29/09/2025
Ho recentemente incontrato una persona speciale, che per motivi personali si è rapidamente scavata un posto altrettanto speciale nel mio cuore. Tra le altre cose, questa signora mi ha raccontato un episodio legato alla perdita del suo adorato marito e compagno di tutta una vita, un episodio che ho trovato empiricamente per lo meno curioso e umanamente semplicemente straordinario. Tutto ciò ha generato in me una serie di riflessioni che vorrei brevemente condividere qui.
Le mi riflessioni partono da lontano. Nel 1917 Sigmund Freud ha pubblicato Lutto e Melancolia, un saggio che avrebbe avuto un’influenza totalizzante (e molti direbbero nefasta) sulla psicoterapia del lutto per più di settant’anni. In pochissime parole, secondo Freud il lutto è una specie di malattia, da cui bisogna liberarsi tramite quello che ha chiamato “lavoro del lutto” e che consiste essenzialmente nel distaccarsi, tagliare i legami affettivi con il proprio caro deceduto, “accettare la perdita” e aprirsi a nuove relazioni. Questo costrutto, completamente teorico, senza alcuna base di evidenza empirica e contrario persino alle esperienze di lutto vissute da Freud stesso nella seconda parte della sua vita, è sopravvissuto praticamente intatto sino ad oggi, e ha dominato gran parte dei tentativi degli psicologi di aiutare le persone in lutto. Poche sorprese, quindi, che il mondo professionale della terapia del lutto si trovi in uno stato di cupo e diffuso pessimismo riguardo all’efficacia degli interventi di psicoterapia tradizionale, che la ricerca dimostra essenzialmente inutili nel migliore dei casi e addirittura dannosi nei casi peggiori (https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/11503667/).
Per fortuna, nel 1996 è apparso un libro che direi “epocale” – un libro accademico che raccoglie gli studi di un totale di 26 ricercatori che, invece di stare chiusi nel loro studio ed inventarsi teorie accarezzandosi la barba e fumando la p**a, sono andati sul terreno e hanno guardato in presa diretta a quello che le persone in lutto fanno in realtà (https://www.amazon.co.uk/Continuing-Bonds-Understandings-Education-Health/dp/1560323396). Studiando persone di lingue, culture, tradizioni diverse, e indipendentemente dal tipo di perdita, questi ricercatori hanno scoperto… l’acqua calda! Cioè, le persone in lutto non si distaccano assolutamente dal loro caro defunto. Esse mantengono invece legami psicologici profondi e duraturi, che si trasformano nel corso degli anni ma che rimangono una risorsa fondamentale nel percorso di recupero dal lutto.
Questi legami prendono molte forme tra cui, per molte persone, quelle che chiamiamo tecnicamente Esperienze Sensoriali del Defunto, di cui ho già parlato in un altro articolo. Per altri, una maniera di manifestarsi di questi legami è nell’attribuire un significato speciale ad eventi più o meno straordinari, che vengono interpretati come un segno della presenza del caro defunto.
E questo è il caso della gentile signora all’origine delle mie riflessioni.
Il marito della signora era deceduto un 26 febbraio. Due giorni dopo, il 28, nel giorno del funerale, la signora riceve da un amico una poesia, che riporto in seguito perché essenziale per le mie riflessioni. E il 4 di marzo avviene qualcosa di incredibile.
La signora ha una passione per la cosiddetta “pietra del profeta”. Si tratta di un quarzo che ha subito nel tempo un processo di levigazione naturale, scorrendo per centinaia d'anni nel letto di un fiume. Il risultato è una pietra tonda dall'esteriorità opaca e biancastra. È il fiume Ema del sud del Brasile che ci restituisce queste misteriose pietre. Queste vengono generalmente divise a metà e la faccia piatta viene levigata, creando così una finestra al suo interno e dove si ritiene sia possibile cogliere risposte e visioni.
Ebbene, in una di queste pietre, che la signora teneva nel comodino, appare improvvisamente quello che indiscutibilmente ha la forma di un cuore. Ho visto io stesso la pietra: sembra essenzialmente di guardare un pezzo di vetro, come un grosso uovo tagliato a metà, smerigliato all’esterno ma con una faccia trasparente, all’interno del quale, a circa un centimetro dalla superficie, si vede una specie di “nuvoletta” bianca dalla forma di cuore, delle dimensioni che stimerei in 8 millimetri. Nessuna delle altre pietre che la signora mi ha mostrato ha alcuna imperfezione – non solo nessun tipo di immagine, semplicemente niente, solo cristallo trasparente.
Ora questo episodio, naturalmente, non è “prova” di nulla in sé. Sono sicuro che un osservatore scettico potrebbe trovare mille spiegazioni, non importa quanto strampalate o incredibili. Ma non è questo che mi interessa, e qui vengo finalmente alle mie due riflessioni.
Primo: questo episodio è stato di enorme conforto per la signora. La sua interpretazione personale dell’evento come un segno della continua esistenza del suo amato marito ha avuto l’effetto che molte sedute di psicoterapia magari non avrebbero avuto. La mia nuova amica si è istintivamente, automaticamente impegnata in una delle più essenzialmente umane di tutte le attività: quella di attribuire significati. Di fronte ad un evento, gli umani automaticamente assegnano significati: vogliamo intensamente che la realtà e quello che succede abbia un senso, che voglia dire qualcosa. Nel caso delle esperienze sensoriali del defunto e di episodi come quello appena raccontato, la ricerca ci dice che un’interpretazione che preveda l’esistenza di un aldilà è chiaramente benefica per il benessere psicologico.
Secondo, la poesia che la mia amica ha ricevuto come gesto di conforto mi ha lasciato semplicemente sbalordito. Attribuita a Sant’Agostino, un gigante della filosofia e della spiritualità, ci raggiunge perforando 16 secoli di storia, come se fosse stata scritta ieri. Chi vuole capire in profondità la teoria dei Legami Permanenti e il suo effetto sul recupero dal lutto può leggere le 300 pagine del libro di Klaas e Silverman. Oppure può leggere queste parole di un’altezza ultraterrena, siderale, che ci arrivano dalla notte dei tempi.
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La morte non è niente. Sono solamente passato dall'altra parte: è come fossi nascosto nella stanza accanto.
Io sono sempre io e tu sei sempre tu. Quello che eravamo prima l'uno per l'altro lo siamo ancora.
Chiamami con il nome che mi hai sempre dato, che ti è familiare; parlami nello stesso modo affettuoso che hai sempre usato.
Non cambiare tono di voce, non assumere un'aria solenne o triste. Continua a ridere di quello che ci faceva ridere, di quelle piccole cose che tanto ci piacevano quando eravamo insieme.
Prega, sorridi, pensami!
Il mio nome sia sempre la parola familiare di prima: pronuncialo senza la minima traccia d'ombra o di tristezza.
La nostra vita conserva tutto il significato che ha sempre avuto: è la stessa di prima, c'è una continuità che non si spezza.
Perché dovrei essere fuori dai tuoi pensieri e dalla tua mente, solo perché sono fuori dalla tua vista? Non sono lontano, sono dall'altra parte, proprio dietro l'angolo.
Rassicurati, va tutto bene. Ritroverai il mio cuore, ne ritroverai la tenerezza purificata.
Asciuga le tue lacrime e non piangere, se mi ami: il tuo sorriso è la mia pace.