
07/07/2025
Bentornati! Per questo ventunesimo appuntamento la 𝐃𝐫.𝐬𝐬𝐚 𝐋𝐢𝐬𝐚 𝐁𝐮𝐟𝐟𝐢𝐧𝐢 propone il suo articolo dal titolo 𝐈𝐥 𝐩𝐞𝐧𝐬𝐢𝐞𝐫𝐨 𝐝𝐢𝐜𝐨𝐭𝐨𝐦𝐢𝐜𝐨: 𝐪𝐮𝐚𝐧𝐝𝐨 𝐥𝐚 𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐯𝐞𝐝𝐞 𝐭𝐮𝐭𝐭𝐨 𝐛𝐢𝐚𝐧𝐜𝐨 𝐞 𝐧𝐞𝐫𝐨, in cui spiega cos’è e cosa comporta questa rigidità mentale.
Buona lettura!
𝑆𝑒 ℎ𝑜 𝑠𝑏𝑎𝑔𝑙𝑖𝑎𝑡𝑜 𝑢𝑛𝑎 𝑣𝑜𝑙𝑡𝑎, 𝑠𝑏𝑎𝑔𝑙𝑖𝑒𝑟𝑜̀ 𝑠𝑒𝑚𝑝𝑟𝑒. 𝐿𝑒 𝑐𝑜𝑠𝑒 𝑠𝑖 𝑓𝑎𝑛𝑛𝑜 𝑎𝑙𝑙𝑎 𝑝𝑒𝑟𝑓𝑒𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑜 𝑡𝑎𝑛𝑡𝑜 𝑣𝑎𝑙𝑒 𝑛𝑜𝑛 𝑓𝑎𝑟𝑙𝑒. 𝑂 𝑝𝑖𝑎𝑐𝑐𝑖𝑜 𝑎 𝑡𝑢𝑡𝑡𝑖, 𝑜𝑝𝑝𝑢𝑟𝑒 𝑛𝑜𝑛 𝑣𝑎𝑙𝑔𝑜 𝑛𝑢𝑙𝑙𝑎.
Se queste frasi ti suonano familiari, è possibile che tu stia ragionando secondo schemi tipici del 𝐩𝐞𝐧𝐬𝐢𝐞𝐫𝐨 𝐝𝐢𝐜𝐨𝐭𝐨𝐦𝐢𝐜𝐨 (in inglese, 𝐵𝑙𝑎𝑐𝑘 𝑎𝑛𝑑 𝑊ℎ𝑖𝑡𝑒 𝑇ℎ𝑖𝑛𝑘𝑖𝑛𝑔), una modalità di giudizio che porta a interpretare il mondo, gli eventi e le persone secondo polarità opposte, escludendo vie di mezzo.
Questa tipologia di ragionamento è un vero e proprio bias cognitivo, cioè un errore sistematico nel modo di elaborare le informazioni, che spinge a dividere le esperienze in due categorie mutuamente escludentesi: giusto o sbagliato, successo o fallimento, amore od odio e così via.
Tale bias affonda spesso le sue radici in 𝐞𝐬𝐩𝐞𝐫𝐢𝐞𝐧𝐳𝐞 𝐩𝐚𝐬𝐬𝐚𝐭𝐞, in cui il giudizio ricevuto era rigido e assoluto. In ambienti del genere, si interiorizza l’idea che il proprio valore dipenda esclusivamente da risultati impeccabili, escludendo la possibilità di sbagliare o di avere incertezze. Anche l’𝐚𝐧𝐬𝐢𝐚 e l’𝐢𝐧𝐬𝐢𝐜𝐮𝐫𝐞𝐳𝐳𝐚 possono rafforzare questa visione rigida: per sentirsi al sicuro, la mente classifica ogni esperienza in bianco o nero, nel tentativo di ridurre la complessità che fatica a gestire.
Proprio perché porta a concettualizzare il mondo agli estremi, viene anche definito 𝒑𝒆𝒏𝒔𝒊𝒆𝒓𝒐 𝒑𝒐𝒍𝒂𝒓𝒊𝒛𝒛𝒂𝒕𝒐. La 𝐩𝐨𝐥𝐚𝐫𝐢𝐳𝐳𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 è, infatti, il tratto distintivo di questa distorsione cognitiva e comporta una visione della realtà estremamente rigida. Adottando una visione polarizzata, diventa difficile riconoscere che le situazioni contengono spesso sia elementi positivi che negativi, che le persone hanno difetti e pregi, che le decisioni che prendiamo hanno conseguenze positive e negative.
Un altro aspetto fondamentale del pensiero dicotomico è la 𝐫𝐢𝐠𝐢𝐝𝐢𝐭𝐚̀ 𝐦𝐞𝐧𝐭𝐚𝐥𝐞, ovvero la difficoltà a mettere in discussione le proprie convinzioni, anche di fronte a nuove evidenze. Cambiare idea può generare insicurezza e timore di apparire incoerenti. Questo può spingere a ignorare informazioni contrarie alle proprie credenze, ostacolando l’apertura mentale e creando difficoltà relazionali.
Anche la 𝐬𝐞𝐦𝐩𝐥𝐢𝐟𝐢𝐜𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐞𝐜𝐜𝐞𝐬𝐬𝐢𝐯𝐚 e l’emotività intensa sono aspetti chiave di questo modo di pensare. La prima è un tentativo (illusorio) di ridurre l’incertezza: dividere le persone in “buone” o “cattive” e gli eventi in “successi” o “disastri” può farci sentire più sicuri, ma allo stesso tempo limita la nostra capacità di comprendere la realtà nella sua complessità. Questo approccio non solo distorce la percezione degli eventi, ma limita anche la capacità di risolvere problemi in modo efficace, rinforzando la tendenza a interpretare ogni esperienza secondo categorie rigide e immutabili.
