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Dolore al piede? E se fosse la Sindrome del Tunnel Tarsale? Non tutti sanno che una sintomatologia dolorosa localizzata ...
05/12/2025

Dolore al piede? E se fosse la Sindrome del Tunnel Tarsale?

Non tutti sanno che una sintomatologia dolorosa localizzata al piede ed alla caviglia può essere espressione di una patologia neurologica. Più precisamente può trattarsi di una neuropatia da intrappolamento. E’ importante conoscere questa possibilità per non ritardare oltremodo la diagnosi e quindi il trattamento. D’altronde i risultati di quest’ultimo, come e forse più che per altre patologie del piede, dipendono proprio dalla tempestività della diagnosi.

Cosa significa neuropatia da intrappolamento?

Con il termine di neuropatia da intrappolamento o sindrome canalicolare si vuole indicare la compressione di un nervo lungo il suo decorso. Nella fattispecie in alcune ben precise aree del piede e della caviglia ove la peculiare anatomia costringe il Nervo Tibiale Posteriore in spazi maggiormente suscettibili alle riduzioni di volume da parte di traumi, anomalie congenite o processi espansivi di natura tumorale o infiammatoria.

Quando un nervo viene compresso si registra un deficit di distribuzione del impulso elettrico su tutto il suo territorio di innervazione sensitiva e /o motoria. A questo proposito esistono degli specifici test che permettono di individuare e obiettivare i deficit sensitivi e motori territoriali e quindi di risalire al corrispettivo nervo coinvolto dalla compressione.

La Sindrome del Tunnel Tarsale

La sindrome del tunnel tarsale rappresenta il complesso sintomatologico più noto tra le sindromi canalicolari del piede e della caviglia. Si tratta di una compressione del Nervo Tibiale Posteriore all’interno di un canale osteofibroso denominato Tunnel Tarsale.

Parente stretto della più comune e nota sindrome del tunnel carpale che colpisce la mano, la sindrome del tunnel tarsale è capace di imitare i sintomi di numerosi altri disturbi del piede e ritardare la corretta diagnosi. Non è un caso che questa sindrome fu per la prima volta diagnosticata e descritta soltanto nel 1962 (Keck C. The tarsal-tunnel syndrome. J. Bone Joint Surg. 1962;44A:180–182).

Ancora oggi benché relativamente frequente, non viene prontamente riconosciuta e viene trattata impropriamente. E’ stato calcolato che che dalla comparsa dei sintomi alla diagnosi di sindrome di tunnel tarsale spesso passano piu di 3 anni e vengono consultati molti specialisti tra ortopedici, fisiatri e reumatologi con un evidente dispendio di denaro!

Anatomia

Il Tunnel tarsale è situato sul lato mediale della caviglia. L’astragalo e il calcagno ne costituiscono il pavimento osseo. Il tetto, ossia la parte più superficiale, è invece costituito dal retinacolo dei flessori del piede, anche detto legamento laciniato; si tratta di un ispessimento della fascia profonda del piede, teso fra malleolo tibiale e la superficie mediale del calcagno.

Il tunnel tarsale, oltre al nervo tibiale posteriore, contiene l’arteria, le vene tibiali posteriori e i tendini del muscolo tibiale posteriore, flessore lungo delle dita e flessore lungo dell’alluce. Distalmente al tunnel, in un area individuabile entro 2 cm da una linea immaginaria tirata dall’apice del malleolo tibiale alla tuberosità calcaneare, si diparte un setto fibroso che raggiunge la fascia profonda del piede.

E’ a tale livello che il nervo tibiale posteriore, dopo aver emesso la branca calcaneare mediale attraverso le fibre del retinacolo, si divide nelle sue due branche terminali cioè la branca plantare mediale e laterale.

Quali solo le cause?

