Daniela Sapio - Una Psicoterapeuta al tuo fianco

Daniela Sapio - Una Psicoterapeuta al tuo fianco Informazioni di contatto, mappa e indicazioni stradali, modulo di contatto, orari di apertura, servizi, valutazioni, foto, video e annunci di Daniela Sapio - Una Psicoterapeuta al tuo fianco, Psicologo, Via Firenze, 13, Prato.

Psicologa clinica e della salute, iscritta all'Albo degli Psicologi della Toscana (n. 8388)
Psicologa forense
Psicoterapeuta ad indirizzo Umanistico e Bioenergetico
Psicodiagnosta
Tutor dell'apprendimento specializzata in DSA e BES

07/07/2025

Bentornati! Per questo ventunesimo appuntamento la 𝐃𝐫.𝐬𝐬𝐚 𝐋𝐢𝐬𝐚 𝐁𝐮𝐟𝐟𝐢𝐧𝐢 propone il suo articolo dal titolo 𝐈𝐥 𝐩𝐞𝐧𝐬𝐢𝐞𝐫𝐨 𝐝𝐢𝐜𝐨𝐭𝐨𝐦𝐢𝐜𝐨: 𝐪𝐮𝐚𝐧𝐝𝐨 𝐥𝐚 𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐯𝐞𝐝𝐞 𝐭𝐮𝐭𝐭𝐨 𝐛𝐢𝐚𝐧𝐜𝐨 𝐞 𝐧𝐞𝐫𝐨, in cui spiega cos’è e cosa comporta questa rigidità mentale.

Buona lettura!


𝑆𝑒 ℎ𝑜 𝑠𝑏𝑎𝑔𝑙𝑖𝑎𝑡𝑜 𝑢𝑛𝑎 𝑣𝑜𝑙𝑡𝑎, 𝑠𝑏𝑎𝑔𝑙𝑖𝑒𝑟𝑜̀ 𝑠𝑒𝑚𝑝𝑟𝑒. 𝐿𝑒 𝑐𝑜𝑠𝑒 𝑠𝑖 𝑓𝑎𝑛𝑛𝑜 𝑎𝑙𝑙𝑎 𝑝𝑒𝑟𝑓𝑒𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑜 𝑡𝑎𝑛𝑡𝑜 𝑣𝑎𝑙𝑒 𝑛𝑜𝑛 𝑓𝑎𝑟𝑙𝑒. 𝑂 𝑝𝑖𝑎𝑐𝑐𝑖𝑜 𝑎 𝑡𝑢𝑡𝑡𝑖, 𝑜𝑝𝑝𝑢𝑟𝑒 𝑛𝑜𝑛 𝑣𝑎𝑙𝑔𝑜 𝑛𝑢𝑙𝑙𝑎.

Se queste frasi ti suonano familiari, è possibile che tu stia ragionando secondo schemi tipici del 𝐩𝐞𝐧𝐬𝐢𝐞𝐫𝐨 𝐝𝐢𝐜𝐨𝐭𝐨𝐦𝐢𝐜𝐨 (in inglese, 𝐵𝑙𝑎𝑐𝑘 𝑎𝑛𝑑 𝑊ℎ𝑖𝑡𝑒 𝑇ℎ𝑖𝑛𝑘𝑖𝑛𝑔), una modalità di giudizio che porta a interpretare il mondo, gli eventi e le persone secondo polarità opposte, escludendo vie di mezzo.
Questa tipologia di ragionamento è un vero e proprio bias cognitivo, cioè un errore sistematico nel modo di elaborare le informazioni, che spinge a dividere le esperienze in due categorie mutuamente escludentesi: giusto o sbagliato, successo o fallimento, amore od odio e così via.

Tale bias affonda spesso le sue radici in 𝐞𝐬𝐩𝐞𝐫𝐢𝐞𝐧𝐳𝐞 𝐩𝐚𝐬𝐬𝐚𝐭𝐞, in cui il giudizio ricevuto era rigido e assoluto. In ambienti del genere, si interiorizza l’idea che il proprio valore dipenda esclusivamente da risultati impeccabili, escludendo la possibilità di sbagliare o di avere incertezze. Anche l’𝐚𝐧𝐬𝐢𝐚 e l’𝐢𝐧𝐬𝐢𝐜𝐮𝐫𝐞𝐳𝐳𝐚 possono rafforzare questa visione rigida: per sentirsi al sicuro, la mente classifica ogni esperienza in bianco o nero, nel tentativo di ridurre la complessità che fatica a gestire.
Proprio perché porta a concettualizzare il mondo agli estremi, viene anche definito 𝒑𝒆𝒏𝒔𝒊𝒆𝒓𝒐 𝒑𝒐𝒍𝒂𝒓𝒊𝒛𝒛𝒂𝒕𝒐. La 𝐩𝐨𝐥𝐚𝐫𝐢𝐳𝐳𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 è, infatti, il tratto distintivo di questa distorsione cognitiva e comporta una visione della realtà estremamente rigida. Adottando una visione polarizzata, diventa difficile riconoscere che le situazioni contengono spesso sia elementi positivi che negativi, che le persone hanno difetti e pregi, che le decisioni che prendiamo hanno conseguenze positive e negative.
Un altro aspetto fondamentale del pensiero dicotomico è la 𝐫𝐢𝐠𝐢𝐝𝐢𝐭𝐚̀ 𝐦𝐞𝐧𝐭𝐚𝐥𝐞, ovvero la difficoltà a mettere in discussione le proprie convinzioni, anche di fronte a nuove evidenze. Cambiare idea può generare insicurezza e timore di apparire incoerenti. Questo può spingere a ignorare informazioni contrarie alle proprie credenze, ostacolando l’apertura mentale e creando difficoltà relazionali.
Anche la 𝐬𝐞𝐦𝐩𝐥𝐢𝐟𝐢𝐜𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐞𝐜𝐜𝐞𝐬𝐬𝐢𝐯𝐚 e l’emotività intensa sono aspetti chiave di questo modo di pensare. La prima è un tentativo (illusorio) di ridurre l’incertezza: dividere le persone in “buone” o “cattive” e gli eventi in “successi” o “disastri” può farci sentire più sicuri, ma allo stesso tempo limita la nostra capacità di comprendere la realtà nella sua complessità. Questo approccio non solo distorce la percezione degli eventi, ma limita anche la capacità di risolvere problemi in modo efficace, rinforzando la tendenza a interpretare ogni esperienza secondo categorie rigide e immutabili.
Parallelamente, l’𝐞𝐦𝐨𝐭𝐢𝐯𝐢𝐭𝐚̀ 𝐢𝐧𝐭𝐞𝐧𝐬𝐚 emerge proprio perché le esperienze sono interpretate in termini assoluti e ciò non lascia spazio a emozioni intermedie. Facendo un esempio, un errore nel contesto lavorativo potrebbe essere interpretato come un “totale fallimento” e questo portare a emozioni acute come disperazione, senso di colpa, rabbia verso sé stessi e vergogna. L'intensità emotiva è problematica perché può condurre a stress, ansia, comportamenti impulsivi e autodistruttivi.
Infine, anche la tendenza a 𝐠𝐢𝐮𝐝𝐢𝐜𝐚𝐫𝐞 𝐬𝐞́ 𝐬𝐭𝐞𝐬𝐬𝐢 𝐞 𝐠𝐥𝐢 𝐚𝐥𝐭𝐫𝐢 𝐢𝐧 𝐦𝐚𝐧𝐢𝐞𝐫𝐚 𝐞𝐬𝐭𝐫𝐞𝐦𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐬𝐞𝐯𝐞𝐫𝐚 è una caratteristica tipica di tale modalità di ragionamento. Il pensiero dicotomico non ammette errori e imperfezioni e conduce ad una costante valutazione delle proprie prestazioni. I giudizi severi su sé stessi alimentano l'insoddisfazione verso di sé e possono indurre l'𝐚𝐮𝐭𝐨𝐬𝐚𝐛𝐨𝐭𝐚𝐠𝐠𝐢𝐨, un meccanismo spesso inconsapevole che porta, attraverso pensieri e comportamenti, ad ostacolare il raggiungimento dei propri obiettivi e del benessere personale. Anche la critica verso gli altri è rigida: un piccolo errore da parte di una persona cara può essere interpretato come una prova definitiva della sua mancanza di affetto.

