Tursinet

Tursinet Pagina e sito sul paese i Tursi (mt), paese della tana degli Arabi (Rabatana) e dei Poeti ( Pierro),

06/12/2022

Salvatore Martire

16/12/2021
16/12/2021

Il vecchio e il bambino

Un vecchio e un bambino sono seduti in piazza alla estremità di una panchina. Fa freddo, ed il vento fa rannicchiare nel cappotto, il bambino e tossire il vecchio. Non si conoscono e non si parlano. Il bambino con un gesto porta alla bocca una caldarroste e il vecchio fa lo stesso. Li hanno comprati poco prima da un venditore marocchino.
Sono soli al mondo. Il vecchio vive nell'ospizio. Il fanciullo è in un orfanotrofio, ( a San Rocco a Tursi), dove una signora caritatevole, gli paga la retta mensile e gli porta di tanto in tanto qualche regalo e un sorriso. Sono tristi come il paesaggio davanti ai loro occhi, che loro guardano distrattamente. Cosa potrebbero dirsi un vecchio e un bambino? Ogni tanto si danno una occhiata di sfuggita. Hanno in comune la tristezza e la solitudine. Il bambino pensa alla vita che ancora ha da percorrere. Sembra che sia piena di dolori e di tristezze.
Oh! Non sarebbe stato meglio se anche lui, avesse accompagnato la mamma nel suo viaggio senza ritorno?
Sentendo parlare della gloriosa e gioiosa vita di Lassù , il bambino vorrebbe andarci. Non è contento della vita. Si volta e guarda il vecchio e pensa: " Lui ha finito il corso. E' alla fine del cammino . Chissà quante cose ha fatto, ha visto. Chissà quante gioie ha provato , quanti ostacoli ha superato, quanti dolori ha sofferto . Eppure è alla fine”
Mentre io ! Ho paura! Fra poco andrò di nuovo in collegio. Lì fra tanti miei compagni, mi sentirò solo. Non potrò essere accarezzato dalla mano di mio padre, dal sorriso di mia madre, perché non ci sono più.
Il vecchio intanto pensa alla vita che gli sfugge. Perché morire? - No ! Voglio camminare ancora. Un passo dopo l'altro, appoggiato al bastone. Voglio pensare ancora cosa farò domani. Guarda il bambino. Come è giovane ! Come è bello morire quando si è giovani! Così , col sorriso sulle labbra, con la stessa gioia con la quale si va incontro alla vita.
Perché la vita e la morte sono realtà ugualmente misteriose. Il vecchio ancora il bambino che mangia le caldarroste. Perché dovrei vivere ancora? Ci sono altri che prenderanno il mio posto. Ho corso la mia strada, ho finito il mio turno. Come vuole il Signore. Sono stato mandato su questa terra per fare qualcosa. Adesso è finita. Dio mi chiama di nuovo a sé. Cosi rinfrancato fischia in sordina, contento.
Il bambino ascolta e sorride. Lui il vecchio è contento. La vita non è dunque amara. E' anche bella. Si alza, guarda il vecchio che si incammina contento verso l'orfanotrofio. E il vecchio non canta più.
Un ragazzo ed un vecchio si allontanano in direzioni diverse. Non si sono detti niente. Ma è come se un lungo dialogo si fosse svolto fra di loro. Con uno sguardo ed un sorriso si sono salutati.

29/11/2021

Remenber to Aliano (Ricordi di Aliano)

Il giorno che ci arrivai era in agosto ed il sole tramontava verso Alianello. Nella cinquecento blu ero con tre ragazzi, tre borse e ci seguiva il ford giallo di Giosué Ricciardulli, con altri sette giocatori, per un incontro estivo di pallacanestro, da disputarsi nel campo della scuola elementare, tra l'indifferenza dei vecchi, il tifo dei bambini, le speranze di don Pierino il parroco e le raccomandazioni di un maestro che era il papà di un giocatore del posto. Il suo nome era Giovanni e studiava a Roma. Giocava bene come pivot e tornava ogni estate al paese natio per respirare l'aria buona, ritrovare gli amici di infanzia e gustare il ritmo dolce e tranquillo, proprio dei nostri paesi del Sud.

