identico, errore.
Però si fa.
E perché si fa?
Perché questi sono i “momenti asfalto fresco”, come li chiamo io.
Cosa sono i momenti asfalto fresco? Be’, sono quelli che qualsiasi cosa succede, devi stare attento perché poi restano per sempre. Se si imprime un segno, rimane. Bello o brutto che sia.
Tradotto: se adesso lei dovesse cominciare a pensare “Io e la matematica non andiamo d’accordo”, quello è asfalto fresco. L’idea rischia di restare lì, incistata nella sua testa per tutta la vita.
Può la scuola fare questo da sola, evitare che succeda, tutto da sola?
Secondo me, no.
Lei ha dei bravissimi insegnanti, e in classe sono pure pochi. Eppure ci sono cose che richiedono tanto tempo e fatica per essere interiorizzate. La scuola non può fare tutto da sola.
E non è tanto per i concetti, le cose da imparare: è proprio per evitare che si formi quel pensiero, “Io non ce la faccio”.
Perché poi è difficilissimo toglierlo da lì.
Quanti ne ho visti, alle medie: che si vedeva benissimo che avevano tutto il potenziale, ma nemmeno ci provavano. E perché? Perché una vocina, dentro di loro, era lì a dirgli: “Non ce la fai”.
Asfalto fresco. Questo è.
Mia figlia è fortunata.
Ha due genitori più tre nonni che la seguono sempre. Che la pungolano, le stanno addosso. Non le permettono neanche per mezzo secondo di pensare “Io non ce la faccio”.
Quando sarà alle medie, o alle superiori, se dovesse continuare ad andare bene come va – a parte ehm matematica – chissà quanti potrebbero pensare “Che brava, questa merita davvero!”
Ma gli altri?
Per questo mi fanno e mi faranno sempre ridere tutti i discorsi sul merito. Chiunque li fa, o è in malafede o, purtroppo, non sa come vanno davvero le cose.
Le cose vanno che non c’è nessun merito a nascere in una famiglia con 1456 libri in casa.
Le cose vanno che non c’è nessun merito ad avere intorno a te persone che riconoscono il valore salvifico della scuola, perché a loro volta lo hanno imparato dalla famiglia da cui provengono.
Vanno che non c’è nessun merito ad avere un papà che a tre anni ti aveva già raccontato l’intera mitologia greca, facendo le voci, le scene, tipo teatro in casa (chissà chi eh).
Non c’è nessun merito a crescere in una famiglia invece che in un’altra.
Questo è chiamare merito una cosa che ha solo un nome: partire avvantaggiati.
Un vantaggio invisibile, certo.
Ma con quel vantaggio invisibile, i bambini diventano ragazzi e ragazze, e poi uomini e donne, e sembra che abbiano una marcia in più degli altri. Più determinazione. Più sicurezza in sé stessi.
Quella determinazione, quella sicurezza, non sono lì per caso.
Sono lì perché a un certo punto è arrivato – come a tutti – un momento asfalto, e c’era qualcuno a lasciare un segno bello, al posto di uno brutto.
E poi è ovvio che abbiano più probabilità di successo. A scuola, nel lavoro, nella vita.
Anzi, quasi matematico.