Per queste ragioni, tale distorsione cognitiva è strettamente connessa al perfezionismo e in particolare a quello clinico, che si distingue dal perfezionismo sano orientato al miglioramento personale. Il 𝐩𝐞𝐫𝐟𝐞𝐳𝐢𝐨𝐧𝐢𝐬𝐦𝐨 𝐩𝐚𝐭𝐨𝐥𝐨𝐠𝐢𝐜𝐨 è definito come la tendenza a basare il proprio valore sul raggiungimento di standard estremamente elevati, spesso irrealistici, accompagnata da un’autocritica intensa quando questi non vengono soddisfatti. Superarlo non è semplice, poiché è necessario interrompere i processi implicati nel suo mantenimento tra cui, oltre al pensiero dicotomico, troviamo: l'eccessiva importanza attribuita al raggiungimento di standard rigidi e autoimposti; l’attenzione selettiva rivolta solo agli aspetti negativi; il doppio standard, per cui si è molto più severi con noi stessi di quanto si sarebbe con gli altri; la tendenza a minimizzare i successi e la catastrofizzazione, che amplia le conseguenze di un errore.

Questi meccanismi mentali trovano oggi un terreno particolarmente fertile nei 𝐬𝐨𝐜𝐢𝐚𝐥 𝐦𝐞𝐝𝐢𝐚, che offrono spesso una rappresentazione distorta e idealizzata della realtà: si tende a mostrare solo i momenti migliori della vita. Non c’è, dunque, spazio per la complessità dell’esperienza umana (o forse non siamo pronti a condividerla). Il flusso costante di immagini perfette e successi porta così a focalizzarsi selettivamente sugli aspetti negativi della propria vita, rafforzando il doppio standard (“gli altri ce la fanno, io no”) e la convinzione che per avere valore sia necessario mostrarsi sempre felici e realizzati. Questo confronto con standard irraggiungibili alimenta la visione “tutto o nulla” e aggrava le modalità di pensiero rigide tipiche del perfezionismo. In questo senso, il confronto sociale non serve più a stimolare la crescita, ma finisce per alimentare insoddisfazione e autosvalutazione. Non sorprende, infatti, che l’uso intensivo dei social media sia associato a maggiori livelli di ansia, insoddisfazione e bassa autostima.

È, pertanto, importante saper riconoscere e modificare questa modalità di pensiero per favorire una maggiore flessibilità mentale e un benessere psicologico più stabile. Fortunatamente, esistono alcune strategie mirate:
𝐂𝐨𝐧𝐬𝐚𝐩𝐞𝐯𝐨𝐥𝐞𝐳𝐳𝐚: il primo passo è riconoscere la presenza di pensieri rigidi e assoluti;
𝐄𝐬𝐚𝐦𝐞 𝐜𝐫𝐢𝐭𝐢𝐜𝐨: una volta individuati, è utile metterli in discussione chiedendosi, ad esempio: “ci sono prove concrete che confermano questa visione?”, “esistono altre interpretazioni possibili?”;
𝐑𝐢𝐟𝐨𝐫𝐦𝐮𝐥𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞: sostituire i pensieri disfunzionali con valutazioni più realistiche. Ad esempio: “se il mio partner mi ha lasciato non è perché non valgo niente, ma per motivi che riguardano entrambi”.

Sfidare il pensiero dicotomico richiede coraggio, ma può cambiare radicalmente il modo in cui percepiamo e affrontiamo il mondo. Scegliere di essere gentili, comprensivi e flessibili può trasformare profondamente il nostro benessere e aiutarci a ritrovare un senso di fiducia in sé e negli altri.

