05/10/2025
Immagina una mattina al bar .
Sei seduto al tavolo con le amiche, ognuna con il suo caffè e i suoi pensieri... finché qualcuna, con aria complice, dice:
“Lo sapete cosa ha fatto Marta ieri in riunione? Assurdo…”
Gli occhi si alzano, i sorrisi si stringono, le orecchie si tendono.
Il racconto parte, si colora, si ingigantisce. In pochi minuti, Marta diventa la protagonista di una storia da cui non può difendersi.
Quella brevissima frase iniziale – “Lo sai cosa ha fatto?” – dice già tanto.
Perché sì, stiamo parlando, anzi, sparlando di Marta che non c'è,
ma stiamo raccontando anche di noi, che invece siamo lì.
Il pettegolezzo è spesso una risposta a un bisogno interiore.
Non sempre lo facciamo con cattiveria. A volte, nemmeno ce ne accorgiamo.
Eppure, dietro ogni parola che usiamo per descrivere qualcun altro, può esserci un nostro bisogno non detto:
Bisogno di appartenenza:
Parlare di qualcuno ci fa sentire parte di un gruppo. Il “noi” si costruisce spesso intorno a un “lui” o “lei”.
Bisogno di identità:
Criticare le scelte altrui può rassicurarci sulle nostre. “Io non farei mai così” è un modo per dire “Io sono diverso, forse migliore”.
Bisogno di sfogo:
A volte usiamo il pettegolezzo per alleggerire tensioni interiori. Parlare degli altri diventa un modo (inconscio) per non ascoltare il rumore dentro di noi.
Il pettegolezzo, in fondo, è uno specchio.
Riflette molto di più chi lo fa, che chi lo subisce.
Prova a chiederti, la prossima volta:
– Di cosa ho bisogno, davvero?
– Cosa sto cercando di esprimere parlando di questa persona?
– C’è un modo più autentico per prendermi cura di quel bisogno, senza far male a nessuno?
Non si tratta di colpevolizzarsi, ma di conoscersi meglio.
Perché ogni parola che scegliamo, è anche una storia che raccontiamo su di noi.
E se, invece, partissi proprio da te?
Se parlassi di te, di quella volta in cui...?
Proviamo?
E se invece dessi ascolto a quel bisogno?
Proviamo?