Nel tunnel tarsale, come precedentemente detto, oltre al nervo tibiale sono contenute molte altre strutture (tendini, arterie e vene). Uno spazio quindi ristretto e affollato. Di qui la facilità con cui il nervo può subire una compressione. Basta infatti che un tendine si infiammi o sviluppi una cisti, che le vene formino varici o una frattura delle ossa produca callo esuberante o ancora che una trauma produca un ispessimento della fascia fibrosa superficiale, che lo spazio non basta più per tutti gli elementi anatomici contenuti nel tunnel tarsale. Il nervo essendo la struttura anatomica più delicata e vulnerabile, ne fa le spese e inizia a soffrire per la compressione che subisce.

Come si manifesta?

Ancora oggi la sindrome del Tunnel tarsale benché relativamente frequente, non viene prontamente riconosciuta. Il primo sintomo, in genere è rappresentato dalla comparsa di un dolore per lo più di tipo urente (sensazione di bruciore) sotto la pianta del piede, oppure al tallone o sotto le dita, tanto che generalmente il disturbo viene liquidato con le comuni diagnosi di tallonite, spina calcaneare, fascite plantare o metatarsalgia.

Di qui le cure del caso, plantari, infiltrazioni locali di cortisone, antinfiammatori e fisioterapie. Tutto inutile. La diagnosi corretta è ben altra. Occorre inoltre precisare che la compressione del nervo Tibiale posteriore in realtà comprende 3 situazioni anatomopatologiche distinte a cui corrispondono peraltro uno specifico e differente complesso sintomatologico ed un differente approccio chirurgico.

La condizione anatomopatologica più frequente è rappresentata dalla Sindrome del tunnel tarsale prossimale. In questo caso la compressione del nervo avviene nel suo passaggio al di sotto del retinacolo dei flessori. I deficit sensitivi e motori sono quindi distribuiti su tutto il territorio di innervazione di competenza del nervo tibiale posteriore. Da un punto di vista clinico il primo segno da ricercare è il dolore e il bruciore dietro e sotto il malleolo mediale.

Successivamente il dolore si associa a formicolii e sensazioni di scossa elettrica sotto il tallone e la pianta del piede fino alle dita. Questi sintomi vengono riacutizzati se picchiettiamo con un dito o comprimiamo con il pollice la regione retro e sottomalleolare (Segno di Tinel).

Con il tempo il dolore diventa invalidante, tanto da penalizzare il passo, e costringere il paziente a fermarsi, togliere la scarpa e a massaggiare il piede. Il dolre spesso si irradia anche prossimalmente lungo il margine mediale del polpaccio. La sintomatologia all’inizio è intermittente e si riacutizza in occasione di corse e stazione eretta prolungata. Talvolta, invece raggiunge la sua massima intensità la mattina cioè dopo il riposo notturno a letto. Ciò può dipendere al fatto che il periodo di inattività motoria associato alla posizione sdraiata, determinano una congestione dei plessi venosi che circondano il nervo per cui la compressione aumenta.

Nelle fasi più avanzate si può notare una riduzione volumetrica (ipotonotrofia) dei muscoli della pianta del piede che a sua volta può associarsi ad una evidente riduzione di forza nella flessione delle dita del piede (“fase deficitaria”).

La diagnosi comunque dipende dai risultati dell’esame elettromiografico. Si tratta di un esame elettrofisiologico che indaga la velocità di trasmissione dell’elettricità attraverso il nervo per mezzo della stimolazione dello stesso. Se si è in presenza di un nervo compresso o sofferente l’esame restituisce una velocità di conduzione elettrica piuttosto lenta, riuscendo anche ad individuare il punto esatto della compressione o della sofferenza.

L’elettromiografia comunque ha dei limiti: i rami nervosi calcaneari più piccoli infatti non possono essere studiati e soprattutto nelle prime fasi della malattia (cosiddetta fase “ irritativa”) può risultare normale e quindi la diagnosi può sfuggire. Anche la ecografia e la risonanza magnetica possono essere di aiuto per vedere il nervo nel suo decorso, misurare la sua sezione e individuare eventuali punti dove risulta compresso.

