Scintille di Saggezza - pagina

Scintille di Saggezza - pagina La Pagina approfondisce e promuove la spiritualità universale del gruppo di dialogo interreligioso Scintille di Saggezza.

🍁°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•🍁              ✝️CRISTIANESIMO✝️🎙Audioletture🔸️Beata te che ha credutodi Carlo Carretto🤱D...
23/11/2025

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✝️CRISTIANESIMO✝️

🎙Audioletture

🔸️Beata te che ha creduto
di Carlo Carretto

🤱DIO MIO, FIGLIO MIO

Durante l'Avvento mi trovavo sulle dune chiare e calde
di Beni Abbes, la stupenda oasi sahariana.
Avevo deciso di prepararmi al Natale in solitudine e
avevo scelto come luogo il pozzo di Ouarourout dove l'acqua era abbondante e una piccola grotta naturale poteva servire da ca****la.
Partii dopo la festa dell'Immacolata con un tempo bellissimo e con una gran voglia di solitudine.
Ma... il tempo non tardò a cambiare e il deserto divenne livido e freddo per la bruma alta che copriva il sole.
Anche la solitudine diventò difficile perché mi aveva scoperto Alì, figlio di Mohamed Assanì, un vero amico che pascolava le sue undici pecore nei paraggi e che era assetato di compagnia e di conversazione.
Sembrava che lo facesse apposta, ma non sapeva più trovare per le sue bestie pascoli più adatti e più ricchi di Ouarourout.
Mi girava attorno, da lontano s'intende, perché sapeva
che quando ero in preghiera doveva... star lontano e non
disturbarmi.
Il pozzo era comune e quindi era giustificato ad avvicinarsi quando andavo ad attingere acqua.
Naturalmente ne approfittava per invitarmi al tè che
preparava lui dopo aver preso tutto l'occorrente nella mia tenda.
Alì faceva bene il tè e amava prenderlo con me accompagnandolo con pane ch'io avevo cotto sotto la cenere.
Poi partiva al pascolo e per tutta la giornata s'accontentava di guardarmi da lontano cercando nella sabbia
piccoli fossili e reperti archeologici come punte di freccendell'età della pietra che poi regolarmente mi vendeva.
Il tempo si fece più cattivo e dovetti rinforzare le corde
che tenevano la tenda, prevedendo la bufera che nel deserto è terribile.

La tempesta si scatenò ben presto. Chi è stato nel deserto sa cos'è la tempesta di sabbia.
Per dirvi ciò che può capitare basta ricordarvi che in pieno giorno dovete accendere i fari della macchina per
vedere la pista, e i vetri e la vernice diventano smerigliati dalla violenza della sabbia.
L'unico mio rifugio diventò la grotta e là pensai di restare giorno e notte non volendo interrompere il ritiro.
Pensando ad Alì che non avevo più visto, mi convinsi che doveva avere capito a tempo le cose e, per non farsi
sorprendere dalla tempesta, aveva certamente raggiunto
l'ovile e la tenda paterna che si trovavano a una dozzina di chilometri da Quarourout, esattamente all'incrocio della strada di Bechar.
Invece!
Me ne stavo pregando nella grotta quando lo vidi irrompere di corsa, agitato all'estremo e col suo bastone di
pastore.
«Vieni, vieni fratel Carlo. Le pecore stanno morendo
nella sabbia: sono perdute... aiutami».

Corsi alla macchina e con lui ci buttammo nel deserto sconvolto dal vento e dalla sabbia che ci accecava.
Non fu facile ritrovare in quell'inferno le pecore. Erano spaventate, indebolite e vagavano qua e là tra le raffiche
di sabbia e di pioggia che aveva incominciato a cadere.
Non avevo mai visto niente di simile ed esperimentai
ancora una volta come nel deserto vita e morte siano così vicine di casa.
Mentre io guidavo la macchina e cercavo di non smarrirmi, Alì si precipitava sulle pecore e ad una ad una le intasava sulla macchina esauste e inebetite dalla paura.
Riuscimmo a portare le pecore nella grotta, unico rifugio possibile per sfuggire a quell'uragano che ci tagliava il respiro.
La piccola grotta fu piena di lana, di belati e di acre odore
di gregge.
Non mi era difficile pensare alla grotta di Betlemme e
cercavo di scaldarmi mettendomi vicino alle pecore più
grosse che, bagnate come me, tremavano nella semioscurità della sera.