24/06/2025

Bentornati! Per questo ventesimo appuntamento la 𝐃𝐫.𝐬𝐬𝐚 Daniela Sapio - Una Psicoterapeuta al tuo fianco propone il suo articolo dal titolo 𝐕𝐢𝐯𝐞𝐫𝐞 𝐧𝐨𝐧𝐨𝐬𝐭𝐚𝐧𝐭𝐞 𝐥𝐚 𝐦𝐨𝐫𝐭𝐞: 𝐬𝐭𝐫𝐚𝐭𝐞𝐠𝐢𝐞 𝐩𝐞𝐫 𝐞𝐥𝐚𝐛𝐨𝐫𝐚𝐫𝐞 𝐢𝐥 𝐥𝐮𝐭𝐭𝐨 𝐝𝐢 𝐮𝐧 𝐟𝐚𝐦𝐢𝐥𝐢𝐚𝐫𝐞, in cui spiega come affrontare al meglio il lutto.

Buona lettura!


Quando perdi un padre, una madre, un compagno o una compagna, un fratello, una sorella o un figlio, la tua vita cambia per sempre. La scomparsa di un familiare scandisce un “prima” e un “dopo”: il confine tra la tua vita con quella persona e la tua vita senza quella persona. Niente sarà mai più come prima. Cambia il sapore di tutto ciò che ti circonda: persone, oggetti, abitudini, luoghi; tutto, in te, risente e assorbe gli effetti di un cambiamento inesorabile: il corpo, le emozioni, le cognizioni, i comportamenti.

La perdita di una persona cara è una delle esperienze più dolorose e universali dell’esistenza umana. Nessuno è immune al lutto, eppure ognuno lo vive in un modo unico, intimo, personale. La psicologia ha cercato di dare un senso a questo percorso complesso, sviluppando modelli che ci aiutano a comprendere meglio cosa accade dentro di noi quando affrontiamo una perdita significativa.

𝐋𝐞 𝐟𝐚𝐬𝐢 𝐝𝐞𝐥 𝐥𝐮𝐭𝐭𝐨: 𝐢𝐥 𝐦𝐨𝐝𝐞𝐥𝐥𝐨 𝐝𝐢 𝐊𝐮̈𝐛𝐥𝐞𝐫-𝐑𝐨𝐬𝐬

Uno dei modelli più noti è quello proposto dalla psichiatra Elisabeth Kübler-Ross nel 1969. Inizialmente pensato per descrivere le reazioni dei pazienti terminali, è stato successivamente applicato a chiunque affronti una grande perdita. Le sue cinque fasi non rappresentano un percorso lineare, ma piuttosto delle possibili tappe, che possono alternarsi, ripetersi o coesistere.

1. 𝐍𝐞𝐠𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 – Una difesa naturale che protegge dallo shock iniziale. Il dolore è così grande da risultare inaccettabile: la mente prende tempo per iniziare a comprendere.

2. 𝐑𝐚𝐛𝐛𝐢𝐚 – “Perché è successo?” La rabbia può essere rivolta verso altri, verso sé stessi o anche verso la persona che se ne è andata. È un’emozione che esprime la frustrazione e il senso di ingiustizia.

3. Contrattazione – “Se solo avessi fatto…” È il tentativo di trovare spiegazioni o soluzioni impossibili, nel tentativo di riprendere il controllo.

4. Depressione – Quando la perdita si fa reale e definitiva, può subentrare un senso profondo di tristezza, solitudine, vuoto. Non si tratta di una patologia, ma di una fase fisiologica.

5. 𝐀𝐜𝐜𝐞𝐭𝐭𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 – Non significa “stare bene”, ma convivere con l’assenza, riorganizzando la propria vita alla luce del cambiamento. È il momento in cui il dolore inizia a trasformarsi.

𝐈𝐥 𝐥𝐮𝐭𝐭𝐨 𝐬𝐢 𝐩𝐮𝐨̀ 𝐝𝐚𝐯𝐯𝐞𝐫𝐨 𝐬𝐮𝐩𝐞𝐫𝐚𝐫𝐞?

Superare la perdita di una persona cara non vuol dire smettere di provare dolore per quella perdita, né dimenticare: non svaniscono né i ricordi di e con la persona scomparsa, né il ricordo dei momenti dolorosi connessi alla perdita (ad esempio, la diagnosi in caso di morte per malattia, il momento in cui abbiamo ricevuto la notizia della morte, l’ultimo respiro, le ultime parole, il funerale, la salma ecc). Superare il lutto vuol dire integrare l’esperienza dolorosa della perdita nella nostra coscienza e nella nostra vita, senza perpetuarne l’impatto disgregante e traumatizzante. Significa divenire consapevoli del fatto che quell’evento ha cambiato le nostre vite e non si può pensare alla nostra perdita senza sentire dolore e mancanza; tuttavia, il dolore e la mancanza, in un lutto elaborato, non avvolgono l’intera esistenza della persona sopravvissuta, ma al contrario le lasciano la possibilità di continuare a vivere respirando a pieni polmoni. La disperazione iniziale lascia il posto a un tipo di dolore meno intenso e meno acuto; i ricordi diventano via via più dolci; la rabbia per la perdita lascia il posto alla gratitudine per aver avuto quella persona nella propria vita.

𝐐𝐮𝐚𝐧𝐝𝐨 𝐢𝐥 𝐝𝐨𝐥𝐨𝐫𝐞 𝐬𝐢 𝐭𝐫𝐚𝐬𝐟𝐨𝐫𝐦𝐚 𝐢𝐧 𝐬𝐨𝐟𝐟𝐞𝐫𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐩𝐚𝐭𝐨𝐥𝐨𝐠𝐢𝐜𝐚

Per quanto sia naturale, il lutto non sempre evolve verso un’elaborazione sana. In alcuni casi, può sfociare in un lutto complicato, oggi riconosciuto anche dal DSM-5-TR come 𝐝𝐢𝐬𝐭𝐮𝐫𝐛𝐨 𝐝𝐚 𝐥𝐮𝐭𝐭𝐨 𝐩𝐫𝐨𝐥𝐮𝐧𝐠𝐚𝐭𝐨. Questa condizione si manifesta quando, a distanza di molti mesi, il dolore resta acuto e pervasivo, impedendo alla persona di riprendere una vita funzionale.
Tra i sintomi possibili: pensieri intrusivi e persistenti sulla persona deceduta, incapacità di accettare la morte, senso di colpa, inutilità, o rabbia incontrollata, ritiro sociale, apatia, disturbi del sonno, dell’alimentazione o della concentrazione, sintomi depressivi o ansiosi.
In alcuni casi, il lutto può innescare disturbi depressivi, disturbi d’ansia, Disturbo da stress post-traumatico (soprattutto in caso di lutti traumatici, improvvisi o violenti), o portare a comportamenti a rischio.

