24/03/2025
Una chiara lettura dell'isteria ai giorni nostri.
3)L’isteria, un godimento tra corpo e parola – Antonella Gallo.
Ma da dove deriva questa necessità per l’isterica di trovare un riferimento ideale?
Secondo Lacan da un difetto della specularizzazione narcisistica nella fase dello specchio: qualcosa non ha funzionato e lo sguardo dell’Altro ha rimandato un’immagine del corpo incompleta, dove è stata esclusa la dimensione sessuale.
Non avendo ricevuto il riconoscimento adeguato del suo essere, l’isterica avrà quindi la necessità di rivolgersi all’ “al di là dello specchio”, cioè a un’altra donna che le possa “dare corpo, non avendo saputo prender corpo aldiqua” […] (J. Lacan, Scritti, p. 445).
Un altro personaggio freudiano, protagonista questa volta, solo di un breve sogno, offre a Lacan la possibilità di riflettere sulla caratteristica essenziale del desiderio isterico:
il desiderio, per mantenersi tale, deve rimanere insoddisfatto, non si deve saturare con l’appagamento. Si tratta del sogno di quella che Lacan chiama “la Bella Macellaia”, dove uno degli elementi del sogno è che la bella donna, desidera del caviale, ma non vuole che il marito gliene offra, identificandosi in un’amica che vuole del salmone, ma non ne mangia.
Per l’isterico, infatti, non si tratta di negare o distruggere il desiderio, come accade per l’ossessivo, piuttosto di mancarlo per non esaurirlo mai, perché “ non è di un oggetto che si tratta- il desiderio è desiderio di quella mancanza, che nell’Altro, indica un altro desiderio”. (Sem. V, p. 338)
L’attenzione, poi, che l’aitante marito, il macellaio, che di solito ama le donne formose, riserva all’amica secca e magra, contribuisce a dimostrare la dissociazione tra la domanda e il desiderio.
Non sono le parole a manifestare il desiderio, infatti, perciò l’implicita richiesta è di non esaudire quello che si domanda, perché non è di quello che si tratta.
Nel sogno la Macellaia percorre la strada del desiderio attraverso tre identificazioni: prima con l’oggetto del desiderio (l’amica magra), poi col soggetto desiderante (il marito) infine con il significante stesso del desiderio (il fallo fosse anche un po’ magro).
Mantenere attivo il desiderio per l’isterico può significare mettere in atto una vera e propria manovra di sottrazione: l’isterica freudiana che con una mano si sbottona e con l’altra si copre è il paradigma di chi dice di no anche quando vorrebbe dire di sì perché dicendo di sì teme di perdere la propria soggettività, rischia cioè di diventare un oggetto passivo della domanda dell’Altro.
È il movimento di seduzione-sottrazione a cui Lacan dà il nome di dérobade che Colette Soler vede come il sintomo fondamentale dell’Isterica e che “realizza un godimento incestuoso grazie a un copione incompleto”.
Nel XVII Sem. Lacan dice che si tratta dell’ “ assunzione da parte del soggetto, femminile o meno, del godimento di essere privato ” (Sem. XVII, p. 119).
“Trarre godimento nel sentirsi desiderati, potrebbe far pensare che faciliti i rapporti sentimentali, al contrario, invece, li complica, rende la cosa “molto più ostica”.
L’isterico si affanna, infatti, nel tentativo disperante di sconfessare la propria castrazione di cui ha orrore (Sem XVIII, p. 165) nella ricerca di un Altro assoluto, esente dalla mancanza.
Rincorre, così l’idea del principe azzurro, della donna o dell’uomo ideale, che spesso è rappresentato da un padre idealizzato, che anche nelle situazioni conflittuali conferma la sua superiorità rispetto alla castrazione materna.
Passando di partner in partner, l’isterico dimostra l’aspetto metonimico del desiderio, desiderio cioè inarrestabile nella sua erranza. L’isterica, nelle relazioni, può dare, almeno in un primo momento, tutta sé stessa, diventando la serva del padrone di turno, che crede le possa dimostrare l’esistenza del rapporto sessuale, dell’amore assoluto e completo.
Lacan dice che per l’isterica non c’è ancora rapporto sessuale, mettendo in luce con “quest’ancora” la fede nell’esistenza di qualcuno che dimostri che da due si possa arrivare ad un Uno.
L’oblatività e il vassallaggio dimostrati, tuttavia, sono solo apparenti, una strategia per diventare indispensabili e insostituibili al partner, l’oggetto agalmatico di cui non si possa fare più a meno, in altre parole, si vuole un padrone, ma “un padrone su cui regnare”.
“L’isterico è il soggetto diviso, in altri termini, l’inconscio in esercizio, che mette il padrone con le spalle al muro sfidandolo a produrre un sapere. “ (J. L “Radiofonia,” in “Altri Scritti”, p. 433)
Questa dedizione dell’isterica all’amore, la seduzione che esercita con il corpo e con le parole, e la stessa tradizione letteraria potrebbero portare a confondere l’isterica con la donna.
