Dopo aver conseguito due diplomi di maturità, uno linguistico, al liceo M. Gioia di Piacenza e uno da privatista, al liceo G. M. Colombini di Piacenza, successivo alla laurea, in materie socio-psico-pedagogiche e aver chiuso nel luglio 2003 il percorso universitario quinquennale a Parma, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di Laurea in Psicologia, ho proseguito con il biennio di tirocinio e il relativo esame di stato per l’iscrizione all’Albo per l’abilitazione alla professione di Psicologo. L’essermi messa alla prova nel contesto di intervento sociale con l’anno di Servizio Civile Volontario presso l’Assessorato ai Servizi Sociali e Sanità della Provincia di Parma mi ha aperto al mondo della progettazione sociale; ho proseguito con vari contratti di collaborazione a progetto e intanto ho frequentato un Master Universitario di Primo Livello all’Università Cattolica di Piacenza, centrato sulle relazioni e i sentimenti nelle professioni educative e di cura.
Da lì la mia strada professionale si è delineata con maggiore chiarezza: ho ripreso la mia formazione squisitamente clinica, ma arricchita dall’età, dall’esperienza, e da quei primi pezzi di vita lavorativa che avevo iniziato a gestire, emotivamente e logisticamente, spostandomi tra l’Assessorato al Sociale della Provincia di Parma e quello Piacenza, fino ad approdare definitivamente all’Ausl della mia città, con un contratto a tempo indeterminato. La mia formazione continua non smette di arricchirsi: dapprima ho portato a termine il corso biennale di Mediazione Familiare Sistemico-Globale presso il Centro Milanese di Terapia della Famiglia di Via Leopardi e ho conseguito l’abilitazione all’esercizio della professione di Mediatore Familiare, successivamente mi sono iscritta alla Scuola Quadriennale di Specializzazione in Psicoterapia Sistemico Relazionale, presso la stessa sede milanese.
Recentemente ho conseguito l’abilitazione alla Terapia EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing): uno specifico protocollo procedurale che si sviluppa in più fasi, di ricordo e rievocazione delle esperienze negative, nel tentativo di desensibilizzare il paziente ai ricordi traumatici o particolarmente stressanti dal punto di vista emotivo, anche correlati da attacchi ricorrenti d’ansia, portandolo alla rielaborazione adattiva del ricordo con movimenti ritmici degli occhi, oppure con stimolazione sonora. L’idea è quella di arrivare a cambiarne i “contenuti”: non solo per evitare che le emozioni e le sensazioni fisiche prendano il sopravvento, ma anche per attutire i ricordi negativi o i pensieri intrusivi e renderli più funzionali, con un conseguente beneficio nei comportamenti e nelle relazioni.
Esistono i “piccoli traumi” o “t”, ovvero quelle esperienze soggettivamente disturbanti (un’umiliazione, delle interazioni particolarmente disadattive con delle persone significative durante l’infanzia, un tradimento, etc.) e i “traumi T”, ovvero tutti quegli eventi violenti, che possono portare alla morte (terremoti, attentati, incidenti stradali, etc.) o che minacciano l’integrità fisica propria o delle persone care. Nonostante le due tipologie di trauma siano molto differenti, la ricerca scientifica ha dimostrato che le persone reagiscono emotivamente mostrando gli stessi sintomi. E’ su questi “t” e “T” che vorrei lavorare insieme, per portare i pazienti a vivere la propria vita come prima dell’evento traumatico, abbandonando gli agiti ed i sintomi disfunzionali (disturbi del sonno, mancanza di concentrazione, irritabilità, etc.) e le cognizioni negative sul se’ (non valgo nulla, non ho il controllo, sono un fallito, etc.) correlati all’evento. Non si dimenticherà nulla: non è né un atto magico, né ipnotico, semplicemente si consapevolizzerà e si imparerà ad andare oltre, allentando tutte quelle sensazioni con alta carica negativa che vi sono associate.