𝐏𝐢𝐜𝐜𝐨𝐥𝐞 𝐬𝐭𝐫𝐚𝐭𝐞𝐠𝐢𝐞 𝐪𝐮𝐨𝐭𝐢𝐝𝐢𝐚𝐧𝐞 𝐩𝐞𝐫 𝐚𝐭𝐭𝐫𝐚𝐯𝐞𝐫𝐬𝐚𝐫𝐞 𝐢𝐥 𝐝𝐨𝐥𝐨𝐫𝐞

Molto diffusa, ma erronea, è la convinzione che il tempo da solo basti a far guarire tutte le ferite. Il tempo è necessario, ma serve a elaborare il dolore solo se ti dai da fare, solo se ti impegni a vivere - non a sopravvivere - e chiedi aiuto.

E’ importante anche sapere che non esiste un unico modo (e non esistono modi giusti e sbagliati) di vivere il dolore della perdita: per esempio, alcune persone trovano conforto nell’andare a trovare i propri cari al cimitero o nei luoghi che frequentavano insieme; altri hanno bisogno invece di starci lontani. Non giudicare mai chi sta attraversando un lutto: piuttosto, chiedigli come puoi essere d’aiuto e sii pronto a sentire di non sapere qual è la cosa giusta da fare e da dire: è normale.

Qualunque sia il modo che senti più naturale per vivere il tuo dolore, cerca di viverlo e attraversarlo, perché solo attraversandolo, ne uscirai. Se invece cercherai di reprimerlo, di ammutolirlo, di scacciarlo, esso graverà su di te e sulla tua vita.

Qui di seguito ho elencato delle strategie semplici ma efficaci per attraversare, con il proprio tempo, il dolore:

1. Darsi il permesso di soffrire, senza fretta, senza forzature. Ogni emozione ha il diritto di esistere;
2. Prendersi una pausa dal lavoro e dagli impegni, che duri tutto il tempo che si sente necessario;
3. Mantenere una routine minima, anche semplice: dà struttura alle giornate e aiuta a non sentirsi disorientati;
4. Scrivere pensieri o lettere alla persona cara: aiuta a esprimere ciò che resta dentro;
5. Avere cura del proprio corpo, attraverso il sonno, l’alimentazione e i bisogni primari;
6. Cercare un contatto umano, anche solo con una persona fidata. L’isolamento prolungato può accentuare il dolore;
7. Creare rituali personali, come accendere una candela o visitare un luogo significativo, per mantenere un legame simbolico con chi non c’è più;
8. Parlare della persona che ci ha lasciati, ricordarla, raccontarla;
9. Piangere, liberando tutte le lacrime che aspettano di uscire, prima che si cristallizzino;
10. Passare del tempo con la famiglia riunita;
11. Chiedere aiuto.

𝐒𝐭𝐫𝐮𝐦𝐞𝐧𝐭𝐢 𝐭𝐞𝐫𝐚𝐩𝐞𝐮𝐭𝐢𝐜𝐢 𝐩𝐞𝐫 𝐞𝐥𝐚𝐛𝐨𝐫𝐚𝐫𝐞 𝐢𝐥 𝐥𝐮𝐭𝐭𝐨

Quando il dolore diventa difficile da contenere, rivolgersi a un professionista può rappresentare un passo fondamentale per la propria salute mentale ed emotiva. Diversi sono gli strumenti che i professionisti della salute mentale adoperano per favorire il naturale processo di autoguarigione dopo un lutto.

𝐏𝐬𝐢𝐜𝐨𝐭𝐞𝐫𝐚𝐩𝐢𝐚 𝐢𝐧𝐝𝐢𝐯𝐢𝐝𝐮𝐚𝐥𝐞: aiuta a riconoscere, accogliere ed elaborare le emozioni legate alla perdita, facilitando la costruzione di un nuovo equilibrio interno.

𝐄𝐌𝐃𝐑 (𝐸𝑦𝑒 𝑀𝑜𝑣𝑒𝑚𝑒𝑛𝑡 𝐷𝑒𝑠𝑒𝑛𝑠𝑖𝑡𝑖𝑧𝑎𝑡𝑖𝑜𝑛 𝑎𝑛𝑑 𝑅𝑒𝑝𝑟𝑜𝑐𝑒𝑠𝑠𝑖𝑛𝑔): particolarmente indicato nei lutti traumatici o improvvisi, l’EMDR favorisce la rielaborazione di ricordi dolorosi “bloccati” nel sistema di elaborazione adattiva dell’informazione ed è un protocollo che si dimostra efficace in un tempo sensibilmente più breve rispetto alle psicoterapie classiche.

𝐌𝐢𝐧𝐝𝐟𝐮𝐥𝐧𝐞𝐬𝐬 𝐞 𝐬𝐞𝐥𝐟-𝐜𝐨𝐦𝐩𝐚𝐬𝐬𝐢𝐨𝐧: queste pratiche possono sostenere la persona nel contatto gentile con il proprio dolore, senza giudizio e senza forzature.

𝐆𝐫𝐮𝐩𝐩𝐢 𝐝𝐢 𝐬𝐨𝐬𝐭𝐞𝐠𝐧𝐨: il confronto con altre persone in lutto può ridurre il senso di solitudine e favorire l’elaborazione condivisa.

Il dolore del lutto non si “supera”, ma si attraversa. Con il tempo e con le giuste risorse, si può imparare a vivere portando nel cuore il ricordo, l’esperienza, l’insegnamento della persona che abbiamo amato e perso, trasformando l’assenza in una presenza silenziosa, ma piena di significato.

Grazie per la lettura.

