16/11/2025
Le relazioni non nascono mai per caso
Spesso, ci rendiamo conto solo alla fine della relazione, o a lungo andare, di quale tematica l’altro ci sta risvegliando. Questo è possibile solo se abbiamo lavorato seriamente su noi stesse, e siamo giunte alla consapevolezza che chi ci fa legare sentimentalmente è sempre colui che è in grado di liberare il carico di sofferenza che teniamo sotto controllo, facendoci paradossalmente soffrire nuovamente in modo da essere costrette ad affrontarla e porvi rimedio. Sennò ci innamoreremmo di chiunque, invece apriamo il cuore solo quando qualcuno trova la chiave. Quella chiave, finché restiamo per lo più sconosciute a noi stesse, non può che essere la sola capace di spalancare le nostre ferite irrisolte nascoste dietro le maschere protettive.
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Ma il potere rievocativo della relazione rappresenta una preziosa opportunità per aiutarci a risolverle.
Nel corso della vita possiamo curarle e rimarginarle per sviluppare al massimo il nostro potenziale e diventare la miglior versione di noi stesse perché la relazione ha in sé un potenziale enorme di guarigione. Se questo concetto viene compreso e integrato da entrambi i partner, le possibilità di successo della relazione aumentano esponenzialmente, in quanto diviene un lavoro a due, oltre che individuale. Un lavoro fra persone sempre più consapevoli e desiderose di impegnarsi per far luce su queste zone d’ombra piene di dolore e rabbia, che, una volta portate alla luce e integrate, lasceranno libero l’amore imprigionato di entrambi, permettendo alla coppia di instaurare un legame molto intenso, sempre più profondo, più sano e appagante.
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Quando invece la relazione finisce, dovrebbe lasciarci un insegnamento su quello che l’altro ci ha fatto scoprire di noi stesse. Se non facciamo né l’una né l’altra, né riusciamo a stanare la ferita all’interno della relazione, né a capire il messaggio che quella relazione ci poteva dare per migliorare noi stesse, non potremo fare altro che trovare un altro partner come il precedente e daremo la colpa al destino. Quindi, se pensiamo che il problema sia sempre e solo l’altro, dicendo ad esempio: “No, era lui irresponsabile, io ero giusta, il prossimo andrà meglio”, finiremo fatalmente per collezionare una serie infinita di fidanzati fatti con lo stesso stampino. O, ancor peggio, per il susseguirsi delle delusioni fuggiremo dalle relazioni, proclamando quanto si stia bene da sole, quanto sia bella la vita da single e che l’amore tanto non esiste.
Questi sono tutti meccanismi di difesa per non riprovare il dolore originario che è stato risvegliato dai rapporti che inconsciamente abbiamo scelto nel tentativo di guarire, ma abbiamo mancato perché non abbiamo saputo cogliere quel prezioso messaggio. Invece, dovremmo essere disposte a metterci in discussione e a chiederci: “Perché sono stata attratta da questa persona con queste caratteristiche? Quale parte ombra di me mi doveva svelare questa relazione? Quale parte mi sta rivelando che io non voglio vedere di me?”. L’altro va vissuto come uno specchio, una parte del nostro percorso, come un possibile maestro, attivatore e stimolo, non come meta, non come sistemazione, non come tentata soluzione al di fuori di noi. Questo non vale né per un farmaco, né per un uomo, né per una donna. Niente può essere utilizzato come medicina se non la consapevolezza, l’umiltà, l’impegno e in definitiva l’amore per noi stesse e per la nostra verità”.
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Tratto da “Manuale d’amore - Come costruire una relazione intensa e felice”
di Barbara Majnoni e Elisabetta Notaro,
edito da Giraldi Editore.