Tolsi l'Eucaristia dal tabernacolo e mi appesi la teca al collo sotto il bournous.
Naturalmente non riuscimmo ad accendere il fuoco per la cena e dovemmo accontentarci di mangiare pane e sardine in scatola.
Ma ad Alì le sardine piacevano.
Io avevo voglia di pregare e capii subito che in fondo non
m'era andata male con tutto quel trambusto.
Forse avrei potuto trascorrere una notte un po' speciale.

Era vicino il Natale.
Ero in una grotta con un pastore. Avevo freddo.
C'erano le pecore e puzza di sterco.
Non mancava proprio niente.
L'Eucaristia che avevo appesa al collo m'impegnava a
pensare a Gesù presente sotto il segno del pane, così simile al segno di Betlemme, terra del pane.
Scendeva la notte. Fuori la tempesta continuava a imperversare sul deserto.
Oramai nella grotta tutto era silenzio.
Le pecore riempivano lo spazio disponibile.
Alì dormiva avvolto nel suo bournous con la testa appoggiata sulla spalla di una grossa pecora. Ai piedi aveva due agnellini.
Io pregavo ripetendo a memoria il vangelo di Luca: «Ora,
mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito,
lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia perché
non c'era posto per loro nell'albergo» (Lc 2,6).

Tacqui e rimasi in attesa.
Maria diventò la mia preghiera e me la sentii vicina, vicina.

Gesù era nell’Eucaristia proprio lì, coperto dal mantello.
Tutta la mia fede, la mia speranza, il mio amore erano in.un punto.
Non avevo più bisogno di meditare: bastava contemplare in silenzio. Avevo tutta la notte a disposizione e
l'alba era ancora lontana.
Sognavo? Vegliavo?

Non lo so. Il tutto era una cosa sola.
Del resto che differenza c'è tra il sogno e la realtà quando
il sogno riguarda la venuta di Dio sulla terra e la realtà è
una grotta come quella descritta dagli evangelisti?
Credere che Dio si è fatto uomo è il più grande sogno per l'uomo. Si direbbe che il desiderio di unire la terra al cielo fu tale che il Natale diventò la realizzazione di quel
desiderio.
Insomma il Natale, la venuta di Dio sulla terra, l'ho desiderata io e l'ho sognata o è un fatto straordinario come
un sogno che si è avverato?
Penso l'uno e l'altro, tanto è cosa straordinaria; certamente la venuta ha anticipato il sogno perché nessuno di noi sarebbe stato capace di fare un sogno così unico e bello.

Che ne dici tu, Maria, tu che sei la più interessata? Non ti
pareva un sogno l'avere un figlio di quel genere?
Ti pareva cosa reale? Averlo generato nella carne era niente in confronto della fatica di generarlo nella fede.
Vedere un bimbo, il tuo bimbo, era facile, ma credere, credere mentre gli facevi fare la p**ì, in un angolo, che
proprio lui, il tuo bimbo, era il Figlio di Dio, non era cosa facile.
La fede era certamente oscura, dolorosa anche per te, non solo per noi tuoi fratelli su questa terra di viventi.
Io ho qui sotto il mantello, appesa al collo, la teca contenente l'Eucaristia. E un piccolo pezzo di pane consacrato dalla fede della Chiesa, lo porto con me, lo amo, lo adoro, ma... non è facile credere!

Non è così, Maria?
Non è così anche per te?
Non c'è fatica più grande sulla terra della fatica di credere, sperare, amare: tu lo sai.
Aveva ragione tua cugina Elisabetta a dirti: «Beata te che
hai creduto!»
Sì, Maria, beata te che hai creduto.
Beata te che mi aiuti a credere, beata te che hai avuto la forza di accettare tutto il mistero della Natività e di avere
avuto il coraggio di prestare il tuo corpo a un simile avvenimento che non ha limiti nella sua grandiosità e nella
sua inverosimile piccolezza.