Accanto alla Sindrome del tunnel tarsale prossimale esiste anche, sebbene più rara, una Sindrome del tunnel tarsale distale.
In questi casi l’intrappolamento interessa le branche terminali del nervo tibiale a livello del setto fibroso (vedi anatomia). Il passaggio tra la fascia profonda del muscolo abduttore dell’alluce e il margine mediale del muscolo quadrato del piede è il luogo tipico ove si realizza la compressione del nervo plantare laterale. In questo caso molto suggestiva ai fini diagnostici è la dolorabilità alla palpazione e alla percussione in profondità dell’abduttore dell’alluce.

Si può affermare infatti che il reperto patognomonico nei pazienti con compressione del nervo plantare laterale è il dolore puntiforme alla palpazione nel punto che si trova alla giunzione della cute plantare con quella mediale circa 5 cm. davanti al margine posteriore del calcagno Il cosiddetto Nodo di Henry (punto d’incrocio tra flessore lungo dita e flessore lungo alluce a livello osso scafoide) rappresenta invece la zona ove si realizza la compressione del nervo plantare mediale. La compressione di questo nervo ha per lo più un origine “ funzionale “. Infatti si riscontra soprattutto in coloro che praticano jogging come conseguenza dei microtraumi ripetuti subiti dal nervo a seguito della corsa.

Trattamento

Per quanto riguarda le possibili terapie, nella fasi iniziali si consiglia la classica somministrazione di antinfiammatori per via generale o locale e la prescrizione di riposo funzionale. Ortesi e cambiamento di calzature possono essere di aiuto ad alleviare i sintomi. E’ possibile associare terapie fisiche quali TENS, Laser, Tecar. Nei casi più importanti e in tutti i casi che non rispondono al trattamento conservativo è d’obbligo la decompressione chirurgica del nervo attraverso l’apertura del tunnel carpale : il cosiddetto release che deve essere effettuato subito lateralmente e al di sotto del malleolo tibiale.

Inoltre particolare riguardo va posto alla rimozione di tutti i fattori meccanici che hanno generato la compressione (rimozione di cisti artrogene, di calli ossei esuberanti etc etc). L’intervento prevede successivamente un riposo di almeno tre settimane per far guarire bene la ferita ed una accurata riabilitazione, per proteggere il nervo da eventuali aderenze.

C’è tuttavia un limite alla guarigione anche in caso di intervento chirurgico. Infatti se il nervo è rimasto troppo a lungo schiacciato, può essere andato incontro ad atrofia e a sostituzione con tessuto fibroso per cui il recupero può essere solo parziale o addirittura nullo ! Ragione di piu per rimarcare il fatto che la diagnosi deve essere fatta il piu presto possibile e l’intervento non deve essere troppo dilazionato nel tempo. Meglio non rimandare per evitare una condizione di deficit permanente del nervo!

Sindrome del Tunnel tarsale Anteriore

In appendice a questo articolo e per completezza vogliamo ricordare che esiste anche una Sindrome del Tunnel Tarsale Anteriore. Assai meno frequente rispetto alla precedente, si caratterizza per una compressione del nervo peroniero profondo (anche detto nervo Tibiale Anteriore) al collo piede, nel canale costituito dal piano osseo tibiale distale e il retinacolo dei tendini dei muscoli estensori.

Si osserva in particolar modo tra gli sportivi dediti all’ atletica leggera o comunque tra coloro che praticano sport che comportino la corsa. Infatti, la causa di tale sindrome da intrappolamento è in genere rappresentata da un osteofitosi del margine anteriore distale della tibia. In altri termini in questi sportivi, a causa dei microtraumi ripetuti subiti dal piede, si assisterebbe alla neoformazione di speroni ossei che diminuirebbero lo spazio di scorrimento del nervo Tibiale anteriore laddove esso scorre al di sotto del retinacolo degli estensori.

Altre possibili cause o concause sono bendaggi o calzature non adeguate. La sintomatologia si caratterizza per la comparsa di dolore e formicolii sul dorso del piede, soprattutto a livello del primo spazio intermetatarsale. Il dolore si accentua invitando il paziente a mettersi sulla punta dei piedi.. Tipico è anche il dolore alla digitopressione tra i tendini dell’ Estensore Lungo dell’ Alluce e l ‘Estensore Comune delle Dita. Il trattamento prevede la somministrazione di farmaci antinfiammatori per via generale o locale.

