12/05/2025
Ci sono ferite che non sanguinano, ma restano aperte, ferite che nascono nella relazione, spesso con chi avrebbe dovuto accogliere, proteggere, amare senza condizioni.
E allora si cresce imparando a nascondere il bisogno, a non disturbare, a meritarsi l’affetto. Si impara a diventare “bravi”, silenziosi, invisibili, o al contrario, si grida forte pur di esistere agli occhi dell’altro.
Quando un paziente entra in terapia, spesso non sa che sta cercando proprio questo: una relazione diversa, un luogo dove poter "essere" senza maschere, dove la cura non sta tanto nelle parole, ma nella qualità della presenza.
La relazione terapeutica diventa allora uno spazio nuovo, ma anche antichissimo; un laboratorio emotivo in cui si può sperimentare un modo diverso di essere visti e sentiti.
Un legame che, con delicatezza, riattiva antichi schemi proprio per poterli attraversare, con uno sguardo che non giudica, con una presenza che regge, anche quando tutto vacilla.
È lì che il dolore trova un nome.
È lì che si può iniziare a riparare.
Non tornando indietro, ma dando al presente la possibilità di fare ciò che il passato non ha potuto.
Questo è, in fondo, il cuore della terapia:
una relazione che cura la relazione, un legame che, senza pretendere di sostituire, può trasformare e restituire alla persona il diritto di esistere, finalmente, per intero.