Nell'incarnazione gli estremi si sono toccati e l'infinitamente lontano si è fatto l'infinitamente vicino, e l'infinitamente potente si è fatto l'infinitamente povero.
Maria, capisci cosa hai fatto? Sei riuscita a star ferma sotto il peso di un mistero senza confini.
Sei riuscita a non tremare davanti alla luce dell'Eterno
che cercava il tuo ventre come casa per riscaldarsi.
Sei riuscita a non morire di paura davanti al ghigno di Satana che ti diceva che era cosa impossibile che la
trascendenza di Dio potesse incarnarsi nella sporcizia dell'umanità.
Che coraggio, Maria!
Solo la tua umiltà poteva aiutarti a sopportare simile
urto di luce e di tenebra.
Fino a ieri ero abituato a dire: «Padre nostro, che sei nei cieli». Intendiamoci bene: non è così facile neanche questo.
Credere che Dio creatore, potenza infinita, sia padre e un
padre d'amore è già il frutto di un lungo cammino nella
fede.
Nel passato sotto i colpi di tuono e tra il fuoco dei lampi era più facile pensare a un Dio “padrino", cioè a un Dio che t'incuteva paura.
Non per nulla la preoccupazione dell'inferno e delle pene
eterne ha perseguitato le notti di noi peccatori.
È quasi naturale aver paura di un Dio creatore.
Un Dio incomunicabile, giustiziere, unico.
Davanti a lui così potente non rimane altra cosa che buttarsi a terra in ginocchio.
L'unicità e la trascendenza di Dio sono la prima fonte del
terrore. A leggere l'Antico Testamento ne senti l'eco profonda e avverti il cammino che il popolo di Dio fa nel suo
lungo esodo dalla schiavitù alla Terra Promessa.

C'è qua e là la voce del profeta che annuncia già l'amore: «Può una
madre dimenticare il figlio? Può una donna abbandonare
il frutto del suo seno? E se anche questa lo dimenticasse,
io non mi dimenticherò di voi» (Is 49,15).

Ma c'è anche quella del legislatore che dice: «Dio non
lascia senza punizione e castiga la colpa dei padri nei figli, e nei figli dei figli fino alla terza e alla quarta generazio-
ne» (Es 34,7).

Leggete il Levitico, i Numeri e soprattutto il Deuteronomio e vi convincerete se non è vero che il «timore di Dio è l'inizio della sapienza».

Ma stanotte sono qui e non penso più né al Levitico, né al
Deuteronomio.
Sono qui in una stalla accanto a Maria e mi immergo nel Vangelo e il Vangelo mi dice: «Maria diede alla luce il suo figlio primogenito» (Lc 2,7).

La trascendenza è divenuta incarnazione, la paura si è fatta dolcezza, l'incomunicabilità abbraccio.
Il lontano si è fatto vicino, Dio divenne figlio.

Capite quale rovesciamento si è compiuto? Per la prima
volta una donna poté dire in tutta verità: «Dio mio, figlio mio».
Ora non ho più paura. Se Dio è quel bimbo messo lì sulla paglia della grotta, Dio non mi fa più paura.
E se anch'io posso sussurrare accanto a Maria: «Dio mio,
figlio mio», il paradiso è entrato a casa mia, recandomi veramente la pace.
Posso aver paura di mio padre, specie quando non lo conosco ancora, ma di mio figlio no.
Di un figlio che mi prendo in braccio, che mi struscio
sulla pelle assetata di lui, un figlio che chiede a me protezione e calore, no.
Non ho paura.
Non ho paura.
Non ho più paura.
La pace che è assenza di paura è ora con me.
Ora l'unica fatica che mi rimane è credere.

E credere è come generare. Nella fede continuo a generare Gesù come figlio.
Maria fece così. Certo le fu più facile generare Gesù nella carne: le bastarono nove mesi.
A generare Gesù nella fede dovette impegnare tutta la vita da Betlemme al Calvario.
Maria, credo come te che quel bimbo è Dio ed è tuo figlio e lo adoro.

Adoro la sua presenza nella teca che porto sotto il mantello, dove lui è nascosto sotto il segno fragilissimo del
pane, più fragile ancora della carne.
Sento te, Maria, che di tanto in tanto ripeti, come a Betlemme: «Dio mio, figlio mio».
Ed io ti rispondo: «Dio mio, figlio mio».

È il rosario di stasera.
Come allora.
Il fiato degli animali scalda la grotta come allora.