Lacan lo nega decisamente. La donna, come l’isterica, desidera farsi desiderare e provocare la mancanza dell’Altro, ma mentre la donna riesce a soddisfare il proprio desiderio congiungendolo al godimento, senza credere, tuttavia, all’esistenza del rapporto sessuale, per l’isterica ciò risulta impossibile, aderendo a quel dualismo, che Freud aveva attribuito solo agli uomini, tra il desiderio sessuale e amore.
Se infatti, il farsi desiderare è funzionale all’essere, farsi godere può significare, diventare un puro oggetto di piacere sessuale. Così, mentre la donna acconsente a essere “il sintomo di un altro corpo” cioè presta il suo corpo al godimento di un altro corpo, l’isterica non ce la fa.
Per amare e godere, infatti, la donna deve accettare la castrazione, partendo dal presupposto che non avere il fallo le consente di “essere il fallo” per il partner.
L’isterica, viceversa, che vuole avere il fallo e pone la castrazione solo dal lato dell’Altro, non può esserlo.
Di conseguenza è relegata al godimento fallico, nella parte maschile, a sinistra, delle formule della sessuazione, senza poter accedere a quel godimento Altro, eccentrico alla dimensione del fallo e del corpo, appannaggio della donna.
Mentre l’isterica si consuma nella ricerca dell’Uno, che faccia eccezione alla legge della castrazione, la donna si rende conto dell’illusorietà di tale ricerca e può anche vivere in modo stabile le sue storie.
In questa continua rincorsa del desiderio altrui, spesso accade che l’isterico perda di vista il proprio desiderio, e questo oltre al lamento sulle ingiustizie subite, tipico di tutti i nevrotici, può aprire il varco alla dimensione positiva della riflessione su di sé.
“Chi sono veramente? Cosa voglio nella mia vita?”
Si apre, cioè, quella dimensione del perché, sull’implicazionre del proprio sintomo, che Lacan ha chiamato “isterizzazione” e ha ritenuto propedeutica all’entrata vera e propria nell’analisi.
Questa ricerca della verità ha portato Lacan, nel Seminario XVII a inserire i fra quattro discorsi, che delineano le diverse forme di legame sociale, quello isterico che, in un certo senso, si oppone sia al discorso del padrone sia a quello dell’universitario, non accettando né il comando del maître né il sapere anonimo dell’universitario che vogliono imporre una sorta di globalizzazione identitaria.
Il discorso isterico, infatti, punta alla verità, e si rivolge a un supposto sapere per ottenerla, ma punta alla sua verità individuale cioè a quella che sveli il proprio essere.
Paradossalmente, tuttavia, il supposto sapere che viene interpellato, è un “padrone” che scricchiola, a priori, sul suo trono, e l’isterica gode a metterlo in scacco, per diventare il suo punto d’eccezione.
Fulvio Marone ha riportato, in un suo scritto, la soddisfazione con cui una sua analizzante gli ripeteva:“Io sarò il suo grande fallimento!”
Nel discorso isterico ritroviamo il motivo per cui l’uomo, per Lacan, in fatto di isteria sarebbe superiore alla donna, in quanto la sua ricerca del sapere non è limitata dal godimento.
Socrate, che ne rappresenta il prototipo, vuole coinvolgere Alcibiade nel sapere filosofico, “ma non cerca di spillargli né l’effetto d’amore, né l’effetto di godimento.” (C. Soler, “Quel che Lacan diceva delle donne, p. 55)
La ricerca dinamica della verità rende solidali il discorso isterico e quello della Scienza, con la differenza che la scienza, come ho già accennato, punta a una verità universale, impersonale, l’isterica invece alla scoperta della sua verità, quella del sesso e della propria esistenza. Il discorso isterico, infatti, non è il discorso dell’acquiescenza, della compiacenza, ma della dissidenza, in cui ciò che conta è la difesa della propria singolarità.
Seguendo la prospettiva lacaniana, quindi, l’isteria è quanto mai attuale, si tratta solo di cogliere, una volta che ha perso la teatralità tradizionale, come si declini in nuove espressioni, che vanno dalla continua insoddisfazione e l’erranza sentimentale, al rifiuto del corpo, da stati depressivi agli attacchi di panico, dove il godimento non trova le parole.
È stato ipotizzato che percorra anche la strada della sublimazione, nelle nuove forme di danza e nel teatro gestuale, dove i movimenti di un corpo continuamente scomposto e ricomposto, in una sorta di sovraeccitazione motoria, sembra imporsi laddove la parola o il gesto convenzionale rivelano la loro insufficienza espressiva.
Facciamo dunque una breve riflessione sul valore dell’analisi per l’isterica: se l’analisi come ha sottolineato Elisabeth Tamer, non può cambiare l’inconscio, ma può influire sul modo in cui il soggetto vive gli effetti di linguaggio, si tratta con l’isterica di puntare a riconciliare il desiderio e il godimento in modo da permettere un arresto dello scivolamento perenne del desiderio, riuscendo finalmente a vedere “il nuovo nello stesso”, cioè riuscire a riscontrare aspetti di novità nella relazioni consuete.
Proprio in questi giorni una mia analizzante mi ha mandato il seguente wapp: “Mi sento in un rapporto normale e questo mi fa sentire strana, felice ma come se non sapessi bene cosa fare…”