Inoltre, riposo funzionale eventualmente facilitato dall’ applicazione di una ferula nelle ore notturne. Evitare di chinarsi spesso e di indossare calzature strette. Utile anche la terapia fisica con laser o tecar. Se la situazione non migliora in questo modo, si può fare ricorso ad infiltrazioni nella zona che comprime il nervo interessato. Nei casi piu gravi e che non rispondono al trattamento si deve ricorrere alla decompressione chirurgica del nervo.

Anca: Funzione, Patologie e Diagnosi L’anca è una delle articolazioni più importanti del corpo umano, garantendo stabili...
04/12/2025

Anca: Funzione, Patologie e Diagnosi

L’anca è una delle articolazioni più importanti del corpo umano, garantendo stabilità e mobilità durante ogni movimento. Si tratta di un giunto sferico che consente al femore di articolarsi con il bacino, permettendo un’ampia gamma di movimenti e al contempo offrendo una solida stabilità grazie all’incastro tra la testa femorale e la cavità acetabolare (o cotile) del bacino.

Tuttavia, essendo un’articolazione portante, l’anca è sottoposta a pressioni elevatissime durante il suo funzionamento. Per mantenersi efficiente, deve preservare caratteristiche fondamentali quali:

• Una forma perfettamente sferica della testa femorale.

• Un rivestimento cartilagineo spesso e uniforme (in alcuni punti oltre 5 mm).

• Una generosa lubrificazione articolare.

Quando queste condizioni vengono meno, possono insorgere dolori, rigidità e difficoltà motorie che compromettono la qualità della vita.

SEGNALI DI UNA PATOLOGIA DELL’ANCA

Le malattie dell’anca si manifestano generalmente attraverso tre sintomi principali:

1. Dolore (Coxalgia):

◦ Il dolore localizzato all’inguine è il sintomo più tipico, ma può irradiarsi al gluteo o alla coscia fino al ginocchio.

◦ In alcuni casi, il dolore al ginocchio può essere l’unico segnale di una patologia all’anca.

◦ La coxalgia è spesso scatenata dal movimento o dal carico e può indicare condizioni come coxartrosi, conflitto femoro-acetabolare o necrosi cefalica.

2. Rigidità:

◦ La riduzione della mobilità è un segno invalidante che rende difficili attività quotidiane come indossare calze o scarpe.

◦ Nelle fasi avanzate, la rigidità può causare una postura alterata, come camminare con la punta del piede rivolta verso l’esterno.

3. Zoppia:

◦ La zoppia si verifica quando il dolore rende difficoltoso camminare. Questo meccanismo di protezione, noto come “zoppia di fuga”, riduce l’appoggio sull’arto dolente.

COME DISTINGUERE I DOLORI DELL’ANCA DA ALTRE PATOLOGIE?

Un’articolazione dell’anca malata può essere confusa con altre problematiche. Ad esempio:

• Dolore posteriore alto: Spesso attribuibile a patologie della colonna vertebrale o dell’articolazione sacroiliaca.

• Dolori localizzati (borsiti o tendiniti): Quando il dolore si concentra su protuberanze ossee, come il grande trocantere, è probabile che siano coinvolti i tessuti molli circostanti e non l’articolazione in sé.

DIAGNOSI: STRUMENTI E PROCEDURE

Per identificare una patologia dell’anca, la radiografia è il primo esame diagnostico consigliato. In particolare:

• Una radiografia frontale del bacino associata a una radiografia assiale dell’anca dolente consente una valutazione completa e comparativa.

• La proiezione deve includere tutto il bacino, garantendo una visione dettagliata delle strutture articolari.

Esami avanzati come TAC, risonanza magnetica ed ecografia possono essere richiesti solo in casi specifici, poiché sono più costosi e, nel caso della TAC, comportano una maggiore esposizione ai raggi X. La decisione di eseguire ulteriori indagini deve essere affidata all’ortopedico.