***





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20/11/2025

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☸BUDDISMO☸

🎙AUDIOLETTURE

🔸️Ascoltare la voce del fiume
di Shundo Aoyama

Carissimi e carissime, oggi iniziamo la serie di audio letture dedicate al best-seller "La voce del fiume" della monaca nipponica Shundo Aoyama, grande maestra spirituale del Buddismo zen, alla quale dedicammo già la prima serie "La storia di un'anima" . Vale la pena lasciarci guidare dalla profondità e semplicità di questa maestra nel raccontare la sua esperienza umana e spirituale che ha raggiunto l'occidente.

BUON ASCOLTO.

***
dal Libro "La Voce del fiume" - Fabbri Editori 1998 - ne 'I Classici dello Spirito'.






Ascoltare lo scorrere della vita così com'è

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19/11/2025

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☯️TAOISMO☯️

🔸️️I TRE TESORI TAOISTI che possono salvare l'umanità- 6ª parte

💢Premessa

Leggere il Daode Jing è alla portata di tutti, perché esso è come uno specchio: ciascuno vi vede riflessa la sua immagine, quindi il suo vero, profondo significato è perduto.

"Seguire il Tao è la cosa più facile al mondo eppure le persone preferiscono le vie tortuose" (ddj cap. 53).

🍂🍁🍂

2️⃣° INTERPRETAZIONE DEL TESTO

Nella sua esposizione, l'autore segue una formula letteraria molto precisa, composta di 6 passaggi:

1° Preambolo
2° Affermazione dei San Bao
3° Conseguenze nel seguirli
4° Effetto dell'ipocrisia degli uomini
5° Primarietà della Compassione sugli altri due
[ 6°-Giustificazione divina (meta-valore) ]

Ma leggiamo insieme cosa dice il testo:

6️⃣° - Giustificazione divina

📖"(Coloro che) il Cielo (Dio) vuole salvare,
siy di loro Vigila e li protegge con la misericordia".

Daode jing 67

🔎Commento

Il Maestro vuol dire che la salvezza non ci è dovuta. Non dipende da noi.
Nessuno può essere salvezza a se stesso.
La Salvezza è un dono divino.
Mentre il Santo taoista agisce per indirizzare alla salvezza ogni essere umano (cap. 62), il Tao salva a condizione che agiamo in risonanza con esso.

Infatti il cap. 62 dice:

"... seppure avessi qualche colpa, se sei stato misericordioso, essa sarà cancellata dal Tao".

Il Tao, come una Madre compassionevole, emana amore che permea tutto ciò che esiste.
Per questo la fiammella divina dentro di noi risuona insieme a quelle di tutti gli esseri


Rev. M° Li Xuanzong ( Vincenzo Di Ieso ) della Chiesa Taoista d'Italia






19/11/2025
🍁°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•🍁♻️Dialogo Intrareligioso🔎 Un'intervista di "Settimana news" a Paolo Trianni su "I Cammin...
19/11/2025

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♻️Dialogo Intrareligioso

🔎 Un'intervista di "Settimana news" a Paolo Trianni su "I Cammini del silenzio"

A partire dal libro “I cammini nel silenzio”, abbiamo rivolto alcune domande su come è vissuta la pratica della meditazione nelle varie religioni.

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18/11/2025

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⚛RICERCATORI⚛

🔸️Ma voi chi dite che io sia
di Marco Vannini
(Riflessioni sul nuovo libro di ) .

«Ma voi chi dite che io sia?», chiede Gesù ai discepoli (Mt, 16, 15) – una domanda, questa, che si pone ancora oggi, in tempi di crisi delle religioni costituite. Per la ricerca storica, quale si è compiuta dall’illuminismo ai nostri giorni, la risposta è comunque che Gesù era un uomo che predicò un messaggio di giustizia, con l’imminente avvento del regno di Dio; fu perciò messo a morte dalle autorità politiche e religiose, timorose di possibili conseguenze sediziose. Appartiene invece soltanto alla fede la costruzione del mito salvifico di Cristo, Figlio di Dio, disceso dal cielo per morire, onde riscattare l’uomo dal peccato originale, salvo poi vincere la morte con la resurrezione. Occorrerebbe dunque chiamare gesuano tutto ciò che concerne l’uomo storico Gesù e il suo insegnamento effettivo, lasciando l’aggettivo cristiano per quella religione che fu in realtà costruita da Paolo, vero fondatore del “cristianesimo”. Questo è il punto di partenza anche del libro di Vito Mancuso, appena edito da Garzanti col titolo «Gesù e Cristo», che, discutendo criticamente la più aggiornata letteratura sull’argomento, conclude che sì: da una parte v’è un Gesù uomo, nato come tutti gli altri, morto contro la sua volontà; dall’altra v’è il Cristo, incarnazione di Dio, nato da una vergine, morto volontariamente per i nostri peccati, secondo la teologia progressivamente costituitasi nei primi tre secoli dell’era appunto “cristiana”.

