
19/04/2025
Il terzo giorno
All’alba del terzo giorno, quando il cielo comincia appena a respirare luce,
le donne camminano.
Non parlano.
I loro occhi sono bassi, le mani serrate attorno agli unguenti,
il cuore un nodo che non trova voce.
Maria di Magdala guida il passo,
forte del dolore che non le ha mai fatto voltare lo sguardo.
Dietro di lei, le altre.
Portano amore e silenzio,
portano ciò che resta quando tutto sembra finito:
la fedeltà.
Hanno visto il corpo morire.
Hanno visto il sangue, i chiodi, il buio.
Eppure oggi sono lì, ancora,
davanti a una pietra che pesa come l'ingiustizia del mondo.
Ma quando arrivano,
il cuore salta un battito:
la pietra è stata spostata.
Non c'è urlo. Solo un istante immobile,
dove il tempo si ferma e il respiro si fa gelo.
Entrano.
Il sepolcro è vuoto.
Il corpo non c'è più.
Solo il lenzuolo, piegato, ordinato,
come se la morte stessa si fosse inchinata
alla vita che rinasce.
E in quel vuoto si apre uno spazio nuovo.
Non è l’assenza, ma la promessa.
Non è lo smarrimento, ma la soglia.
Un angelo appare, luce dentro la luce.
Non ha spada, né fuoco, solo parole:
“Perché cercate tra i morti colui che è vivo?
Non è qui. È risorto.”
E allora le lacrime non sono più solo dolore,
ma stupore, tremore, gratitudine.
Le donne corrono,
non più per piangere, ma per dire.
Per raccontare.
Per gridare che la morte è stata sconfitta
non con la forza, ma con l’amore.
E tutto cambia.
Quel sepolcro vuoto diventa grembo.
Quella pietra spostata è una porta.
Quel lenzuolo piegato è l’inizio di un mondo nuovo,
dove la fine non è più l’ultima parola.
Pasqua non è un giorno,
è un respiro che ci attraversa,
è un Dio che si lascia toccare dai chiodi
per insegnarci a risorgere ogni volta che cadiamo,
ogni volta che la notte sembra più forte della luce.
E proprio lì, in quel punto preciso
dove credevamo tutto finito,
si apre un’alba.
Tiziana Iaria.