PERCHÉ È IMPORTANTE UNA DIAGNOSI PRECOCE?

Riconoscere tempestivamente una patologia dell’anca consente di:

• Ridurre il dolore e migliorare la qualità della vita.

• Evitare complicazioni che possono richiedere interventi chirurgici complessi.

• Ripristinare la funzionalità articolare attraverso trattamenti specifici.

Se sospettate una problematica all’anca, consultare un medico e sottoporsi a esami radiografici corretti può abbreviare il percorso verso la guarigione.

Traumi più comuni del piede dell’atleta Le statistiche affermano che circa il 70% degli atleti hanno subito o subiranno ...
30/11/2025

Traumi più comuni del piede dell’atleta

Le statistiche affermano che circa il 70% degli atleti hanno subito o subiranno un trauma ai piedi. Anche se la maggior parte dei traumi potranno sembrare di lieve entità, se vengono trascurati e non propriamente trattati, essi potranno diventare problematiche più serie nel tempo. L’80% dei traumi sono dovuti ad errori di allenamento, il resto ad infortuni. La vulnerabilità del piede risulta evidente se si considera che eseguono 800 battute ogni 1.600 metri di corsa e che ad ogni falcata il peso corporeo inciderà dalle 3 alle 8 volte.

Ad ogni allenamento e ad ogni gara sono tonnellate di carico e spinta che si esercitano sulle articolazioni dei piedi ma anche sulle articolazioni degli arti inferiori. Certamente correre fa bene ed è salutare, ma è opportuno non sottovalutare gli eventuali disturbi e/o dolori.

Le patologie più comuni che affliggono i piedi dell’atleta sono:

– La sindrome da stress di Shin Splints caratterizzata da un dolore che si manifesta alla tibia sulla faccia anteriore e/o mediale. Gli atleti più a rischio che possono essere afflitti da questo disturbo sono quelli più giovani, in quanto non ancora abituati allo stress prolungato della corsa; sono anche a rischio quegli atleti che non eseguono un appropriato stretching prima di correre. Per alleviare questo disturbo l’atleta dovrebbe eseguire delle applicazioni di ghiaccio, diminuire il carico degli allenamenti, rinforzare gradualmente la muscolatura con esercizi mirati: nuoto e/o cyclette ad esempio. In ogni caso si rende necessario mantenere in allenamento il fisico, senza provocare ulteriore carico. In acqua infatti non c’è gravità e sulla cyclette il peso corporeo non incide sugli arti inferiori in quanto ci si allena stando seduti. Se il disturbo non dovesse estinguersi, sarà necessario riposo totale ed eventualmente il consulto con uno specialista (medico sportivo, osteopata), evidentemente per modificare alcuni aspetti biomeccanici nella corsa.

– L’infiammazione del tendine d’Achille , causata da vari fattori che contribuiscono allo sviluppo di questa tendinopatia. Corse prolungate su falsipiani in cui si creano i presupposti ad una eccessiva ipertrofia ed ipertonia muscolare dei polpacci che solleciteranno a dismisura il tendine. Calzature non idonee. Appoggio scorretto del piede durante la corsa (disfunzione biomeccanica).Pertanto l’atleta deve necessariamente ridurre se non addirittura interrompere gli allenamenti. Eseguire applicazioni di ghiaccio, stretching moderato e controllato. Utilizzare calzature con tacco o piccolo rialzo calcaneare bilaterale per accorciare e quindi de tendere l’Achilleo soprattutto nella fase di carico.
Nei casi in cui il dolore e quindi l’infiammazione acuisce, ci si adopera con terapia farmacologica (farmaci antinfiammatori e/o decontratturanti, comunque a discrezione del medico) e una volta regredita la fase acuta, va eseguita la fisioterapia per accelerarne i tempi di recupero: laser, tens, cryo, ultrasuono terapia, T.E.C.A.R. (utile ecografia di controllo). Successivamente una volta scomparso il dolore, si passa al ricondizionamento del gesto atletico con carichi graduali.
Alcuni atleti possono riportare dei quadri clinici più importanti in cui, attraverso il supporto di un esame strumentale come l’ecografia, si possono evidenziare micro lesioni come da sfilacciamento di alcune fibre tendinee o calcificazioni (dolorose) in seguito a reiterati traumi mal gestiti e/o trascurati. In alcuni di questi casi potrebbe rendersi necessario il trattamento con onde d’urto. Rari i casi di intervento di neurolisi (pulizia del tendine).