Potete contattarla seguendo il link:
https://www.miodottore.it/daniela-sapio-2/psicoterapeuta-psicologo-psicologo-clinico/prato



Fonti:
- Kübler-Ross, E. (1969). On Death and Dying. Macmillan.
- Stroebe, M., & Schut, H. (1999). The Dual Process Model of Coping with Bereavement. Death Studies, 23(3), 197–224.
- Worden, J. W. (2009). Grief Counseling and Grief Therapy. Springer Publishing.
- American Psychological Association. (s.d.). Grief. www.apa.org/topics/grief
- DSM-5-TR (2022). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Text Revision.
- Solomon, R. (2022). EMDR Therapy Treatment for Grief and Mourning.

11/06/2025
11/06/2025

Bentornati! Per questo diciannovesimo appuntamento la 𝐃𝐫.𝐬𝐬𝐚 𝐋𝐢𝐬𝐚 𝐁𝐮𝐟𝐟𝐢𝐧𝐢 propone il suo articolo dal titolo 𝐒𝐞 𝐜𝐢 𝐜𝐫𝐞𝐝𝐢, 𝐬𝐮𝐜𝐜𝐞𝐝𝐞 𝐝𝐚𝐯𝐯𝐞𝐫𝐨? 𝐈𝐥 𝐩𝐨𝐭𝐞𝐫𝐞 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐞 𝐚𝐬𝐩𝐞𝐭𝐭𝐚𝐭𝐢𝐯𝐞 𝐩𝐨𝐬𝐢𝐭𝐢𝐯𝐞 𝐬𝐮𝐥 𝐛𝐞𝐧𝐞𝐬𝐬𝐞𝐫𝐞 𝐩𝐬𝐢𝐜𝐨𝐟𝐢𝐬𝐢𝐜𝐨, in cui spiega il legame tra il corpo e la mente.

Buona lettura!


Che il cervello influenzi il corpo è ben risaputo, ma che possa farlo a tal punto da alleviare il dolore, migliorare l’umore, rafforzare il sistema immunitario e persino incidere sui risultati che otteniamo, continua a sorprenderci.
Quando crediamo davvero di poter superare una sfida — un esame, una malattia o un momento difficile in generale — siamo più propensi a impegnarci, tollerare le difficoltà e usare strategie efficaci. Credere in un esito positivo aumenta, quindi, significativamente la probabilità di mettere in atto comportamenti funzionali a raggiungerlo.
Le aspettative positive, come 𝐬𝐩𝐞𝐫𝐚𝐧𝐳𝐚 𝐞 𝐨𝐭𝐭𝐢𝐦𝐢𝐬𝐦𝐨, sono state ampiamente studiate per il loro ruolo nel benessere mentale e fisico. L’𝐨𝐭𝐭𝐢𝐦𝐢𝐬𝐦𝐨 è una disposizione stabile della personalità ed è definito come la convinzione che nel futuro accadranno cose positive. La 𝐬𝐩𝐞𝐫𝐚𝐧𝐳𝐚, invece, è un costrutto più dinamico, inteso come la capacità di individuare obiettivi significativi, generare strategie per raggiungerli e mantenere la motivazione necessaria.
Entrambi aiutano a regolare il comportamento e a rispondere in modo adattivo agli eventi negativi. Ma il loro impatto sulla salute mentale e fisica va oltre il piano soggettivo: la 𝐏𝐬𝐢𝐜𝐨-𝐍𝐞𝐮𝐫𝐨-𝐄𝐧𝐝𝐨𝐜𝐫𝐢𝐧𝐨-𝐈𝐦𝐦𝐮𝐧𝐨𝐥𝐨𝐠𝐢𝐚 (𝐏𝐍𝐄𝐈), disciplina che studia le relazioni tra la psiche e i sistemi biologici, conferma che la speranza e altre emozioni collegate alla felicità producono sostanze come serotonina, relaxina, ossitocina, dopamina ed endorfine, che si associano a benefici misurabili:
riduzione della pressione arteriosa
miglioramento del sonno e della circolazione sanguigna
rafforzamento del sistema immunitario (globuli bianchi, rossi e cellule natural killer)
diminuzione dell’infiammazione sistemica
ridotta percezione del dolore

In questo contesto si inserisce anche un fenomeno attuale molto discusso, soprattutto sui social: il 𝒎𝒂𝒏𝒊𝒇𝒆𝒔𝒕𝒊𝒏𝒈, ovvero l’idea che immaginare intensamente un obiettivo e crederci con convinzione possa facilitarne la realizzazione. Sebbene a prima vista sembri una forma moderna di pensiero magico, alcuni principi psicologici reali possono spiegarne l’efficacia: quando visualizziamo un risultato desiderato in modo vivido e costante, attiviamo gli stessi circuiti legati alle aspettative positive. Quindi, la mente si predispone all’azione, la motivazione cresce, la perseveranza aumenta e siamo meno inclini a lasciarci scoraggiare dagli ostacoli.

Un esempio molto affascinante e ben consolidato di come le aspettative influenzino il corpo e la mente è l’𝐞𝐟𝐟𝐞𝐭𝐭𝐨 𝐩𝐥𝐚𝐜𝐞𝐛𝐨: il miglioramento delle condizioni di salute dovuto alla convinzione che un trattamento sia efficace, anche se privo di principi attivi. Questo effetto attiva specifiche aree cerebrali (corteccia prefrontale, insula anteriore, nucleo accumbens e amigdala) che rilasciano 𝐝𝐨𝐩𝐚𝐦𝐢𝐧𝐚 𝐞 𝐨𝐩𝐩𝐢𝐨𝐢𝐝𝐢 𝐞𝐧𝐝𝐨𝐠𝐞𝐧𝐢, riducendo il dolore e aumentando il benessere.

Purtroppo però, se è vero che le aspettative positive favoriscono il benessere, è anche vero che le aspettative negative possono generare effetti opposti, peggiorando i sintomi: questo fenomeno è noto come “𝐞𝐟𝐟𝐞𝐭𝐭𝐨 𝐧𝐨𝐜𝐞𝐛𝐨”. In questi casi, il cervello si prepara al peggio: aumenta la percezione del dolore, si alza il cortisolo (ormone dello stress), diminuiscono le difese immunitarie, peggiorano ansia e umore.
Ricerche hanno, inoltre, evidenziato che la perdita di speranza e l’assenza di uno scopo nella vita possono contribuire al declino della salute psicofisica: quando ci sentiamo svuotati, anche il corpo sembra rallentare le sue difese.

