06/07/2025
LA STATUA DI CILLA: LEGGENDA D'AMORE E DOLORE A SAN LUCIDO
C’è un angolo della Calabria dove il mare parla, dove il vento porta con sé racconti antichi come le onde che si infrangono contro la costa frastagliata. A San Lucido, nel cuore del Tirreno cosentino, nelle notti in cui il mare si agita, c’è chi giura di sentire delle urla disperate di una donna. Un’eco lontana che attraversa il tempo e la memoria.
È il grido di Cilla, un nome sussurrato da generazioni, una leggenda che non ha bisogno di essere scritta nei libri per esistere: vive nei cuori, nei racconti tramandati e soprattutto in una statua che guarda l’infinito dal belvedere di piazzetta Miramare, ai piedi della fortezza dei Ruffo.
Cilla era una giovane donna di San Lucido, figlia di un pescatore. Bella, dolce, generosa, abituata alla vita che pulsa tra le reti da calare e le attese cariche di speranza. In un tempo non precisato, ma vivido nella memoria popolare, Cilla si innamorò di Tuturo, un giovane marinaio del posto. Un amore profondo e limpido come le acque nei giorni di bonaccia.
Pur conoscendo bene i pericoli legati alla vita di mare, Cilla decise di sposarlo. Era consapevole che ogni addio sulla riva poteva non avere ritorno, ma l’amore era più forte della paura. Da quell’unione nacque anche un figlio, e per un tempo breve ma intenso, la vita sembrava aver donato a Cilla ogni felicità.
Ma il mare, si sa, è traditore. Una notte, con il cielo plumbeo e le onde che già annunciavano tempesta, Tuturo decise di uscire in mare. Le reti dovevano essere calate, le bocche da sfamare erano molte. Era già successo altre volte e Tuturo era un pescatore esperto. Ma quella notte non fece ritorno.
Cilla passò l’intera notte a scrutare l’orizzonte, l’anima straziata, la speranza appesa a ogni rumore del vento. Ma all’alba il silenzio fu definitivo. Alcuni raccontano che, accecata dal dolore, si gettò dalla rupe cercando di raggiungere il suo amore tra le onde per salvarlo. In un'altra variante della storia popolare fu la morte del figlio, anch’egli disperso in mare, a spingerla a quel gesto disperato. In ogni versione, il finale è lo stesso: Cilla muore per amore, inghiottita dal mare che le aveva già portato via tutto.
A ricordare questa struggente vicenda, oggi si erge la Statua di Cilla, opera dello scultore Salvatore Plastina, che con sensibilità e maestria ha saputo donare un volto al dolore, alla forza e alla resilienza femminile. La scultura osserva il mare da uno dei punti panoramici più belli di San Lucido, come se ancora aspettasse, come se ancora proteggesse.
Il volto della statua è dolce e tragico allo stesso tempo: un grido trattenuto, una preghiera muta, il ritratto di una madre, di una moglie, di una figlia. È il simbolo di tutte le donne del Mediterraneo, che nei secoli hanno vissuto nella precarietà di una vita legata al mare, amandolo e temendolo.
Alla base dell’opera, un’iscrizione poetica ne racchiude l’anima:
“Il tuo mare è amore anche quando, crudele e amaro, ti ha straziato l’anima, il tuo mare è amore. Guarda in alto Cilla, non si pieghino mai le tue braccia di madre, il tuo volto fissi il sole sempre e per tutti noi.”
Queste parole sono un testamento, un invito alla speranza e alla dignità, anche nella perdita.
La leggenda di Cilla non è solo una storia di mare. È identità. È la storia di un popolo. Di uomini che sfidavano l’ignoto per sfamare i propri cari. Di donne che attendevano ogni sera con il cuore stretto tra le mani, senza sapere se il mattino avrebbe riportato i loro amati. È l’amore che resiste, anche nella perdita.
E mentre il vento si posa sulla statua, mentre i visitatori si fermano commossi a leggere l’epigrafe, Cilla continua a vegliare sul suo mare, sul suo popolo, su chi ama senza riserve, senza garanzie, senza paura. Come solo una donna innamorata sa fare.
Alfonso Morelli team Mistery Hunters
Foto: Francesco Rende