09/07/2025
Il vero pericolo? La disinformazione sugli alberi
Ogni volta che cade un albero in ambito urbano – per un temporale, per vento forte, o per fatica meccanica – parte la liturgia mediatica. Si cercano subito colpevoli, si intervistano urbanisti, agronomi generici, opinionisti, consiglieri municipali, esperti in sicurezza pubblica, addirittura passanti e influencer locali. Tutti, tranne chi si occupa realmente di alberi, con strumenti e metodo: gli arboricoltori professionisti.
Il risultato? Un telefono senza fili che trasforma una valutazione tecnica in un racconto mitologico: “l’albero sembrava sano”, “era troppo alto”, “non si vedevano problemi”, “è colpa delle radici”, “era inclinato”. Espressioni vaghe, spesso infondate, ma che diventano virali. Se poi qualcuno osa parlare di rischio associato agli alberi, si tocca l’apoteosi del fantascientifico: numeri inventati, generalizzazioni arbitrarie, panico da “alberi killer” e campagne social che invocano la “messa in sicurezza” (espressione ambigua e tecnicamente priva di senso in arboricoltura).
E così, la voce arriva all’orecchio di qualche gestore amministrativo in cerca di giustificazioni. Non importa se un albero è stato valutato da un tecnico qualificato o se non presenta reali fattori di pericolo: il caso isolato diventa alibi per un’intera campagna di abbattimenti preventivi, fondata su un misto di superstizione e disinformazione. Una risposta emotiva che trova paradossalmente conforto proprio nella diffusione dei social: basta un post, una foto e una frase fatta.
I numeri veri
Per chi si occupa seriamente di gestione del verde, la realtà è diversa. I dati parlano chiaro:
Morti per incidenti stradali in Italia: circa 3.150 l’anno (fonte ISTAT – ACI, 2022)
Morti da fulminazione: 10–20 all’anno, in media (fonte CNR e Meteo.it)
Morti causate dalla caduta di alberi: tra 0 e 6 all’anno (dati raccolti da ISPRA, Protezione Civile, stampa nazionale)
Sì: sei persone all’anno, in un Paese con oltre 60 milioni di abitanti e milioni di alberi in ambito urbano, periurbano e infrastrutturale.
Eppure, nonostante il rischio oggettivamente trascurabile (nell’ordine di 1 caso su 10 milioni l’anno), si continua a reagire come se l’albero fosse un nemico pubblico. Un assurdo totale, se consideriamo il ruolo degli alberi nel mitigare gli effetti del cambiamento climatico, abbattere le temperature urbane, trattenere le polveri sottili, stabilizzare i suoli e migliorare la salute pubblica.
Conclusione
In un Paese serio, i dati dovrebbero guidare le decisioni, non le leggende metropolitane. Serve cultura arboricolturale, non isteria collettiva. Serve formazione e valutazione tecnica, non propaganda a colpi di accetta.
E soprattutto serve dire le cose come stanno: l’albero pericoloso è una rarità, il rischio è quantificabile, e le scelte gestionali vanno fatte con criterio tecnico, non per riflesso pavloviano a una notizia letta su Facebook.
Altrimenti, continueremo ad abbattere alberi per paura di sei incidenti l’anno, mentre ignoriamo le migliaia di morti per inquinamento, traffico e caldo urbano. Complimenti a chi, così facendo, “mette in sicurezza” la propria coscienza. Ma a scapito della salute di tutti.