Non possiamo qui neppure accennare ai numerosi affascinanti punti discussi in questo poderoso saggio (780 pagine), frutto dell’appassionata ricerca di tutta una vita, ma rileviamo comunque che l’autore fa sua un’importante rettifica: prima ancora di Paolo, fu Pietro a iniziare la predicazione propriamente cristiana, cambiando Gesù in Cristo, come è chiaro dalla risposta che dette alla domanda qui posta all’inizio: «Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente», e dunque mutando il gesuanesimo nel cristianesimo, ovvero una religione di osservanza di stampo ebraico in una di salvezza, incentrata sul concetto ellenistico di mistero.

Quel che c’è di veramente attuale nel libro è però la proposta che l’autore fa di un neo-cristianesimo, ovvero di una religiosità nuova, che raccolga il meglio, per così dire, tanto del gesuanesimo quanto del cristianesimo. Se è infatti essenziale in primo luogo l’onestà della ricerca, per cui non possiamo credere a miti surrogatori della verità storica, altrettanto importante è riconoscere che la nascita e lo sviluppo del cristianesimo, seppur profondamente diverso dall’originaria predicazione di Gesù, rispose a un’importante esigenza morale: quella di uscire dalla ristretta logica di un annuncio valido per il solo popolo ebraico, per muovere verso una dimensione universale, pienamente umana. E, d’altro canto, come non tenere presente quel profondo significato spirituale di una morte volontaria per noi, dedizione al prossimo fino al sacrificio della vita, che ha ispirato per secoli la santità di tanti, uomini dotti e semplici fedeli? Questa idea si può correttamente chiamare “redentiva”, in quanto esempio capace di distruggere davvero, alla radice, quell’amore di se stesso, quell’attaccamento alla volontà propria, in cui da sempre grandi filosofi e mistici hanno riconosciuto il vero, autentico “peccato originale”, che accompagna sempre ogni essere umano.

Oltre agli eventi, anche le idee hanno infatti un valore storico, per cui non dobbiamo scartare Cristo per restare, eventualmente, seguaci di Gesù; in questo senso il titolo stesso del libro, «Gesù e Cristo», non indica solo un argomento, ma anche una proposta: per ve**re incontro alla tragedia della nostra società, che, forse per la prima volta nella storia, si trova senza religione, dobbiamo riconoscere il primato del bene e dell’amore, credendo non a una «salvezza» operata dall’esterno da un salvatore, un redentore, ma a un esser «salvi» già nella vita buona, nella vita giusta, che, a parere dell’autore, ogni uomo può vivere seguendo la retta ragione.

In conclusione al libro, di Gesù si afferma che «non la morte sulla croce, ma l’annuncio del regno di Dio fu la missione della sua vita. Egli non fu l’agnello di Dio, ma il profeta che insegnò a cercare per prima cosa il regno di Dio e la sua giustizia. Per questo ancora oggi rappresenta la possibilità della trascendenza; perché la sua figura sempre indica che il vero essere, la vera vita, è al di là della storia: è il regno di Dio. E se Gesù è questo, allora egli davvero coincide con Cristo, e la simbiosi Gesù-Cristo può ancora vivere dentro di noi». Subito di seguito, riferendosi all’episodio dell’incontro di Gesù con la samaritana, là dove egli dice alla donna che non si adora Dio né a Gerusalemme né sul monte Garizim, giacché i «veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità», perché Dio è spirito e deve essere adorato in spirito e verità (Gv 4, 21-24), Mancuso conclude che si ha qui la presa di coscienza di una logica nuova, denominata «spirito e verità». La relazione autentica con Dio sta dunque solo in questa relazione spirituale, «che si realizza quando si ama e si serve sopra ogni altra cosa la verità, la quale, come ha insegnato Gesù, non è una formula o un dogma da ripetere a voce, ma una logica da concretizzare con l’azione» (p. 727).

