09/10/2025
Ogni aspetto della vita sta perdendo colore?
Molti hanno notato questa tendenza, ma perché sta accadendo?
Ad esempio le variazioni dei colori delle auto dal 1990 ad oggi: i fornitori di vernici confermano un gigantesco spostamento verso il nero, il grigio, l'argento e il bianco. Oggi, l'80% delle nuove carrozzerie è in una gradazione di grigio.
In realtà, secondo uno studio condotto su 7000 oggetti esposti al Museo della Scienza del Regno Unito, i colori di tutti gli oggetti sono stati progressivamente neutralizzati a partire dal 1800.
Cosa c'è dietro a questo inesorabile passaggio verso la neutralità?
Trovare la risposta nel mero cambiamento dei materiali utilizzati è fuorviante: se è vero che il passaggio dal legno ai metalli e alla plastica ha portato l'essere umano ad adottare combinazioni di colori più neutri, è anche vero che comunque oggi colorare sarebbe più semplice che un secolo fa.
Nel XX secolo, il modernismo (da Bauhaus a Le Corbusier) ha promosso un'estetica fondata su funzionalità, ordine e razionalità.
Il colore veniva percepito come decorazione superflua, un residuo borghese o romantico da eliminare. In quest'ottica, l'oggetto doveva esprimere la verità del materiale e della funzione, non mascherarsi con il colore.
Ma il Less is more di Mies van der Rohe significa anche: meno cromie, più essenza. Da qui nasce l'idea che il bianco, il grigio e il nero siano colori “neutri”, quasi morali, che rappresentano la sincerità e l'universalità del design.
Il minimalismo cromatico si presenta come "neutro" e “razionale”, ma in realtà non è neutro affatto.
Appare invece come un'estetica specifica, nata in contesti occidentali, capitalistici e industriali, che ha imposto i propri canoni come universali.
Il bianco non è assenza di colore: è un colore di potere, parafrasando Hito Steyerl e Achille Mbembe.
La neutralità cromatica è una costruzione ideologica che potrebbe mascherare valori specifici: controllo, efficienza, produttività, invisibilità delle differenze.
Il design “neutro” e “pulito” potrebbe prestarsi perfettamente alla mercificazione continua.
Un oggetto bianco o grigio non "invecchia", non satura, si adatta a ogni contesto, e quindi spinge al consumo costante senza mai sembrare obsoleto.
L'”assenza” di colore può essere assunta come una strategia del mercato: si abbandonano storicità e identità, per una flessibilità infinita.
In questo senso, il minimalismo visivo non appare un atto ascetico, ma una forma di potere economico invisibile.
Da un punto di vista più filosofico (Weber, Benjamin, Adorno), il mondo moderno ha visto un processo di "disincanto”: la magia e la ritualità della vita quotidiana vengono sostituite da razionalità, tecnica e controllo.
Il colore, elemento immediato, emotivo, carnale, diventa sospetto.
Preferiamo superfici lisce, fredde, controllate: la trasparenza al posto della densità, la luce bianca al rosso vitale.
È un sintomo di ascesi laica, una rinuncia estetica che riflette la ricerca di purezza e dominio sulla materia? Forse.
Il colore è stimolo, memoria, emozione, differenza.
La sua scomparsa genera un ambiente monotono e anestetizzato, dove tutto tende al grigio cognitivo.
Si parla spesso di color starvation, una fame sensoriale che produce stress e alienazione, anche se in modo sottile.
L'oggetto neutro, invece di liberare, spoglia l'esperienza del mondo di vitalità e calore. È una forma di tranquillità morta (Byung-Chul Han parlerebbe di estetica della liscezza).
Paradossalmente, l'iper-esposizione ai colori digitali (schermi, pubblicità, loghi, interfacce) ha generato una saturazione visiva. Nel mondo fisico sembriamo reagire con il desiderio di calma, silenzio, neutralità: la casa bianca, il telefono grigio, l'auto nera diventano rifugi dal rumore visivo del mondo digitale. È come se il minimalismo cromatico fosse una forma di difesa percettiva o di meditazione in un'epoca di stimoli continui
Infine, si può inserire questa tendenza cromatico-minimalista come perfettamente coerente a ciò che Heidegger già quasi settant’anni fa definì “La questione della tecnica” (Die Frage nach der Technik, 1954). Heidegger sostiene che la tecnica moderna non è solo un mezzo per raggiungere fini pratici (come costruire, produrre o comunicare), ma è un modo di svelare la realtà: cioè un modo in cui l’uomo comprende e organizza il mondo.
Tuttavia, nella tecnica moderna, questo svelamento è particolare: la natura e le cose vengono viste solo come risorse (“fondo disponibile”, in tedesco Bestand) da sfruttare; l’uomo stesso finisce per diventare parte di questo processo, ridotto a ingranaggio del sistema tecnico, la razionalità tecnico-scientifica domina su ogni altro tipo di sapere (etico, estetico, spirituale) ed anche i colori che abitano il nostro mondo sembrano assumerne l’espressione