15/11/2025
🟢 TRA DUBBI E AMORE: COSA VIVONO I GENITORI QUANDO SENTONO PARLARE DI PSICOMOTRICITÀ...
Quando un genitore sente dire a scuola “sarebbe utile un percorso di psicomotricità”, dentro si apre un piccolo terremoto silenzioso.
Da un lato arriva quella frase pronunciata con delicatezza, quasi a voler sfiorare il meno possibile le sue paure; dall’altro, dentro di sé, qualcosa si muove: preoccupazione, incertezza, senso di inadeguatezza.
È normale.
Nessuno è mai davvero preparato a sentire che il proprio bambino potrebbe aver bisogno di un supporto in più.
Subito compaiono mille domande: “Cosa significa esattamente?”, “Sta succedendo qualcosa di grave?”, “Ho fatto qualcosa di sbagliato?”.
Poi l’altra voce, quella pratica: “Funzionerà davvero?”, “Troverò il professionista giusto?”, “È davvero necessario?”.
Sono pensieri che affiorano perché ogni genitore vorrebbe per il proprio figlio un percorso lineare, sereno, senza deviazioni che mettano in dubbio la propria capacità di accompagnarlo.
Eppure, dopo lo smarrimento iniziale, spesso emerge anche un’altra dimensione: la consapevolezza che la scuola non sta puntando il dito, ma sta offrendo uno sguardo in più.
La psicomotricità non è un’etichetta, non è una diagnosi, non è un giudizio: è uno spazio in cui il bambino può esprimere ciò che ancora non riesce a dire con le parole, un luogo dove il movimento, il gioco e la relazione diventano ponti verso un equilibrio più solido.
Il genitore allora cammina su un filo sottile: da una parte la difficoltà di decidere — perché scegliere un percorso di supporto significa ammettere che una difficoltà esiste davvero — e dall’altra l’amore profondo che spinge a cercare ciò che è migliore per il proprio bambino, anche quando costa fatica.
Ed è proprio lì che avviene il cambiamento: quando ci si allontana dall’idea di “un problema da risolvere” e ci si avvicina all’idea di “un bisogno da ascoltare”.
Accogliere il suggerimento della scuola non significa arrendersi, ma scegliere di mettersi in connessione con ciò che il bambino sta comunicando attraverso il suo corpo, i suoi gesti, i suoi silenzi, le sue esplosioni di energia. Significa vedere oltre la paura del giudizio e oltre la tentazione di minimizzare.
È un atto di coraggio, di cura, di ascolto profondo.
Alla fine, ciò che davvero conta non è la parola “psicomotricità”, ma il movimento più importante: quello del genitore che, con tutte le sue emozioni, decide comunque di restare vicino ai bisogni reali del proprio bambino. Un passo dopo l’altro, insieme.
SP