Al termine di questi lunghi anni di specializzazione, oggi ritrovo una Silvia appassionata e impegnata nella costruzione di una parte integrata della sua identità:
cornici da mettere in discussione, circuiti da perturbare. Rileggo le tante domande che ho portato con me, quelle che io stessa introducevo nella stanza di terapia, dall’altra parte della scrivania, nel mio percorso come paziente e quelle che pongo ai miei pazienti nel setting terapeutico, nel continuo tentativo di tenere insieme i molteplici aspetti: la necessità di essere contemporaneamente osservatore dei pattern, di me stessa e del sistema circolare che si viene a creare nell’interazione. E mi tengo aperte le riflessioni e l’apertura del pensiero che ho imparato a coltivare in tutti questi anni: per evitare le rigidità, le false premesse e le visioni pregiudizievoli.
Credo che il mio lavoro di terapeuta sia un’occasione insostituibile di crescita personale e professionale, che mi consente di riflettere ricorsivamente su livelli che sento essere inestricabili: l’andamento del percorso formativo, gli strumenti, le esperienze, le competenze e gli apprendimenti che co-costruisco nell’incontro con i pazienti, stupendomi ogni volta della complessità delle storie personali e del sentirmele così bene addosso – testa, cuore, pancia, piedi – in un contesto e in ruolo sempre nuovi, semplicemente da scoprire, a poco a poco, con curiosità ed accoglienza.
Come mi piace lavorare
La mia terapia accompagnerà il paziente a riconnotare positivamente, o quantomeno in un modo emotivamente più tollerabile, quegli squilibri energivori e faticosi che caratterizzano il suo qui-e-ora. Il “viaggio” che faremo insieme non sarà prettamente rivolto al trattamento del sintomo, ma alle situazioni relazionali che lo hanno generato: metteremo in movimento quello sforzo utile a sbloccare il suo sviluppo, a rinarrare la sua storia.
L’intero percorso avrà l’occhio sul paziente e sulle relazioni significative della sua vita: l’attenzione sarà rivolta principalmente alla dimensione interattiva. Considero l’identità individuale come l’esito di un corso di eventi e di un percorso di relazioni, più o meno significative, che il paziente ha intrattenuto nel tempo: in quest’ottica capita spesso che le radici di un’eventuale problematica non debbano essere trattate quali caratteristiche costitutive della persona, ma come frutto di esperienze relazionali e di contesti diversificati.
Mi piace pensare di poter costruire insieme al mio paziente un nuovo significato delle sue difficoltà personali e/o familiari, per arrivare a rileggere gli eventi e le situazioni di disagio che gliel’hanno portato, magari anche rivedendo quelle regole implicite/esplicite solidamente acquisite negli anni, che lo frenano nella libera espressione delle sue emozioni più profonde.
La sua “tela bianca” sarà il mio punto di inizio; lavoreremo congiuntamente per consentirgli di mettere in discussione il repertorio interpretativo: il suo, ma anche il mio. Ognuno per il suo pezzetto di responsabilità. Perché ci sono anche io in quella terapia, io – e non un’altra. La mia, di storia: e quello che sono diventata oggi.
Fuori dal mio studio...
Il colore arancione, il profumo degli spaghetti al pomodoro e basilico che mi faceva la nonna, il parquet sul pavimento e il wengè, di tutte le forme e dimensioni. ... se mi dicessero: descriviti con un oggetto, ecco, una cassapanca piena di cose. Oggetti, ricordi. Album fotografici, innanzitutto: ho la passione per la fotografia da che ho memoria, pellicola inclusa! Oggi scatto perlopiù in viaggio, ma mi piace anche scoprire nel mio quotidiano una traccia con cui sollecitare la mia Nikon. E mi lascio incantare dalle mostre d’arte o di fotografia di chi sa cogliere, con il suo occhio particolare, un’immagine o un pezzo di mondo, meglio se lontano, meglio se inaspettato.
Il viaggio è l’altro grande tema che mi porto. Parto tutte le volte che posso: dal week-end fuori porta in una città d’arte fino a mete più esotiche, fuori e dentro l’Europa. Viaggio leggera, per lasciar spazio alle cose che troverò sul posto: profumi e sapori locali, emozioni liquide da riportare a casa con me. E la mia casa “parla” davvero di tutte le mie (dis)avventure: oggetti, quadri, candele, aromi. Mi piace lasciarmi circondare dagli oggetti che hanno una storia. La mia storia. Perché, se è vero quel che diceva Soldati: “… il viaggio è un sentimento, non soltanto un fatto.”