
27/08/2025
E’ di queste settimane la polemica che ha infiammato
i social sulla validità e l’efficacia della psicoanalisi, così come proposta da Sigmund Freud.
Si sono confrontati, come sempre, detrattori
e sostenitori.
Stefano Bolognini e Vittorio Lingiardi, autorevoli personalità nel campo psicoanalitico, sono intervenuti, sulle pagine dei quotidiani, per ribadire che le attuali ricerche nel campo delle neuroscienze e dello sviluppo infantile hanno apportato profonde trasformazioni nella teorizzazione e nella pratica della psicoanalisi, rivelando un profilo dell’analista, certamente diverso dalle prime formulazioni freudiane.
Mi trovo concorde nel sostenere che oggi il mondo della psicoanalisi, come quello della psicoterapia, è attraversato da un grande fermento scientifico, aprendo un dialogo fertile e costruttivo tra Scuole di pensiero diverse, ma al tempo stesso interessate a valorizzare sia le differenze di metodi e di stili, che i punti di contatto, grazie allo studio, certamente più accurato, dei fattori che sono alla base dell’efficacia della clinica psicoterapica.
Come esponente del modello sistemico-relazionale, sento comunque il bisogno di riflettere sull’assenza, in questo dialogo a distanza, o forse direi sulla dimenticanza, termine più appropriato al linguaggio psicoanalitico, di alcuni costrutti teorici fondamentali, come quello di contesto, di coerenza sistemica e di complessità.
Oggi più che mai la proposta sistemica rimane, a mio avviso, estremamente attuale, ricordandoci che è impossibile, oltre che dannoso, separare l’individuo dal contesto, familiare, sociale, culturale, così come l’esperienza somatica da quella psichica e relazionale.
Anche il modello sistemico si è evoluto dalle sue prime formulazioni teorico-cliniche risalenti agli anni 80, almeno in Italia.
Ritengo che tale processo evolutivo
sia stato favorito dalle caratteristiche di flessibilità
e apertura insite nel paradigma stesso, che anche quando ha dato vita ad un un modello di intervento clinico, familiare e individuale, è sempre rimasto fedele alla sua forma originaria di visione del mondo, una visione ecosistemica, che stimola la ricerca di connessioni tra eventi, significati, relazioni, mitologie, culture.
Un’ultima riflessione riguarda le teorie che ispirano terapeuti di diverso orientamento clinico.
Personalmente ritengo che le teorie siano solo delle metafore, alcune più, altre meno suggestive.
Semplici metafore, che andrebbero utilizzate in modo saggio e sobrio.
Nessuna assolutizzazione, nessun dogma!
Mai confondere il dito che indica la luna con la luna!
Le teorie stanno come fari nella notte che illuminano la rotta dei naviganti.
Solo che a volte è necessario rimanere al buio per contemplare la notte, e perdersi tra il brillare delle stelle e il rumore del mare.
Sono questi i momenti più belli di un’esperienza terapeutica, quando ci ci si trova da soli di fronte al mistero del dolore, e si riesce ad attraversarlo in silenzio, cogliendo il valore della presenza, del contatto autentico, dell’ascolto profondo.
E’ in questi momenti che è possibile sentire la vita mentre fluisce nello spazio segreto di una pausa, di una domanda, di una bellezza ritrovata.
Lunga vita, dunque, al pensiero di Freud, Jung, Winnicott, Bion, Bateson, Capra, Morin e di tanti altri maestri, in Oriente come in Occidente, che hanno cercato di sondare il mistero dell’animo umano, con cura e passione.
Non basta essere uomini di scienza.
Per comprendere l’umano e metterlo al centro della Cura, bisogna diventare anche un po’ poeti.
Giuseppe Ruggiero
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