Quello che parla nel passo giovanneo non è però Gesù (l’episodio infatti è sicuramente non storico), bensì il Cristo, frutto della riflessione teologica dell’autore del Quarto vangelo, che si apre con il Cristo, Logos che è Dio, ed è tutto imperniato sull’ora della sua necessaria crocifissione - dunque un cristiano, più che un gesuano - per cui è chiaro che la simbiosi Gesù-Cristo non solo è ancora possibile dentro ciascuno di noi, ma è anzi assolutamente necessaria, pena l’insignificanza sia di Gesù, sia di Cristo.

Del resto, come lucidamente scriveva Simone Weil in quella Lettera a un religioso che anche in questo libro è più volte citata, «i misteri della fede non sono un oggetto per l’intelligenza in quanto facoltà che permette di affermare o di negare. Non appartengono all’ordine della verità, ma a un ordine superiore. L’unica parte dell’anima umana capace di un contatto reale con essi è la facoltà di amore soprannaturale» - ove è evidentemente essenziale comprendere cosa sia l’ amore soprannaturale, nella sua differenza da quello naturale.

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14/11/2025

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🛐FEDE BAHA'Ì🛐

🔸️ Quando il cielo parla: Gioele, Daniele e la rivelazione simbolica della Verità.

🌅 Introduzione – Il linguaggio del cielo

Quando i profeti parlano, il cielo si anima. Non con fulmini e terremoti, ma con immagini che attraversano i secoli: il sole che si oscura, la luna che si tinge di sangue, le stelle che cadono. Non sono fenomeni celesti, ma segni dell’anima. Sono il modo in cui Dio annuncia che qualcosa di eterno sta per accadere. Gioele, Daniele, Isaia… tutti parlano con il linguaggio del cielo. E Bahá’u’lláh, nel Libro della Certezza, ci insegna a leggere quel linguaggio non come mistero, ma come storia: la storia della Rivelazione, della persecuzione, della rinascita.

📖 Il cuore del racconto

Il profeta Gioele annuncia che prima del “grande e terribile giorno del Signore”, il sole si oscurerà, la luna diventerà sangue e le stelle cadranno. Pietro, alla Pentecoste, interpreta questo come compimento spirituale: lo Spirito discende, la religione si rinnova, ma i cieli non tremano. È il cuore umano che si scuote.
Nel Libro della Certezza, Bahá’u’lláh svela il significato profondo di questi simboli:

☀️ Il sole che si oscura è la religione precedente che perde la sua luce, non perché sia falsa, ma perché il suo tempo è compiuto. La sua luce non illumina più il cammino dell’umanità.

🌠 Le stelle che cadono sono i capi religiosi che, incapaci di riconoscere la nuova luce, perdono la loro guida e autorità spirituale. Non sono più seguiti, perché non conducono più alla verità.

🌒 La luna che si tinge di sangue rappresenta la sapienza religiosa, i teologi e dottori della legge che, invece di accogliere il Messia ritornato, si macchiano di sangue: perseguitano il Báb, lo fanno giustiziare, e causano il martirio di oltre ventimila dei Suoi seguaci.
Questi non sono eventi futuri o incomprensibili: sono già accaduti. Sono la storia della Rivelazione Bábí e Bahá’í, raccontata in linguaggio profetico. I segni cosmici sono la cronaca simbolica di una rivoluzione spirituale reale, che ha scosso le fondamenta del mondo religioso.

🌄 Conclusione – Il cielo che si apre
Ora sappiamo: il sole che tramonta è la religione che ha compiuto il suo ciclo. Le stelle che cadono sono le guide che non guidano più. La luna insanguinata è la sapienza che si è fatta strumento di oppressione. Ma in mezzo a questo cielo che si oscura, una nuova luce sorge. È la luce del Báb, del Cristo ritornato, del giorno che non conosce tramonto. E chi ha occhi per vedere, vede. Chi ha cuore per sentire, comprende. Perché il cielo non si chiude mai: si apre, ogni volta che la Verità si rivela.

