
12/09/2025
E tu come ti tratti?
Sapevi che un buon modo per misurare la nostra capacità di accogliere le emozioni dei nostri bambini è osservare i nostri dialoghi interni, vedendo ad esempio come parliamo a noi stessi quando commettiamo un errore?
Nella mia esperienza (personale e professionale🥲) in genere quando sbagliamo non ci trattiamo molto bene. “Sono proprio una deficiente!” “Sono il solito smemorato!” “Sono un’incapace”…per non dire di peggio che qui non si può scrivere. 🤐
Ormai tutti sappiamo che secondo la teoria dell’attaccamento del nostro caro John Bowlby, i bambini sviluppano sicurezza quando sentono che il genitore è una “base sicura”, ovvero qualcuno che li accoglie senza giudizio, soprattutto nei momenti di crisi. Ma per poter offrire questa base, l’adulto deve avere dentro di sé un terreno stabile, capace di contenere in primis le proprie emozioni.
Se come genitori non siamo abituati a validare i nostri vissuti emotivi – se ci giudichiamo fragili, incapaci o sbagliati quando siamo in difficoltà – tenderemo a fare lo stesso con i nostri figli: minimizzare, arrabbiarci, chiedere di “smetterla”.
Quindi di base noi reagiamo non tanto al pianto dei nostri bambini, ma al disagio che quel pianto attiva dentro di noi.
Le neuroscienze poi ci insegnano che il nostro sistema nervoso risponde automaticamente agli stati emotivi degli altri (grazie ai neuroni specchio) e alla capacità di co-regolazione. Se non sappiamo regolare il nostro stress, diventa molto difficile aiutare i nostri figli a regolare il loro.
Ecco perché coltivare l’auto-compassione (la famosa self-compassion) e la capacità di accogliere i propri momenti difficili senza giudizio è una risorsa fondamentale per la genitorialità e per noi stessi!
Quando impariamo a dirci: “È dura, ma sto facendo del mio meglio”, “Ho sbagliato, ma ce la sto mettendo tutta, succede!”, diventiamo più disponibili ad accogliere anche le emozioni dei nostri figli, senza necessariamente viverle come un attacco o un fallimento personale.
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