29/07/2025
In questi giorni, i miei occhi incrociano i loro. In TV, tra le immagini che scorrono sui social, vedo i loro occhi. E quegli occhi, grandi, profondi, troppo antichi per la loro giovane età, non mi lasciano. Occhi che raccontano storie che nessun bambino dovrebbe mai conoscere.
E allora, per un istante, chiudo i miei. Immagino, solo per un momento, di essere lì. Di respirare quell'aria densa di polvere e paura. Di sentire il tremore del terreno, non per un gioco, ma per un'esplosione vicina. Provare, per pochi, interminabili minuti, la morsa di quel dramma che è la loro quotidianità.
Immagino il silenzio assordante dopo un boato, interrotto solo dal pianto sommesso, o forse, dal silenzio più agghiacciante di chi non piange più. Vedo le mani minuscole, non sporche di terra per aver giocato, ma di detriti per aver scavato, per aver cercato. Sento il freddo della fame che si insinua nelle ossa, non quella che si placa con una merenda, ma quella che scava un vuoto incolmabile, giorno dopo giorno.
E quegli incubi, che per i nostri figli sono fantasmi della notte, per loro sono il ritorno brutale di una realtà appena vissuta. L'eco delle grida, il sibilo dei proiettili, le ombre di chi non c'è più. Questa non è infanzia. È sopravvivenza nuda e cruda, una corsa contro il tempo e la morte.
Come psicoterapeuta, ma soprattutto come madre, il mio cuore si stringe di fronte a queste immagini mentali. La loro rabbia non è capriccio, non è ribellione adolescenziale. È l'unica risposta possibile a un mondo che li ha traditi, una furia impotente contro l'ingiustizia di essere nati nel posto sbagliato, al momento sbagliato. È la rabbia di chi ha perso tutto, prima ancora di aver avuto il tempo di costruire.
Le cicatrici sul corpo guariscono, ma le ferite nell'anima? Quante generazioni porteranno il peso di questo trauma? Quanti futuri sono già stati cancellati da questa violenza cieca? La salute mentale di questi bambini non è un problema lontano; è una crisi umanitaria che ci interpella tutti, che grida nel profondo della nostra coscienza.
Non possiamo, non dobbiamo permettere che la loro sofferenza diventi un'abitudine, perché ogni sguardo spento di un bambino di Gaza è una parte della nostra umanità che si sta perdendo.❤️