– La tallonite : spesso provocata da traumi diretti, da spina o sperone calcaneare o da una fascite. Queste condizioni morbose sono spesso la conseguenza di eccessivi carichi sulla fascia plantare, che si estende dal calcagno alle dita del piede. Soprattutto ai primi passi, al mattino, la zona può essere molto dolorosa. Questa condizione può causare rigonfiamento in corrispondenza della zona inserzionale del calcagno. Il dolore si acutizza soprattutto quando il piede si appiattisce nella fase di carico o quando si spinge in avanzamento. Tali disturbi si manifestano più facilmente in quei soggetti con piedi piatti e flessibili o al contrario in quei soggetti con piedi cavi e rigidi.
È necessario ridurre la durata e l’intensità della corsa, usare calzature idonee con plantare antichoc da sostituire periodicamente a seconda del tipo di attività svolta (mediamente anche ogni 2-3 mesi), in quanto l’usura riduce drasticamente il coefficiente di scarico.
Diventa fondamentale il lavoro svolto dal preparatore atletico a scopo preventivo come anche per la ripresa dell’attività fisica. Ai giorni di duro allenamento vanno alternati giorni di defaticamento: la distanza in chilometri dovrebbe essere aumentata soltanto del 10% circa ogni settimana, per poi essere ridotta ogni tre settimane.
Per recuperare al meglio e nel minor tempo possibile la funzionalità del piede, oltre alla riduzione dei carichi di lavoro, le ore di allenamento e l’utilizzo di calzature appropriate, ci si dovrà adoperare anche con la fisioterapia: laser, ultrasuoni, T.E.C.A.R., crioterapia, stretching, esercizi di scarico. Terapia farmacologica a discrezione del medico.

Le fratture da stress sono piccole lesioni ossee che interessano in modo peculiare coloro i quali praticano sport ripetitivi come il podismo, il tennis, la pallavolo, pallacanestro, calcio, atletica.

Per comprendere i fattori predisponenti occorre sapere che l’osso è un tessuto vitale che come gli altri ha un metabolismo molto attivo che va incontro a continui rimodellamenti sulla base dello stato metabolico dell’organismo (livello di calcio presente nel sangue) e degli stimoli meccanici a cui viene sottoposto. In pratica, affinché il tessuto osseo possa rigenerarsi, esistono tipi di cellule (gli osteoclasti) che lo demoliscono e cellule (gli osteoblasti) che lo ricostruiscono; questo genera un continuo ricambio della matrice minerale che si mantiene in equilibrio con due scopi: mantenere costante il livello di calcio e riadattare l’osso al tipo di sollecitazioni a cui è sottoposto. In sostanza se l’allenamento e le sollecitazioni meccaniche superano la capacità dell’osso di rigenerarsi e/o di riparare le microlesioni, queste si trasformeranno in vere fratture.

In ordine di frequenza avremo fratture del colletto del 2° metatarso, tipico di quei soggetti con il secondo dito del piede più lungo e fratture delle base del 5° metatarso, più comune in quei soggetti che atteggiano il piede supinato cioè poggiano maggiormente il margine esterno della pianta del piede.

I fattori di rischio oltre a quelli da imputare al tipo di sport praticato, sono anche quelli quando improvvisamente ci si dedica ad intensa attività fisica dopo un lungo periodo di sedentarietà. Altri fattori di rischio sono ad esempio nelle donne il ciclo mestruale. L’osteoporosi nei soggetti debilitati.