Diventa fondamentale chiederci, allora, 𝐜𝐨𝐦𝐞 𝐩𝐨𝐬𝐬𝐢𝐚𝐦𝐨 𝐜𝐨𝐥𝐭𝐢𝐯𝐚𝐫𝐞 𝐥𝐞 𝐚𝐬𝐩𝐞𝐭𝐭𝐚𝐭𝐢𝐯𝐞 𝐩𝐨𝐬𝐢𝐭𝐢𝐯𝐞 𝐞 𝐫𝐢𝐝𝐮𝐫𝐫𝐞 𝐢𝐥 𝐩𝐞𝐬𝐨 𝐝𝐢 𝐪𝐮𝐞𝐥𝐥𝐞 𝐧𝐞𝐠𝐚𝐭𝐢𝐯𝐞. La buona notizia è che speranza e ottimismo si possono allenare attraverso specifiche strategie:
𝐃𝐞𝐟𝐢𝐧𝐢𝐫𝐞 𝐨𝐛𝐢𝐞𝐭𝐭𝐢𝐯𝐢 𝐬𝐢𝐠𝐧𝐢𝐟𝐢𝐜𝐚𝐭𝐢𝐯𝐢
Avere una direzione chiara dà senso alle nostre giornate. Gli obiettivi non devono essere grandiosi, ma devono contare per noi. È importante che siano specifici, raggiungibili e ancorati nel tempo.
𝐑𝐚𝐟𝐟𝐨𝐫𝐳𝐚𝐫𝐞 𝐥𝐚 𝐟𝐢𝐝𝐮𝐜𝐢𝐚 𝐧𝐞𝐥𝐥𝐞 𝐩𝐫𝐨𝐩𝐫𝐢𝐞 𝐜𝐚𝐩𝐚𝐜𝐢𝐭𝐚̀
La sensazione di “potercela fare” cresce quando affrontiamo sfide reali e ne usciamo rafforzati. Imparare qualcosa di nuovo, superare un piccolo ostacolo sono tutti modi per alimentare quella forma di fiducia chiamata autoefficacia.
𝐕𝐢𝐬𝐮𝐚𝐥𝐢𝐳𝐳𝐚𝐫𝐞 𝐢𝐥 𝐟𝐮𝐭𝐮𝐫𝐨 𝐜𝐨𝐧 𝐮𝐧𝐨 𝐬𝐠𝐮𝐚𝐫𝐝𝐨 𝐜𝐨𝐬𝐭𝐫𝐮𝐭𝐭𝐢𝐯𝐨
Immaginare un futuro desiderabile — senza negare le difficoltà, ma concentrandosi su ciò che può andare bene — aiuta a orientare l’attenzione verso soluzioni anziché blocchi.
𝐂𝐢𝐫𝐜𝐨𝐧𝐝𝐚𝐫𝐬𝐢 𝐝𝐢 𝐫𝐞𝐥𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐢 𝐜𝐡𝐞 𝐧𝐮𝐭𝐫𝐨𝐧𝐨
Il sostegno sociale non solo fornisce conforto nei momenti difficili, ma può diventare un potente catalizzatore di speranza. Le relazioni autentiche ci ricordano che non siamo soli e che esistono strade anche quando non le vediamo.
𝐈𝐦𝐩𝐚𝐫𝐚𝐫𝐞 𝐚 𝐠𝐞𝐬𝐭𝐢𝐫𝐞 𝐢 𝐩𝐞𝐧𝐬𝐢𝐞𝐫𝐢 𝐧𝐞𝐠𝐚𝐭𝐢𝐯𝐢
Non si tratta di eliminarli, ma di non identificarci totalmente con essi. La mindfulness, ad esempio, ci insegna a osservare i pensieri come eventi mentali passeggeri, riducendone l’impatto emotivo. La ristrutturazione cognitiva ci aiuta, invece, a mettere in discussione convinzioni disfunzionali e a costruire pensieri più utili.
𝐂𝐨𝐥𝐭𝐢𝐯𝐚𝐫𝐞 𝐥’𝐚𝐮𝐭𝐨 𝐜𝐨𝐦𝐩𝐚𝐬𝐬𝐢𝐨𝐧𝐞
Invece di giudicarci per i nostri errori, possiamo imparare ad accoglierli come parte del nostro percorso. Trattarci con la stessa gentilezza che riserveremmo a un amico in difficoltà non solo riduce lo stress, ma rafforza la resilienza.
𝐄𝐬𝐩𝐨𝐫𝐬𝐢 𝐠𝐫𝐚𝐝𝐮𝐚𝐥𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐚 𝐜𝐢𝐨̀ 𝐜𝐡𝐞 𝐭𝐞𝐦𝐢𝐚𝐦𝐨
Affrontare in modo graduale ciò che ci spaventa — anche piccoli gesti come dire “no” o parlare in pubblico — ci aiuta a smontare le paure e a sostituirle con prove concrete della nostra capacità di farcela.

È vero: la mente ha un impatto potente sul corpo. Le aspettative, le emozioni, i pensieri possono influenzare la salute e il benessere. Ma è importantissimo sottolineare che 𝐧𝐨𝐧 𝐭𝐮𝐭𝐭𝐨 𝐝𝐢𝐩𝐞𝐧𝐝𝐞 𝐝𝐚 𝐧𝐨𝐢. Credere che andrà bene può aiutare, ma 𝐬𝐞 𝐪𝐮𝐚𝐥𝐜𝐨𝐬𝐚 𝐯𝐚 𝐬𝐭𝐨𝐫𝐭𝐨, 𝐧𝐨𝐧 𝐞̀ 𝐜𝐨𝐥𝐩𝐚 𝐧𝐨𝐬𝐭𝐫𝐚.
Le nostre convinzioni contano, certo — ma contano anche il 𝐜𝐨𝐧𝐭𝐞𝐬𝐭𝐨 in cui viviamo, le 𝐫𝐢𝐬𝐨𝐫𝐬𝐞 a disposizione, le 𝐫𝐞𝐥𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐢, la 𝐬𝐚𝐥𝐮𝐭𝐞 e la 𝐟𝐨𝐫𝐭𝐮𝐧𝐚.
Coltivare aspettative positive può migliorare la qualità della nostra esperienza, ma non garantisce il risultato. Ciò che possiamo fare è prenderci cura di noi anche quando le cose non vanno come speriamo, riconoscendo che 𝐥𝐚 𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐞̀ 𝐩𝐨𝐭𝐞𝐧𝐭𝐞, 𝐦𝐚 𝐧𝐨𝐧 𝐨𝐧𝐧𝐢𝐩𝐨𝐭𝐞𝐧𝐭𝐞.

