
02/06/2025
Tu non balli.
È una cosa tua. Non balli.
Non importa quanto ti piaccia la musica. Non importa quanta gente stia ballando.
Tu non balli e non ballerai mai. L'hai capito abbastanza presto.
Non è servito che nessuno te lo dicesse. Ci sono cose, nella vita, che capisci subito che non fanno per te. Cose che, per quanto ti sforzi, non sarai mai in grado di fare. Ci metti una bella croce sopra e vai avanti senza troppi patemi.
Tu non nuoti.
Avevi otto anni quando l’istruttore t’ha detto: tuffati tranquillo che ti prendo io. Tu ti sei tuffato, lui si è scansato. Quando sei riemerso, ti sei trascinato fuori dalla piscina, sei sfilato davanti a mamma e senza guardarla hai detto: mai più.
Tu non canti.
Ti hanno fatto cantare alle medie. In piedi, davanti a tutta la classe. È stato orribile, era come fingere di provare un’emozione. Loro hanno riso, armonici. Tu, da allora, in silenzio.
Tu non piangi.
Da quando ti hanno spiegato che non si fa. Da quando hai deciso che hanno ragione. Da quando hai deciso che piangere è una vergogna, un’umiliazione. Piangere è pisciarsi addosso dagli occhi. E adesso ti imbarazza chi piange, lo guardi pietoso chi piange. E tieni tutto dentro che è molto più facile, molto più pratico. Non sapendo, in realtà, quanto spazio ci sia dentro. Sperando sia abbastanza.
Tu non ti arrabbi.
Non t’incazzi, non alzi la voce.
C’era già abbastanza gente a casa che lo faceva al posto tuo.
Tu non ti lamenti.
Non importa se stai male, se non dormi. Tu reggi, somatizzi. Accogli la gastrite come una vecchia amica, il bruxismo come un parente. Perché lamentarsi per te è chiedere un abbraccio durante un incendio: fuori luogo, forse persino pericoloso. E anche non ci fosse l’incendio, tu una cosa ormai l’hai decisa: in questa vita, non vuoi disturbare.
Tu non dici di no.
Una volta te l’hanno detto e tu sei stato malissimo. Da allora, niente no. Il termine tecnico sarebbe people pleaser. La banale verità è che sei convinto di dover dimostrare a tutti di meritarti la permanenza sul pianeta.
Tu non ti prendi mai una pausa.
Perché l'orrore vero è l’horror vacui. Perché stare fermo significa ascoltare il tempo che passa. Perché finché hai qualcosa a cui dedicarti, hai una scusa per non dedicarti a te.
Tu non sogni.
Per abitudine, per comodità, per autoconservazione. Perché dopo una certa età diventa imbarazzante.
Tu non chiedi aiuto.
Non è più orgoglio ormai, è istinto. Ti sei fatto quest’idea che chiedere aiuto sia il modo più veloce per certificare il fallimento. E tu non puoi essere un fallito, perché chi mai vorrebbe bene a un fallito? Quindi fai tutto da solo. E fai casini. E ti logori. E rispondi sempre: “tutto a posto”. Finché non ci credi pure tu.
E così, senza accorgertene, la tua vita è diventata un labirinto di divieti.
Un corridoio lungo fatto di porte che hai deciso essere chiuse prima ancora di provare ad aprirle.
A forza di dirti chi non sei, hai smesso di scoprire chi potresti essere.
E magari va bene così. Meglio una vita già vista che un’umiliazione nuova ogni volta che esci dal tracciato. Incastrato nell'autoipnosi dei "sei abbastanza", del positivismo spiccio.
Poi un giorno succede qualcosa.
Poca roba.
Una persona ti guarda. Ti ascolta. Ti fa una domanda semplice, una domanda a cui di solito rispondi in automatico.
E tu stai per ti**re fuori uno dei tuoi trucchi, dei tuoi diversivi, dei tuoi alibi, delle tue cazzate. Ma quella volta qualcosa si inceppa.
Magari succede in una stanza con un estraneo che prende appunti. O sul divano di un’amica. O durante una serata a cui non volevi neanche andare.
Succede che qualcuno, qualcosa – uno sguardo, una voce, la domanda giusta – riesce a scardinare uno di quei “non”.
E all’improvviso tutto cambia.
Tu non balli.
Non balli mai. Non hai mai ballato.
Non balli perché non sai ballare. Non balli perché hai il baricentro dalle parti del collo. Non balli perché riesci a malapena a camminare decentemente, figurarsi muovere tutte quelle cose a ritmo di musica.
Non balli perché quando balli non è semplicemente brutto. È grottesco.
Sembri una di quelle strane bestie dei quadri di Bosch. O uno dei primi anfibi che faticosamente ha lasciato gli oceani per conquistare la terra ferma. O uno struzzo che rotola giù dalle scale.
No.
Nessun ballo. Niente ballo. Mai.
Poi un giorno lei ti chiede di ballare.
E tu dici di sì.
E balli con lei.
E sembri davvero il goffo abominio anfibio che temevi saresti stato.
Ma lei non ride.
Lei ti guarda negli occhi e balla con te.
E alla fine dice: “Sai che balli benissimo?"
E tu, perdutamente scemo, le credi pure.
E cominci a fare cose che avevi deciso di non fare per tutto il resto della tua vita.
Tipo ballare.
Il testo è di Nicolò Targhetta e la grafica di Amandine Delclos.