02/05/2025
Metalogo con la Macchina: l’intelligenza artificiale nei sistemi della cura.
Chissà cosa penserebbe “ Gregory Bateson” del nostro lavoro clinico e formativo in cui ci troviamo oggi, dove spesso, ci troviamo a dialogare e “metalogare” con presenze artificiali: strumenti digitali, algoritmi di classificazione, chatbot sempre più sofisticati.
Anche se facciamo ancora fatica ad accettarlo pienamente, l’intelligenza artificiale non è più solo una tecnologia esterna da temere o combattere, ma una realtà che già attraversa i nostri sistemi relazionali: famiglie, coppie, istituzioni, pratiche cliniche.
Forse in modo sottile, ma profondo.
Ignorare o escludere l’IA dal nostro sguardo terapeutico non la rende meno influente. Al contrario, non integrarla attivamente nel nostro pensiero rischia di lasciare il campo a utilizzi distorti o riduttivi, spesso guidati da logiche commerciali, imprenditoriali o di automazione del lavoro relazionale.
Il pericolo maggiore, quindi, non è tanto nell’IA in sé, ma nell’assenza di un pensiero critico che la accompagni.
Già oggi assistiamo alla diffusione del paziente “fai da te”, che consulta chatbot terapeutici, segue consigli algoritmici, si auto-diagnostica attraverso strumenti automatizzati. Questo scenario, se non compreso e integrato, rischia di produrre solitudini digitali, pseudo-relazioni e nuove forme di disconnessione emozionale.
Un ulteriore rischio, forse ancora più profondo, riguarda l’abdicazione epistemica da parte dei contesti clinici e formativi.
Se non ci interroghiamo oggi sul senso, sull’uso e sui limiti dell’IA, altri lo faranno, spesso con finalità estranee alla cura e alla complessità del soggetto.
Le grandi aziende tecnologiche stanno già intervenendo nel campo della salute mentale, proponendo soluzioni scalabili, rapide, automatizzate. Senza un pensiero sistemico, relazionale e critico, potremmo trovarci a delegare a questi modelli la definizione stessa di “benessere” o di “relazione terapeutica”.
L’ingresso dell’intelligenza artificiale nei sistemi umani, e potenzialmente anche nei contesti terapeutici, ci invita a ripensare alcune assunzioni fondamentali della pratica e della teoria sistemico-relazionale.
Senza pretendere di definire un nuovo ordine cibernetico, forse è il momento di aprire un dialogo collettivo su come l’osservazione, la narrazione e la costruzione del senso cambino quando entra in gioco un’intelligenza non-umana.
Più che proporre risposte, questo articolo vuole porre domande:
• cosa significa “relazione” quando qualcuno che fa parte del contesto è artificiale?
• in che modo l’IA può essere integrata come risorsa critica e non come scorciatoia interpretativa?
• quale postura terapeutica è necessaria per abitare con consapevolezza questi nuovi spazi dialogici?
L’immagine ovviamente è generata con AI.
Dott. Francesco Novelli, Psicoterapeuta