Dott.ssa Maria Luisa Taurino - Psicologa

Dott.ssa Maria Luisa Taurino - Psicologa Psicologa Clinica, Psicoterapeuta Biosistemica.

22/07/2025

Celle chiuse fino a ventidue ore al giorno, sovraffollamento record, mancanza di personale. L’istituto milanese riassume tutto quello che non va di un sistema che somiglia a una trappola. Leggi l'articolo di Luigi Mastrodonato: intern.az/1NIw

29/06/2025

La professione di Psicoterapeuta è un privilegio. Ci è concesso di entrare nella vita delle persone, a contatto con tante diverse vulnerabilità e modi di sentire.
Per questo, secondo me, siamo i primi a dover lavorare di più per combattere lo stigma esistente nei confronti della Salute Mentale. Facciamo ancora troppo poco.

02/06/2025

⭐️Importante donazione de La Doppia Elica per potenziare il supporto psicologico dedicato alle pazienti seguite dalla Breast Unit

17/05/2025

Buon
Il 17 maggio 1990 l’omosessualità viene cancellata dalla lista delle malattie mentali nella classificazione internazionale pubblicata dall’Organizzazione mondiale della sanità.

08/05/2025

La notizia che arriva da Piacenza, con l’arresto di una persona accusata di gravi abusi su colleghe e collaboratrici, non può lasciarci indifferenti.

È un fatto che scuote, che indigna e che impone una riflessione profonda su cosa significhi davvero garantire ambienti di lavoro sicuri, rispettosi e liberi da ogni forma di prevaricazione.

Come Ordine delle Psicologhe e degli Psicologi dell’Emilia-Romagna, esprimiamo la nostra vicinanza alle persone coinvolte e a tutte le professioniste che, in sanità e non solo, si trovano a lavorare in contesti segnati da squilibri di potere e cultura del silenzio.

Sappiamo quanto sia difficile denunciare, parlare, chiedere aiuto. Per questo, ogni segnalazione va accolta, sostenuta e protetta. Ma non basta.

Serve un impegno più ampio, che metta davvero in discussione i modelli culturali che continuano a tollerare – o minimizzare – dinamiche di abuso, intimidazione e dominio.

Non si tratta solo di comportamenti individuali, ma di un clima patriarcale ancora troppo presente, anche dentro le organizzazioni e le istituzioni.

Un clima che va riconosciuto, nominato e trasformato, perché la prevenzione non sia solo un’intenzione, ma una responsabilità concreta e quotidiana.

Promuovere il rispetto significa costruire spazi di lavoro in cui ogni persona, indipendentemente dal ruolo o dal genere, possa sentirsi al sicuro.

È da lì che passa la qualità delle relazioni, la fiducia tra colleghi e anche la qualità della cura che offriamo a cittadine e cittadini.

26/04/2025

“La Doppia Elica” porta il 5×1000 alle pensiline degli autobus: volti e valori in prima linea Un’iniziativa originale che vede protagonisti i consiglieri dell’Associazione, i cui volti campeggiano sulle pensiline degli autobus della città creando così un legame diretto e autentico con i c...

06/04/2025

Ieri Francesca Mannocchi a Propaganda Live ha dato vita a uno dei monologhi più importanti, intensi, necessari forse mai pronunciati in televisione.

In questo straordinario intervento, di una grande giornalista, ha detto tutto quello che ha senso dire oggi sul femminicidio, su Sara Campanella, su Ilaria Sula, sulla violenza di genere, sulla cultura del possesso, sul linguaggio tossico dei media, sulla colpevolizzazione della vittima, su Nordio e su certa propaganda razzista di una classe politica indegna.

Prendetevi cinque minuti per leggerlo e ascoltarlo fino in fondo. Salvatelo, condividetelo. Praticatelo.

“Sara Campanella era una studentessa universitaria, aveva 22 anni e frequentava il corso di laurea in tecniche di laboratorio biomedico.
Lo frequentava finché un suo compagno di corso, Stefano Argentino, di anni 27, l'ha accoltellata alla gola per strada a Messina. Il giorno prima che venisse uccisa Sara ha scritto alle sue amiche: “Il malato mi segue”.
L'accoltellamento è avvenuto a una fermata dell'autobus al centro della città. Sara Campanella è morta prima di arrivare al vicino policlinico universitario, lo stesso dove Sara Campanella faceva il tirocinio.

Anche Ilaria Sula era una studentessa universitaria e anche lei aveva 22 anni, frequentava il corso di laurea in Statistica alla Sapienza qui a Roma.
Lo scorso 25 marzo è scomparsa, almeno finché il suo corpo è stato trovato in una valigia in fondo a un dirupo nel comune di Poli, a 30 chilometri da Roma. L'ha uccisa il suo ex fidanzato, Mark Samson, 23 anni, anche lui studente, di Architettura. L'ha uccisa, l'ha messa dentro una valigia e l'ha lanciata da un dirupo.