Uccio Saverino

Post proposto da Filippo Angileri

🍁°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•🍁🌍DIALOGO INTERRELIGIOSOdi Ecumenismo e Dialogo Interreligioso Diocesi di Albano
13/11/2025

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🌍DIALOGO INTERRELIGIOSO
di Ecumenismo e Dialogo Interreligioso Diocesi di Albano

International Gita Mahotsav “Portando la Gītā dall’Est all’Ovest” पूर्वात् पश्चिमं प्रति (pūrvāt paścimaṃ prati) La Bhagavad Gītā non è so...

🍁°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•°•🍁                   🔆SUNDAY🔆     Ecco la tenda di Dio con gli uomini.Egli abiterà con lor...
09/11/2025

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🔆SUNDAY🔆

Ecco la tenda di Dio con gli uomini.
Egli abiterà con loro ed essi saranno suoi popoli; egli sarà il Dio con loro, il loro Dio. (Ap 21,3)

Gv 2,13-22

Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme.
Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete.
Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!».
I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà».
Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo.
Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.


Gv 2, 13-22 • Parlava del tempio del suo corpo.

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07/11/2025

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⚛RICERCATORI⚛

🔸️ 5 lezioni che Franco Battiato ha imparato da Gurdjieff

⚛Introduzione

La profondità dei testi di Franco Battiato, quella capacità unica di unire pop e ricerca spirituale, ha una radice precisa e potente: il pensiero del filosofo e mistico George Ivanovich Gurdjieff. Per chiunque si sia interrogato sul significato di versi come "cerco un centro di gravità permanente", la risposta si trova in un insegnamento tanto complesso quanto affascinante, che ha segnato indelebilmente l'arte e la vita del musicista siciliano.

💫L'idea centrale di Gurdjieff è una sfida all'essere umano:

viviamo normalmente in uno stato di "sonno" della coscienza, agendo come macchine governate da automatismi.

Ma esiste una via d'uscita, la possibilità di un "risveglio" che porta a quello che Gurdjieff chiamava il

"ricordo di sé": uno stato di consapevolezza superiore.

Questo stato, però, non è un dono, ma la conquista di un lavoro intenzionale.

Questo articolo è una guida per esplorare cinque delle idee più sorprendenti e controintuitive di Gurdjieff che hanno plasmato l'universo di Battiato. Cinque lezioni che scuotono le fondamenta di ciò che crediamo di essere e offrono strumenti per una trasformazione profonda.

🍂🍁🍂

💫Le 5 Lezioni

1. Non hai un'anima, devi guadagnartela.

Il primo concetto di Gurdjieff che incontriamo è forse il più radicale. Contrariamente alla maggior parte delle tradizioni spirituali, che considerano l'anima un dato di fatto alla nascita, Gurdjieff sosteneva che essa non ci è data in dono. L'anima va costruita, creata attivamente attraverso un "lavoro intenzionale su di sé". Senza questo sforzo consapevole, l'essere umano rimane incompiuto.

Per scuotere i suoi discepoli, Gurdjieff usava un'immagine cruda, quasi brutale:

Gurdjieff scuoteva i suoi allievi affermando che senza questo lavoro interiore si rischia di "morire come cani", senza aver sviluppato la propria dimensione interiore e rimanendo a un livello puramente automatico e biologico.

Questa idea trasforma radicalmente la ricerca spirituale: non più un'attesa passiva di un'illuminazione o di una salvezza, ma un progetto di costruzione attivo, una responsabilità personale che richiede disciplina e impegno costanti.

2. La tua personalità è (probabilmente) un'impostura.

Battiato, seguendo Gurdjieff, distingueva nettamente tra "essenza" e "personalità". L'essenza è il nostro vero io, ciò che siamo realmente alla nascita. La personalità, invece, è la maschera che costruiamo nel tempo, plasmata dall'educazione, dai condizionamenti esterni e dalle influenze sociali. Se non la si riconosce e non si impara a guidarla, questa personalità finisce per essere "posticcia", artificiale, non veramente nostra.

Il primo passo del lavoro interiore è quindi "l'osservazione di sé". Solo osservandoci senza giudizio possiamo renderci conto di quanto le nostre reazioni, i nostri pensieri e le nostre emozioni accadano in modo meccanico, senza la nostra vera volontà. È un'idea destabilizzante, perché mette in discussione l'immagine che abbiamo di noi stessi, ma è anche profondamente liberatoria: ciò che non è nostro può essere lasciato andare per far emergere la vera essenza.