Cura e prevenzione. Le cure variano a seconda della posizione della frattura e da quanto sia necessario un rapido recupero alla ripresa dell’attività fisica.
Pertanto in linea generale si eseguiranno: terapia farmacologica, a discrezione del medico, fondamentalmente a base di acetaminofene per il dolore e farmaci a base calcica. Riduzione del carico, utilizzando anche stampelle canadesi e in casi più gravi immobilizzazione con gambaletto gessato. In rari casi si pratica l’intervento chirurgico allorquando si accerti che il consolidamento della frattura sia difficile a causa della scarsa vascolarizzazione di quel segmento di osso fratturato.

Fisioterapia con: magnetoterapia, ultrasuoni, T.e.c.a.r.

Sarà a discrezione del Fisioterapista valutarne le modalità, la durata ed i parametri di applicazione delle su dette terapie strumentali a seconda di come si presenta il quadro clinico. Dicasi allo stesso modo per quanto concerne la fase successiva in cui si renderà necessario un programma riabilitativo con esercizi propriocettivi i quali mireranno al recupero del passo; graduale ricondizionamento al gesto atletico che comprenderà tutta una serie di modalità al fine di riabituare il piede ai carichi ed allo stress atletico.

A scopo preventivo, sarebbe opportuno adoperarsi per una sana e corretta alimentazione nella quale non dovrà mancare un equilibrato apporto di calcio e altri nutrienti con integratori per mantenere ossa più forti; se necessario apportare modifiche al gesto atletico; utilizzare calzature adeguate all’attività che si vuol praticare, sostituendole con un nuovo paio periodicamente.

Tendinite d’Achille, cos’è e come si curaL’infiammazione del tendine d’Achille, spesso usata come sinonimo di tendinopat...
30/11/2025

Tendinite d’Achille, cos’è e come si cura

L’infiammazione del tendine d’Achille, spesso usata come sinonimo di tendinopatia del tendine d’Achille è una condizione patologica che colpisce il più grande tendine del nostro corpo.

Il tendine d’Achille si estende dal calcagno (tallone) ai muscoli del polpaccio.

Alla palpazione è facilmente percepibile come una fascia di consistenza elastica a livello della parte posteriore della caviglia, subito al di sopra del tallone.

Le condizioni infiammatorie e/o gli infortuni a carico del tendine d’Achille sono più frequenti negli atleti, sebbene possano occorrere in tutti i soggetti nel semplice svolgimento delle attività della vita quotidiana.

Un lieve dolore al tendine d’Achille di tipo “urente” associato a una sensazione di “rigidità” percepita in questa zona può significare che il tendine di Achille è infiammato.

In questi casi può essere sufficiente un periodo di riposo e l’uso di anti-infiammatori, sistemici o topici.

Se l’infortunio è grave e il dolore è percepito improvvisamente come un colpo netto nella parte posteriore della caviglia allora può significare che il tendine d’Achille si è parzialmente strappato o addirittura completamente rotto: in questi casi è sempre necessaria una valutazione specialistica.

In alcuni casi selezionati è possibile ricorrere all’intervento chirurgico per riparare i tessuti danneggiati.

CAUSE

Alcune delle cause che portano a un infortunio al tendine d’Achille sono:

• attività fisica troppo intensa o esagerata rispetto al livello di attività fisica a cui si è abituati

• l’abitudine a portare tacchi alti, poichè questo tende a sollecitare continuamente il tendine

• alcune conformazioni del piede: avere un piede piatto ad esempio causa una maggiore tensione sul tendine durante la camminata

• alcuni farmaci possono essere tossici verso i tessuti tendinei

• praticare attività con cambi repentini di ritmo, velocità e salti: ad esempio danza, calcio, pallacanestro…. o il velocista che scatta dai blocchi di partenza!

• l’età e il sesso: sono maggiormente a rischio gli uomini di età superiore ai 30 anni

• Sintomi

Il sintomo principale dell’infiammazione del tendine di Achille è il dolore localizzato nella regione al di sopra del tallone ed è esacerbato dai movimenti che prevedano movimenti che mettano in tensione il tendine come mettersi in punta dei piedi.