Due femminicidi, gli ultimi. Da dove partiamo? Come sempre dai numeri. I numeri non prevedono opinione, ma dovrebbero prevedere l'acquisizione di una consapevolezza, dovrebbero chiederci di capire qual è il contesto sociale, culturale che produce i femminicidi e poi da lì dare risposte politiche, responsabilità.

“Differenza Donna”, l'associazione impegnata nella difesa dei diritti delle donne contro la violenza di genere, ci dà alcuni dati, per esempio i dati del 1522, - continuiamo a memorizzare questo numero, è il numero antiviolenza, il 1522. Dal 2020 i contatti del 1522 sono raddoppiati, erano 30 mila nel 2020, 60 mila nel 2024. A chiamare sono donne prevalentemente dai 35 ai 50 anni, donne all'interno di una relazione che subiscono violenze dai mariti, dai compagni, da persone con cui hanno scelto di fare dei figli.

Sono donne normali, con lavori normali, che hanno relazioni con uomini che noi definiamo normali, come gli assassini di Sara Campanella e Ilaria Sula. In 30 anni di attività “Differenza Donna” ha accolto 70 mila donne, 140mila bambine e bambini. Nel 2024, l'anno scorso, le donne di nazionalità italiana sono state 1.550, le migranti comunitarie 1.150, le migranti non comunitarie 400.

Ieri il Ministro Nordio ha detto che alcune etnie hanno una sensibilità diversa dalla nostra verso le donne e a guardare dai numeri viene da dire meno male. Dobbiamo guardare i dati certo, però in Italia non esiste una banca dati istituzionale pubblica completa sui femminicidi. I dati più importanti, significativi sono quelli dell'osservatorio “Non una di meno”: nel 2023 su 120 donne uccise, 96 sono state uccise in ambito affettivo, familiare. Nel 2024 su 115 donne uccise, 99 sono state uccise in ambito affettivo e familiare. In 50 casi l'assassino era il marito, il compagno, il convivente, in 14 il figlio, in 12 è stato l'ex compagno.

Le persone uccise conoscevano chi le ha uccise. Da dove nasce la violenza? La violenza nasce dal linguaggio, dalle parole, partiamo da lì, dal lessico sbagliato, fuorviante, incompleto, dannoso che usiamo per descrivere questo fenomeno, quello del “troppo amore”, del “delitto passionale”, “dell'impeto di rabbia”. La violenza di genere non si affronta come si dovrebbe perché le parole che usiamo per raccontarla riflettono la cultura del dominio dell'uomo sulla donna.

Dove cresce, nasce, dove germoglia la violenza? Nell'educazione, nelle parole che associamo ai fenomeni, perché le parole alimentano il nostro comportamento e il comportamento costruisce la cultura e fa le società. Il linguaggio ci consente di costruire la cultura, certo, ma anche di mascherarla di mistificarla, come le storie che parlano di donne che vengono assassinate, ma non di uomini che uccidono, sono le donne che vengono violentate, ma non gli uomini che violentano, sono tutte cornici queste, cornici che servono a reiterare l'idea che la violenza contro le donne sia rara, anormale, imprevedibile, la verità è che questi uomini fanno parte di una rete del linguaggio, di credenze e comportamenti normalizzati che continuano a perpetuare quella violenza e noi, i mezzi di informazione, abbiamo un ruolo potente e definitivo da svolgere nel plasmare la comprensione sulla violenza di genere: “Diceva che mi avrebbe tolto il bambino”, “voleva lasciarmi”, uccide la moglie malata, “è un gesto d'impeto”, “l'ha uccisa perché aveva l'Alzheimer”, “il marito era provato”. Oppure le foto che rappresentano queste donne e questi uomini, le donne abbracciate al loro assassino morte e condannate a vita nella loro memoria ad essere ricordate, abbracciate agli uomini che le hanno uccise. È così il racconto pubblico, le donne ammazzate perché “erano amate troppo”, perché questi uomini proprio non riuscivano a sopportare che le donne avessero deciso di chiudere una relazione, non accettavano la separazione. Uomini di cui i vicini o parenti intervistati sull'omicidio dicono sempre “non avrebbero mai avuto motivo di uccidere”, “erano proprio persone normali”. I “raptus”, i racconti romanzati dell'omicidio, la colpevolizzazione della vittima, come negli ultimi casi, gli ultimi due. “Due anni di stalking, ma lei non aveva mai denunciato”, così ha titolato ieri un quotidiano romano, insinuando il dubbio che forse certo se lei avesse denunciato chissà… E invece no, non è mai lei, è lui che è un assassino.
“Aveva sottovalutato il pericolo”, lei, la vittima. Lui “un ragazzo riservato e schivo, appassionato di moto”, e chi se ne frega se Stefano era appassionato di moto, Stefano era un assassino.