3. La crescita non è una linea retta: ha bisogno di "shock".

Secondo la "Legge dell'Ottava" di Gurdjieff, nessun processo in natura, inclusa la crescita personale, si sviluppa in modo lineare e continuo. Ogni percorso incontra inevitabilmente dei punti critici, degli "intervalli" in cui perde slancio, si arresta o devia dalla sua traiettoria originale.

Per superare questi momenti di stallo e continuare a evolvere, è necessario uno "shock cosciente": un impulso intenzionale, uno sforzo aggiuntivo e consapevole che permette al processo di riprendere il suo cammino ascendente. Gurdjieff insisteva tantissimo su questo punto: "Quando ci si sente più stanchi, più scoraggiati, lì è il momento di fare lo sforzo." Franco Battiato era così affascinato da questo concetto da chiamare "L'Ottava" la casa editrice da lui fondata. Questa idea ha un valore pratico immenso: ci insegna a non scoraggiarci durante le fasi di blocco, ma a riconoscerle come opportunità cruciali per un intervento consapevole.

4. Sapere non significa capire.

Gurdjieff era molto critico nei confronti della conoscenza puramente intellettuale, quella accumulata leggendo libri senza che si trasformi in una comprensione profonda e vissuta. Battiato amava riassumere questo concetto con una citazione del maestro:

"Potreste conoscere già molte cose se foste capace di leggere... se voi aveste compreso tutto quello che avete letto nella vostra vita avreste già la conoscenza."

Lo stesso Battiato visse questa illuminazione in prima persona.
Intorno ai 25 anni, in un periodo di profonda crisi esistenziale e dopo aver già sperimentato con mistici indiani, lesse Frammenti di un insegnamento sconosciuto di P.D. Uspensky, un discepolo di Gurdjieff. La sua reazione fu una "folgorazione", perché in quel libro trovò spiegato in modo sistematico e perfetto tutto ciò che fino ad allora aveva solo intuito empiricamente. Fu l'incontro con una conoscenza che non era solo informazione, ma vera comprensione. Un invito a trasformare ciò che sappiamo in qualcosa che siamo.

5. La via è nel mondo, non fuori da esso.

Molti percorsi spirituali richiedono un ritiro dalla vita quotidiana. Gurdjieff propose invece una "Quarta Via", un cammino pensato specificamente per chi vive nel mondo, con i suoi impegni e le sue responsabilità.

A differenza delle tre vie tradizionali,

del fachiro (centrata sul corpo),

del monaco (sulle emozioni) e

dello yogi (sull'intelletto),

la Quarta Via mira ad armonizzare questi tre centri (motorio, emozionale e intellettuale) contemporaneamente, nel mezzo della vita di tutti i giorni.

Battiato sentì questo approccio come profondamente "congeniale". La sua arte ne è un'eco costante. La ricerca di un "Centro di gravità permanente" non è altro che la metafora della Quarta Via: la ricerca di stabilità interiore, di un punto fermo dentro di sé che non sia in balia degli eventi esterni. Questo rende l'insegnamento di Gurdjieff non una dottrina astratta, ma uno strumento pratico e accessibile, applicabile alla nostra esistenza moderna.

🔻Conclusione

L'incontro con il pensiero di Gurdjieff offrì a Franco Battiato non solo un'ispirazione artistica, ma soprattutto strumenti concreti per un "lavoro" interiore. Un percorso che, come amava dire lo stesso Battiato, non è un'illuminazione improvvisa ma assomiglia più a "imparare a suonare uno strumento": richiede disciplina, sforzo e pratiche molto concrete, come i famosi movimenti e le danze sacre.

In fondo, l'intero percorso tracciato da Gurdjieff e incarnato da Battiato lascia a chiunque sia in ricerca una domanda fondamentale, una sfida tanto semplice quanto immensa:

"Qual è il lavoro, quale sforzo, quale tipo di osservazione siamo disposti a fare per andare oltre la nostra meccanicità quotidiana e tentare di avvicinarci a una comprensione un po' più autentica di noi stessi?"




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