Il dolore è scatenato anche dalla pressione diretta sulla zona. Una vera e propria rottura del tendine di Achille è associata a un dolore fortissimo e immediato.

Si associa inoltre una notevole diminuzione della forza muscolare: essa può essere lieve e migliorare o peggiorare nel tempo.

Altri segni sono il gonfiore, la rigidità, la presenza di scricchiolii quando si tocca o si muove il tendine, la tendenza all’arrossamento e l’aumento del calore a livello della cute sovrastante il tendine danneggiato.

E’ buona norma non muovere o sforzare la zona perché si corre il rischio di arrivare alla rottura del tendine d’Achille.

TENDINITE D’ACHILLE E MORBO DI HAGLUND

Non infrequentemente la tendinopatia dell’achilleo può assorciarsi ad un’altra condizione clinica, il Morbo di Haglund, una prominenza ossea dell’angolo postero-superiore del calcagno, a livello del sito di inserzione del tendine achilleo all’osso del calcagno. Per approfondimento si rimanda alla lettura del seguente articolo: morbo di Haglund.

QUANDO RIVOLGERSI A UN MEDICO

Conviene rivolgersi a uno specialista in caso di dolore al tendine o di dolore al calcagno per avere una diagnosi tempestiva e l’indicazione al trattamento più indicato.

Il fisiatra o l’ortopedico sono i medici specialisti più qualificati per diagnosticare e porre l’indicazione al trattamento delle lesioni del tendine d’Achille.

In caso di dolore acuto c’è il rischio di aver rotto il tendine d’Achille ed è opportuno ricorrere subito a cure mediche.

DIAGNOSI

La diagnosi di tendinopatia del tendine d’Achille parte dalla clinica, dalla visita medica. Il medico valuterà la presenza di segni di infiammazione o di rottura, la presenza o meno di impotenza funzionale, la mobilità del piede, la sensibilità, la forza.

A completamento diagnostico è possibile eseguire esami strumentali quali radiografia, ecografia o risonanza magnetica.

CURA E TERAPIA

In caso di infiammazione del tendine d’Achille può essere consigliato:

• interrompere qualsiasi tipo di attività fisica che interessi l’area

• applicare del ghiaccio 3 o 4 volte al giorno per 20 minuti sulla zona dolorante per ridurre il gonfiore e il dolore

• applicare degli antiinfiammatori locali

• eventuale applicazione di un bendaggio per ridurre il gonfiore

• tenere la gamba sollevata per favorire la riduzione del gonfiore

Solitamente non sono necessari trattamenti complessi, occorre soprattutto avere molta pazienza.

Per ottimizzare la guarigione e prevenire ricadute può essere utile eseguire esercizi di stretching che verranno consigliati dal medico.

TEMPI DI GUARIGIONE

La prognosi dipende dalla gravità della lesione.

Nei casi più gravi possono essere necessari anche alcuni mesi.

Durante la riabilitazione si può comunque essere attivi, il medico (fisiatra) vi indirizzerà correttamente verso le attività che potete svolgere.

E’ importante non cercare di affrettare le cose: spingere troppo prima della completa guarigione potrebbe portare a una riacutizzazione dell’infiammazione e a un nuovo infortunio.

PREVENIRE L’INFIAMMAZIONE DEL TENDINE D’ACHILLE

Alcune buone abitudini sono:

– Ridurre corsa in salita preferendo tracciati pianeggianti.

– Effettuare un buon riscaldamento prima dell’esercizio.

– Indossare scarpe con un buon supporto e che si adattano bene al proprio piede: scarpe usurate possono perdere le capacità di sostegno del piede.

– Aumentare gradualmente l’intensità dell’attività fisica.

– Interrompere l’esercizio se si sente dolore o senso di oppressione nella parte posteriore del polpaccio o al tallone.

Indirizzo

Via Dei Gullotto 47
Randazzo
95036

Orario di apertura

Lunedì 08:00 - 20:00
Martedì 08:00 - 20:00
Mercoledì 08:00 - 20:00
Giovedì 08:00 - 20:00
Venerdì 08:00 - 20:00

Sito Web

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