Parallelamente, l’𝐞𝐦𝐨𝐭𝐢𝐯𝐢𝐭𝐚̀ 𝐢𝐧𝐭𝐞𝐧𝐬𝐚 emerge proprio perché le esperienze sono interpretate in termini assoluti e ciò non lascia spazio a emozioni intermedie. Facendo un esempio, un errore nel contesto lavorativo potrebbe essere interpretato come un “totale fallimento” e questo portare a emozioni acute come disperazione, senso di colpa, rabbia verso sé stessi e vergogna. L'intensità emotiva è problematica perché può condurre a stress, ansia, comportamenti impulsivi e autodistruttivi.
Infine, anche la tendenza a 𝐠𝐢𝐮𝐝𝐢𝐜𝐚𝐫𝐞 𝐬𝐞́ 𝐬𝐭𝐞𝐬𝐬𝐢 𝐞 𝐠𝐥𝐢 𝐚𝐥𝐭𝐫𝐢 𝐢𝐧 𝐦𝐚𝐧𝐢𝐞𝐫𝐚 𝐞𝐬𝐭𝐫𝐞𝐦𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐬𝐞𝐯𝐞𝐫𝐚 è una caratteristica tipica di tale modalità di ragionamento. Il pensiero dicotomico non ammette errori e imperfezioni e conduce ad una costante valutazione delle proprie prestazioni. I giudizi severi su sé stessi alimentano l'insoddisfazione verso di sé e possono indurre l'𝐚𝐮𝐭𝐨𝐬𝐚𝐛𝐨𝐭𝐚𝐠𝐠𝐢𝐨, un meccanismo spesso inconsapevole che porta, attraverso pensieri e comportamenti, ad ostacolare il raggiungimento dei propri obiettivi e del benessere personale. Anche la critica verso gli altri è rigida: un piccolo errore da parte di una persona cara può essere interpretato come una prova definitiva della sua mancanza di affetto.
Per queste ragioni, tale distorsione cognitiva è strettamente connessa al perfezionismo e in particolare a quello clinico, che si distingue dal perfezionismo sano orientato al miglioramento personale. Il 𝐩𝐞𝐫𝐟𝐞𝐳𝐢𝐨𝐧𝐢𝐬𝐦𝐨 𝐩𝐚𝐭𝐨𝐥𝐨𝐠𝐢𝐜𝐨 è definito come la tendenza a basare il proprio valore sul raggiungimento di standard estremamente elevati, spesso irrealistici, accompagnata da un’autocritica intensa quando questi non vengono soddisfatti. Superarlo non è semplice, poiché è necessario interrompere i processi implicati nel suo mantenimento tra cui, oltre al pensiero dicotomico, troviamo: l'eccessiva importanza attribuita al raggiungimento di standard rigidi e autoimposti; l’attenzione selettiva rivolta solo agli aspetti negativi; il doppio standard, per cui si è molto più severi con noi stessi di quanto si sarebbe con gli altri; la tendenza a minimizzare i successi e la catastrofizzazione, che amplia le conseguenze di un errore.
Questi meccanismi mentali trovano oggi un terreno particolarmente fertile nei 𝐬𝐨𝐜𝐢𝐚𝐥 𝐦𝐞𝐝𝐢𝐚, che offrono spesso una rappresentazione distorta e idealizzata della realtà: si tende a mostrare solo i momenti migliori della vita. Non c’è, dunque, spazio per la complessità dell’esperienza umana (o forse non siamo pronti a condividerla). Il flusso costante di immagini perfette e successi porta così a focalizzarsi selettivamente sugli aspetti negativi della propria vita, rafforzando il doppio standard (“gli altri ce la fanno, io no”) e la convinzione che per avere valore sia necessario mostrarsi sempre felici e realizzati. Questo confronto con standard irraggiungibili alimenta la visione “tutto o nulla” e aggrava le modalità di pensiero rigide tipiche del perfezionismo. In questo senso, il confronto sociale non serve più a stimolare la crescita, ma finisce per alimentare insoddisfazione e autosvalutazione. Non sorprende, infatti, che l’uso intensivo dei social media sia associato a maggiori livelli di ansia, insoddisfazione e bassa autostima.
È, pertanto, importante saper riconoscere e modificare questa modalità di pensiero per favorire una maggiore flessibilità mentale e un benessere psicologico più stabile. Fortunatamente, esistono alcune strategie mirate:
𝐂𝐨𝐧𝐬𝐚𝐩𝐞𝐯𝐨𝐥𝐞𝐳𝐳𝐚: il primo passo è riconoscere la presenza di pensieri rigidi e assoluti;
𝐄𝐬𝐚𝐦𝐞 𝐜𝐫𝐢𝐭𝐢𝐜𝐨: una volta individuati, è utile metterli in discussione chiedendosi, ad esempio: “ci sono prove concrete che confermano questa visione?”, “esistono altre interpretazioni possibili?”;
𝐑𝐢𝐟𝐨𝐫𝐦𝐮𝐥𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞: sostituire i pensieri disfunzionali con valutazioni più realistiche. Ad esempio: “se il mio partner mi ha lasciato non è perché non valgo niente, ma per motivi che riguardano entrambi”.
Sfidare il pensiero dicotomico richiede coraggio, ma può cambiare radicalmente il modo in cui percepiamo e affrontiamo il mondo. Scegliere di essere gentili, comprensivi e flessibili può trasformare profondamente il nostro benessere e aiutarci a ritrovare un senso di fiducia in sé e negli altri.