Grazie per la lettura.

15/05/2025

Call now to connect with business.

15/05/2025

Da oltre 40 anni, il CSP è un porto sicuro per chi cerca aiuto:

🔹Ascolto e accoglienza per chi vive difficoltà emotive, relazionali o familiari.
🔹Sostegno alla persona e alla coppia attraverso consulenze individuali e di coppia.
🔹Gruppi di auto mutuo aiuto, dove condividere esperienze e trovare forza nella comunità.
🔹Supporto nella salute mentale, con percorsi personalizzati per il benessere psicologico

Perché il tuo 5x1000 è importante:

Destinando il tuo 5x1000 al CSP, contribuisci a mantenere vivi questi servizi essenziali per il nostro territorio. La tua firma non costa nulla, ma può significare tanto per chi ha bisogno di una mano tesa.

Come fare:

1️⃣ Compila la tua dichiarazione dei redditi (Modello 730, Unico o Certificazione Unica).
2️⃣ Firma nel riquadro “Sostegno del volontariato e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale”.
3️⃣ Indica il Codice Fiscale del CSP: 84036470486.centrodisolidarietaprato.it

Nel guscio si sta così bene: c'è calduccio, c'è silenzio e calma, c'è comodità.Ma fuori... Fuori c'è la luce, ci sono le...
19/04/2025

Nel guscio si sta così bene: c'è calduccio, c'è silenzio e calma, c'è comodità.
Ma fuori... Fuori c'è la luce, ci sono le relazioni, c'è la consapevolezza e c'è uno spazio infinito in cui muoversi liberi. Liberi dai pesi e dalle paure. Liberi di diventare ciò che siamo davvero.

Buona uscita a tutti ✨

08/04/2025

Ci vediamo giovedì alle 21!

08/04/2025

Bentornati! Per questo quindicesimo appuntamento la 𝐃𝐫.𝐬𝐬𝐚 𝐂𝐥𝐚𝐮𝐝𝐢𝐚 𝐁𝐢𝐧𝐢 propone il suo articolo dal titolo 𝐋’𝐈𝐧𝐭𝐞𝐫𝐧𝐞𝐭 𝐀𝐝𝐝𝐢𝐜𝐭𝐢𝐨𝐧: 𝐪𝐮𝐚𝐧𝐝𝐨 𝐥’𝐮𝐭𝐢𝐥𝐢𝐳𝐳𝐨 𝐝𝐢 𝐈𝐧𝐭𝐞𝐫𝐧𝐞𝐭 𝐝𝐢𝐯𝐞𝐧𝐭𝐚 𝐝𝐢𝐩𝐞𝐧𝐝𝐞𝐧𝐳𝐚, in cui spiega rischi e problematiche di un utilizzo inadeguato di Internet.

Buona lettura!


