22/10/2025
AMARE NEL BUIO 🖤
A volte, ascoltando le amiche e le pazienti che parlano delle loro relazioni, dei compagni, dei mariti, degli amanti, dei fidanzati, viene da pensare che anche alcune madri vivano una relazione complicata. Non con un uomo, ma con le proprie figlie o i propri figli adolescenti. Una relazione difficile, intensa, a tratti tossica, che consuma e lega allo stesso tempo.
Chi lavora da anni con le relazioni, con la violenza sulle donne, con la dipendenza affettiva e con le ferite invisibili, lo sa: l’amore non basta sempre. E tutto ciò che si conosce della mente umana, dei confini sani, delle dinamiche di potere e di dolore, può dissolversi quando si parla di un figlio.
La depressione, nelle famiglie, non arriva quasi mai all’improvviso. Non fa rumore. Entra in punta di piedi, si insinua piano, cambia l’aria delle stanze e la qualità dei silenzi. All’inizio sembra solo stanchezza, sbalzi d’umore, fisiologica turbolenza adolescenziale. Le madri osservano, cercano di capire, poi di interpretare, poi di aggiustare e spesso non sanno dire quando smettono di negare ciò che accade. Forse non esiste un momento preciso, ma una lenta presa di coscienza, come se un velo cadesse un po’ alla volta e arriva un giorno in cui la depressione non è più una parola lontana: è lì, dentro casa, negli sguardi, nei silenzi, nella fatica quotidiana. E non può più essere ignorata.
Tra una madre e un figlio che soffre si crea un circolo, a volte vizioso, a volte virtuoso. Un movimento continuo, fatto di liti e di abbracci, di parole che feriscono e di gesti che curano. Un laccio saldo che quando viene mollato, dopo aver tirato a lungo, può fare molto male. Ci sono giorni di urla, di porte sbattute, di silenzi che fanno male. E poi giorni di tregua, di vicinanza improvvisa, di risate che restituiscono per un attimo ciò che si pensava perduto.
È una danza confusa, stancante, bellissima e dolorosa, in cui spesso non si sa più chi guida e chi segue. Ci sono momenti in cui la madre rincorre, altri in cui il figlio respinge, e spesso entrambi si ritrovano a girare in tondo, senza capire dove sia l’inizio e dove la fine.
Molte madri lo sanno: queste relazioni diventano un intreccio di amore e dipendenza. Da una parte, un figlio che cerca una salvezza difficile da trovare. Dall’altra, una madre che cerca la conferma di non aver fallito. E in mezzo, la fatica immensa di restare presenti, senza invadere. La consapevolezza che il figlio avrebbe bisogno di calma, di spazio, di fiducia, e la difficoltà, così umana, di riuscire davvero a darglieli.
Ogni madre, quando la depressione entra nella vita del proprio figlio, cerca dentro di sé tutti gli strumenti che conosce. Prova a essere competente, comprensiva, accogliente. Analizza ogni gesto, ogni parola, ogni silenzio, cercando spiegazioni. Si dice che sia una fase, che sia il bisogno di indipendenza, la rabbia, la ricerca di sé, ma, nonostante tutta la razionalità possibile, arriva un punto in cui la teoria non basta più.
Ci sono momenti in cui tutto si ferma, in cui si ha la sensazione di essere risucchiate in un buio che non illumina più niente. Un punto morto, dove la fatica di capire si trasforma in paura di perdersi. Dove non si sa più se si sta scendendo per aiutare o semplicemente perché non si riesce a restare a galla da sole.
Molte madri, in quei momenti, si sentono sole, anche se non lo sono. Hanno magari accanto un compagno, una madre, amiche, eppure manca qualcosa: un appoggio sicuro, uno spazio dove poter cadere senza doversi rialzare subito. Sanno di avere risorse, ma a volte le sentono lontane, come se fossero sott’acqua.
Le emozioni del figlio diventano onde che travolgono. Un giorno bene, un giorno male, poi un po’ meglio, poi peggio. Su, giù, su, giù. Una mareggiata continua. E ogni volta si spera che la calma arrivi, ma un’altra ondata rompe l’equilibrio, e tutto ricomincia.
È come stare su un ring. Una madre e un figlio, non come avversari, ma come due esseri che non possono tirarsi fuori dal combattimento. Ogni colpo dell’uno si riflette sull’altro, ogni caduta lascia entrambi senza fiato. Forse è per questo che alcune madri cercano nel corpo un modo per resistere: correre, nuotare, ti**re pugni contro l’aria. Allenarsi a reggere, a restare in piedi, a respirare anche quando fa male. Perché a volte l’amore è proprio questo: un colpo allo stomaco che piega, ma non spegne.
Questo post nasce da qui, da questo spazio di buio e di vita insieme, dal bisogno di capire come si possa amare un figlio che soffre senza perdersi nel tentativo di salvarlo, e dalla consapevolezza che la depressione non colpisce mai una persona sola, ma intere costellazioni di legami.
Scrivere di depressione in adolescenza non è solo un atto professionale: è un gesto di restituzione. È il desiderio di dire che dentro il dolore può esserci comprensione e dentro la fragilità può nascere forza. Perché, forse, il buio non si vince con la luce, ma con la presenza. Con l’essere lì. Anche quando non si sa più come fare.
- Mamma con Bambino dei pittore francese Leon Bazile Perrault, vissuto fra il 1832 e il 1905 -