19/04/2025
Dopo un mese di dibattito, un comunicato congiunto delle principali società di ricerca storica contesta le nuove Indicazioni Nazionali: una presa di posizione coesa e decisa del mondo della ricerca. «Da qui, tuttavia, mi sembra opportuno partire con un quesito di fondo: quale credibilità può avere un documento dedicato alla storia che comincia con un falso storico così grossolano e manifesto?
In realtà, la superficialità è la vera cifra della sezione “storia” del documento, dove coesistono considerazioni contraddittorie e giustapposte. A partire dalla stessa concezione della storia, indice dell’inseguimento di una prospettiva ideologica che si alimenta della carenza (a tratti sprezzante) di riferimenti di didattica della storia, come se questa non fosse una disciplina che ha alle alle spalle diversi decenni di studi. [...]
Altrettanto inadeguato è il modo in cui è trattata la metodologia proposta, venata da un’antididattica della storia.
L’humus ideologico è l’invenzione di un nemico (la didattica della storia) che avrebbe accettato il proprio subordinamento a una superdisciplina (la pedagogia) e rinunciato all’insegnamento dei contenuti per una vuota didattica delle competenze e provocato la caduta del sapere storico. Una costruzione ideologica che parte da un problema (la poca conoscenza della storia), che però affronta non sulla base di dati e delle ricerche disponibili, ma su convinzioni pregresse, orientate all’obiettivo di ritornare a una didattica meramente frontale, incentrata sulla memorizzazione, intesa non come uno degli aspetti della didattica, ma come la panacea per gli attuali mali.
La posa della commissione d’altronde è quella salvifica rispetto al disastro in atto. Anche laddove il documento sembra voler ammiccare a un approccio moderno, concentrandosi sull’impostazione narrativa del racconto storico che passa dall’uso di filmati e audiovisivi, adotta una prospettiva anacronistica, orientata a una didattica nozionistica e trasmissiva.
Sia chiaro, la narrazione è certamente una componente fondamentale nell’insegnamento della storia. Senza, la storia non sarebbe non solo poco affascinante, ma nemmeno trasmissibile. E d’altronde non esiste didattica della storia che non contempli la narrazione. Il problema si pone quando lo studio della storia si incentra quasi esclusivamente sulla suggestione veicolata attraverso l’aneddotica, le vicende dei personaggi, il coinvolgimento emotivo e sentimentale.
Richiamo ancora una volta il documento della Rete degli Istituti storici laddove ricorda come proprio Marc Bloch e Lucien Febvre, tra i fondatori della storiografia moderna, insegnassero già nel secolo scorso che la comprensione storica richieda di guardare oltre l’elenco di eventi e personaggi, integrando prospettive sociali, economiche e culturali. L’allenamento alle connessioni non può esimersi da un confronto con le fonti che deve essere adattato in base alle fasce d’età non espunto.
Qualcuno potrebbe trovare questo aspetto difficile per un bambino o uno studente delle ‘medie‘. In realtà, una narrazione senza un addestramento alla ricerca si traduce in un sapere sacerdotale, perché veicola la convinzione che la storia sia una disciplina calata dalla cattedra e non scoperta dal basso (negli archivi, negli scavi archeologici, in tutti i luoghi in cui vi è una produzione umana).
In secondo luogo, se si disarticola la storia dalle fonti, la narrazione da seguire non si caratterizza più per la verificabilità, ma solo per la sua capacità d’essere accattivante. Si viene a generare una visione in cui l’ascolto dell’intrattenitore di turno diventa l’unica via di accesso al sapere storico. Per cui l’unica cosa che conta diventa quella di essere un buon narratore, che imbastisce un racconto storico affascinante. Gli altri criteri diventano marginali: quello della fondatezza imperniata su un metodo scientifico e quello dello studio comparato che deve precedere la narrazione. «Per stupire mezz’ora basta un libro di storia», cantava giustamente il “matto” di De André nell’Antologia di Spoon River.
In realtà quello di cui la sezione “storia” sembra voler fare tabula rasa è proprio il laboratorio delle fonti, surrettiziamente accomunato al nozionismo (di cui invece essa trasuda).
L’idea che bambini/e o preadolescenti che frequentano la scuola del primo ciclo siano inadatti a questa esperienza significa privare la ricerca storica della componente più affascinante: quella dell’investigazione, che comporta anche per una bambina o un bambino la possibilità di essere un/a “sapiente”, ovvero di poter possedere una piccolissima porzione di un sapere conquistato attraverso lo studio di alcuni documenti individuati e selezionati, e di non essere soltanto il ripetitore del sapere di altri. Questo significa rinunciare all’idea che studenti e studentesse familiarizzino con un approccio dove lo studio della storia non è solo reiterazione, ma anche interpretazione e intuizione.[...]
La visione della sezione storia delle Indicazioni nazionali nasconde in realtà una pratica didattica autoritaria, basata su un modello gerarchico.
Al tempo stesso, un’impostazione basata esclusivamente sulla narrazione pone in secondo piano una pratica fondamentale: quella di abituare gli studenti di storia a esaminare i problemi, a sviluppare nessi, a impadronirsi degli strumenti «per interrogare il passato e meglio comprendere il presente» e a formulare domande. Questi aspetti sono sommersi da un approccio moralistico, che intende formare il patriota più del cittadino e che adopera la narrazione come espediente.
Inoltre la visione è tutta incentrata sulla storia politica e sui personaggi eminenti. Questo significa che molti ambiti ne rimangono esclusi: manca l’evocazione di personaggi comuni che rappresentano una stratificazione di classe, manca l’infanzia come soggetto storico, è assente una prospettiva di genere, è tralasciata la questione ambientale.
D'altronde, la stessa costruzione della commissione è umiliante verso i docenti di primaria e secondaria di primo grado, che non sono rappresentati da nessun esponente. I componenti sono tutti professori universitari (tranne una, insegnante di Liceo) che non sembrano assidui frequentatori delle scuole primarie e secondarie di primo grado.»
Su La ricerca il settimo commento alla bozza delle Nuove Indicazioni Nazionali, di Marco Labbate che ringraziamo moltissimo.