Quasi tutte le donne che conosco sono state molestate sessualmente a un certo punto della loro vita, se non insulti, commenti sessuali indesiderati da parte di colleghi, amici, parenti, e poi violenza fisica, violenza sessuale. Abbiamo combattuto la vergogna, l'esempio di famiglie che ci hanno cresciuto più o meno consapevolmente pensando che la libertà andasse se necessario sacrificata. Alle più fortunate di noi hanno insegnato a essere libere, le meno fortunate lo hanno imparato da sole, imparando a riconoscere gli stereotipi che hanno introiettato loro malgrado, a ucciderle l'archetipo in cui la cultura - la cultura e non la natura - avrebbe voluto ingabbiarle, quella in cui le donne stanno dove devono stare, in disparte, mentre gli uomini comandano.

Ora no, vogliamo una stanza tutta per noi, una stanza dove siamo libere, sappiamo dire no. Una stanza dove insegniamo alle nostre figlie a dire no e dove insegniamo ai nostri figli che quei no si rispettano, esercitiamo una libertà emotiva, sentimentale, fisica e sessuale, mentre ci vorrebbero ancora silenziose, ci vorrebbero ancora al nostro posto mentre loro comandano.
E invece no, stiamo scardinando il perimetro di una lingua che ci ha visto per anni ingabbiate a modello accudente, a una postura materna e votiva.
E invece no, il danno, il danno che ci hanno prodotto gli abusi che abbiamo supito è irriparabile, ma la lingua no, la lingua è irriparabile e sarà la nostra prima e ultima forma di giustizia.
Cominciamo a capovolgere il lessico per demolire la violenza contro le donne, come ha fatto Giselle Pelicot: non siamo noi che dobbiamo vergognarci, la vergogna deve cambiare lato perché ci vogliamo tutte vive.”

Grazie Francesca. 🙏

02/04/2025

Autismo, perché i casi continuano ad aumentare I disturbi dello spettro autistico rimandano a una condizione molto eterogenea caratterizzata dalla comparsa precoce di una difficoltà nella comunicazione e dell'interazione sociale e di comportamenti ripetitivi e interessi ristretti. Coinvolgono in...

30/03/2025
22/03/2025

🎭 L’arte entra nei luoghi di cura!
Parte il progetto CHICHURACHI, ideato da Vincenzo Picone con la compagnia teatrale AnelloDebole: le strutture “F. Santi” e “Primo Maggio” diventano residenze artistiche ospitando compagnie teatrali per esplorare il legame tra arte e cura, facilitare relazioni e creare ponti con la comunità.
Da marzo a giugno, gli artisti vivranno nei centri insieme a ospiti e operatori, dando vita a performance condivise.
Un’iniziativa unica, dove il teatro diventa spazio di incontro, ascolto e trasformazione. Grazie di cuore ad AnelloDebole, Teatro Medico Ipnotico, Hombre Collettivo e Teatro Selvatico per questo modo nuovo di abitare il tempo e i luoghi della cura, con bellezza e creatività.🥰
Anellodebole
Teatro Medico Ipnotico - Patrizio Dall'Argine
Hombre Collettivo
Teatro Selvatico
https://tinyurl.com/yw6tzfmm

13/03/2025

Il consenso è un elemento fondamentale in tutte le relazioni🤘
Incoraggiare la riflessione su questo tema così importante è essenziale per vivere relazioni sane e positive.
👉Scopriamo insieme le caratteristiche che ha il consenso nella sessualità

08/03/2025

Come ogni anno, l'8 marzo non è un giorno di celebrazione, ma una giornata di riflessione, memoria e lotta. Un’occasione per fermarci a riflettere su quanto ancora dobbiamo conquistare in termini di uguaglianza e sui diritti che, come ha sottolineato Simone de Beauvoir, non possiamo mai considerare acquisiti, soprattutto in tempi di regressione. La strada per raggiungere la parità di genere è ancora lunga, ma la lotta per un futuro di uguaglianza non si ferma. Oggi, come ogni giorno, lottiamo per una società in cui la parità sia finalmente una realtà

Indirizzo

Parma

Orario di apertura

Lunedì 09:00 - 18:00
Martedì 09:00 - 18:00
Mercoledì 09:00 - 18:00
Giovedì 09:00 - 18:00
Venerdì 09:00 - 18:00

Telefono

+393474984454

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