L’epoca in cui viviamo può essere considerata dominata da Internet e dalle nuove tecnologie. Con 4.5 miliardi di utilizzatori nel mondo, l’Europa e il Nord America spiccano per i tassi più elevati di persone che utilizzano il Web.
La larga diffusione di Internet e delle connesse tecnologie, prevalente tra gli adolescenti e i giovani adulti, ha comportato numerosi vantaggi, in particolar modo la semplificazione e la velocizzazione di molti aspetti della vita quotidiana. L’utilizzo di chat e dei social networks, gli acquisti e i pagamenti online, una più flessibile organizzazione dello studio e del lavoro attraverso riunioni online e smart working e la semplificazione della burocrazia con archivi informatici, sono solo alcuni esempi dei benefici derivati dal diffuso utilizzo delle nuove tecnologie.
Accanto ai rilevanti vantaggi, però, l’utilizzo di Internet può presentare anche differenti rischi per la salute fisica e mentale delle persone. Premettendo che non è il mezzo in sé che dà origine a conseguenze negative, ma è la modalità attraverso la quale gli individui vi si approcciano, lo interpretano e lo utilizzano che può generare problematiche, un utilizzo delle tecnologie non controllato e molto intensivo può essere causa di deprivazione del sonno (dovuta sia al tempo passato online sia alle caratteristiche dei dispositivi stessi che possono contribuire alla difficoltà nell’addormentamento), o avere impatti negativi sul benessere psicologico, implicando sintomi depressivi, senso di solitudine e diminuzione della comunicazione nei contesti sociali. Inoltre, dal momento che i disturbi psichici si evolvono con il contesto storico e socio-culturale, un importante effetto negativo del largo utilizzo di Internet è stata la nascita di nuove dipendenze comportamentali ad esso connesse, come per esempio il gioco d’azzardo problematico online, lo shopping compulsivo su Internet e l’Internet Addiction.
L’𝐈𝐧𝐭𝐞𝐫𝐧𝐞𝐭 𝐀𝐝𝐝𝐢𝐜𝐭𝐢𝐨𝐧 (𝐈𝐀), 𝐝𝐢𝐩𝐞𝐧𝐝𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐜𝐨𝐦𝐩𝐨𝐫𝐭𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐚𝐥𝐞 riconosciuta nel DSM-5, è caratterizzata da un’incapacità della persona di gestire e controllare l’𝐮𝐭𝐢𝐥𝐢𝐳𝐳𝐨 𝐝𝐢 𝐈𝐧𝐭𝐞𝐫𝐧𝐞𝐭, dall’urgenza di utilizzarlo e da una forte preoccupazione riguardo il suo utilizzo, con conseguenti problemi sociali ed emotivi in differenti aree della vita della persona. Oltre a causare problematiche personali, familiari e sociali (proprio a causa dell’incontrollabilità e dell’utilizzo eccessivo del Web in termini di tempo), questa forma di dipendenza tecnologica può generare anche un forte senso di angoscia nell’individuo, e risulta particolarmente associata ad alcuni fattori psicologici come il senso di solitudine, l’alessitimia e il comportamento impulsivo. Come le dipendenze da sostanze, anche l’IA risulta caratterizzata da 6 componenti: la dominanza, ovvero l’attività della dipendenza diviene il focus della persona, dominando i pensieri, i sentimenti, i comportamenti; le alterazioni del tono dell’umore, componente che include sia una modificazione dell’umore in base al momento di coinvolgimento in una specifica attività che la ricerca di un determinato comportamento per modificare l’umore e sentirsi meglio; la tolleranza, processo attraverso il quale l’attività di interesse deve essere incrementata nel tempo per poter ottenere gli effetti sperimentati originariamente; l’astinenza ed i sintomi ad essa legati (che possono essere di carattere fisico e/o psicologico), che viene vissuta quando l’attività da cui una persona è dipendente viene interrotta in modo improvviso; il conflitto, ovvero diverse tipologie di conflittualità che possono insorgere tra la persona dipendente e il mondo che la circonda (famiglia, relazioni sociali, lavoro etc.); la ricaduta, tendenza a ripetere l’attività nelle medesime modalità o riprendere l’attività della dipendenza dopo averla interrotta anche per un lungo periodo.
Per quanto riguarda l’età delle persone maggiormente interessate dall’IA, numerosi studi dimostrano che c’è un significativo incremento di questa tipologia di dipendenza soprattutto tra gli 𝐚𝐝𝐨𝐥𝐞𝐬𝐜𝐞𝐧𝐭𝐢 e i 𝐠𝐢𝐨𝐯𝐚𝐧𝐢 𝐚𝐝𝐮𝐥𝐭𝐢. Ciò potrebbe derivare dai particolari bisogni legati ai processi di sviluppo vissuti dagli individui di queste fasce d’età, ed in particolar modo dall’utilizzo di Internet come strumento di fuga dalla realtà e di difesa dai problemi vissuti. Per Steiner, studioso di questa dipendenza, un profondo assorbimento in Internet può presentarsi proprio come un rifugio psichico per sfuggire a stati mentali ed emotivi dolorosi ed intollerabili, permettendo una disconnessione dalla realtà.
Per fronteggiare questa dipendenza tecnologica risulta di primaria importanza la prevenzione, tramite l’informazione riguardo i possibili rischi di un utilizzo eccessivo e inadeguato di Internet, incontri tematici nelle scuole e nella comunità più in generale, lo sviluppo di un pensiero critico su come utilizzare questo mezzo e su come analizzare i contenuti che si trovano in esso. Sicuramente risulta poco realistica e anche inefficace l’indicazione di interrompere l’uso del Web, date le sue funzionalità ad oggi necessarie per la vita quotidiana, ma un’educazione sulla regolazione del tempo di fruizione di questo strumento può risultare fondamentale per prevenire un comportamento problematico o dipendente.
Quando però una persona è già implicata nell’IA, può rivolgersi al proprio medico o a uno psicologo per ricercare l’aiuto necessario al fine di fronteggiare la dipendenza ed i problemi di varia natura ad essa collegati. Per ricevere infatti un trattamento efficace, la persona interessata dalla dipendenza da Internet necessita di un percorso di supporto psicologico che preveda l’individuazione delle cause che l’hanno condotta a questo comportamento problematico, una valutazione della gravità del comportamento dipendente (che può andare da lieve a grave), la rilevazione delle conseguenze dell’IA sui vari aspetti della vita e del danneggiamento del funzionamento della persona, indagare se oltre alla dipendenza da Internet l’individuo presenta altre psicopatologie e se può giovare un trattamento farmacologico. Inoltre, parlando di trattamento, è bene ricordare che come per altre tipologie di dipendenza, anche l’Internet Addiction è il risultato dell’interazione di molteplici fattori (come le caratteristiche psicologiche e di personalità, la predisposizione genetica, il contesto sociale e le modalità relazionali di uno specifico individuo), risultando dunque una condizione multidimensionale che richiede un intervento basato su un approccio bio-psico-sociale che includa fattori psicologici, biologici e sociologici.
Quindi, nel sostegno alla persona con IA, risulta fondamentale un’analisi a tutto tondo della persona che può richiedere il lavoro di differenti professionisti, oltre che un intervento sulle conseguenze negative vissute, in particolar modo su quelle di carattere relazionale, poiché, oltre al superamento della dipendenza, l’obiettivo di cura dovrebbe essere sempre quello del miglioramento della qualità di vita di una persona.

Grazie per la lettura 😊

Indirizzo

Via Firenze, 13
Prato
59100

Orario di apertura

Lunedì 09:00 - 20:00
Martedì 09:00 - 20:00
Mercoledì 09:00 - 20:00
Giovedì 09:00 - 20:00
Venerdì 09:00 - 20:00
Sabato 10:00 - 17:00

Notifiche

Lasciando la tua email puoi essere il primo a sapere quando Daniela Sapio - Una Psicoterapeuta al tuo fianco pubblica notizie e promozioni. Il tuo indirizzo email non verrà utilizzato per nessun altro scopo e potrai annullare l'iscrizione in qualsiasi momento.

Condividi

Digitare

Perché una Psicologa al tuo fianco

Tempo fa, ad una paziente che mi ha chiesto “Perché hai scelto di studiare psicologia?” ho risposto così:

“Non sono io che ho scelto la psicologia, è la psicologia che ha scelto me”.

Ed è per questo che sono diventata una Psicologa al tuo fianco. E’ per questo che la psicologia è sempre stata una passione che non ho mai smesso di coltivare, dal punto di vista professionale e personale. Oggi la mia mission è aiutarti a ottenere i cambiamenti che desideri dalla tua vita, a modificare quegli aspetti di te e delle tue relazioni che non ti soddisfano, a sviluppare tutto il tuo potenziale.

Eccomi: sono Daniela Sapio, Psicologa clinica e della salute iscritta all’Albo degli Psicologi della Toscana (n. 8388).