La partita epica, storica e simpatica era stata organizzata da Pinuccio Di Tommaso, uno dei nostri giocatori, che d'estate andava ad Aliano a trovare i nonni e gli zii materni. Lui aveva iniziato a giocare a basket che faceva la quinta elementare, poi nella terza media avevano vinto insieme ai suoi compagni classe '61 la finale a Matera dei Giochi del 1975. Gli anni successivi aveva giocato nei cadetti. Il suo ruolo era il pivot, ma segnava volentieri in contropiede.
Ricordo le prime partite sotto la piazza e il primo torneo nell'estate del '72. Avevano comprato le tute blu al mercato insieme alle scarpette bianche e alte, proprio da basket. Gli spogliatoi erano i campi di bocce. Poi nel novembre del '74, inventarono la moda di uscire da casa direttamente con la tuta addosso, quando iniziarono per noi i primi campionati del basket ufficiale. Prima c'erano state le partecipazioni ai giochi che si facevano ai primi di giugno, ma erano poche partite. Chi perdeva se ne tornava a casa. Cosi raccontava a quegli amici di come giocava a basket e che una volta il Tursi era andato persino alle finali nazionali del 1972 a Roma. I suoi cugini dicevano che anche loro avevano il campo e ci andavano a giocare d'estate con gli studenti che tornavano per le vacanze estive.
Così si organizzò la partita. Quindici giorni prima andò ad Aliano per preparare... il terreno. Organizzò la squadra. Fecero allenamenti su allenamenti, mi telefonò quattro o cinque volte, disse che in quella occasione avrebbe giocato contro... di noi, con i suoi amici di Aliano. Arrivò il grande giorno. Prese un tavolo, le sedie per il segnapunti e il cronometrista, le sedie per i giocatori ospiti, l'acqua da bere, le magliette e i fogli di carta per segnare il punteggio.
Ci venne incontro all'entrata del paese. Letteralmente ci... aggredì con strette di mano, abbracci ai compagni e... bicchieri di acqua fresca a volontà. Ci presentò alla nonna che ci volle baciare tutti, quasi fossimo dei nipoti. C'era anche la sua mamma affacciata alla porta di casa. Poi salì sul ford di Giosué e disse: “Professore, venite con la macchina appresso a me. Nonna poi passiamo di qua.”
Attraversammo la piazzetta, non pensavo minimamente allo scrittore Carlo Levi. Vidi solo un manifesto che parlava di una mostra di pittura in onore dell'autore di "Cristo si è fermato ad Eboli". Il romanzo lo avevo letto a maggio durante la gita scolastica delle terze medie nel 1984). Parcheggiammo davanti alla scuola elementare e pensai solamente ad organizzare la squadra, con l'allenamento per provare il... terreno di gioco, i canestri e se il pallone rimbalzava bene. Diamine eravamo andati fin là per vincere, noi eravamo più esperti. Fu una bella partita, una maestra venne con la figlia piccola a vedere come giocavamo.
Lui Pino giocava con quelli di Aliano nel ruolo di capitano. E vinsero, si vinsero loro. Giocò con tanto di quel fiato che in campo si sentivano solo le sue grida di incitamento. Ogni volta che metteva a segno un canestro, gli abbracci ai compagni di Aliano non finivano mai. I nostri giocatori perdettero di almeno dieci punti. Non si aspettavano quel risultato. Anche il parroco don Pierino Di Lenge, ne fu contento, lui conosceva solo il calcio. L'anno prima, don Pierino aveva insegnato lettere nella nostra scuola media. Qualcuno disse: “ma Pino, non l'ho mai visto giocare cosi bene” . Bella anche l'ospitalità gioiosa che ne seguì.
Al ritorno con il rosso del tramonto, restammo d'intesa che ogni anno avremmo giocato una partita come quella.
E' morto un giorno di luglio del '77, di domenica. Veniva dal mare assieme a Giovanni Fusco, un mio alunno alla scuola media. Avevano chiesto un passaggio ad una Fiat 124. Avevano solo 16 anni. Io, non sono ancora tornato ad Aliano.

20/11/2021

Quando a Tursi arrivarono i soldati tedeschi, nella seconda guerra mondiale

Sono nato nel 1942, ed era in corso la seconda guerra mondiale. A Tursi il mio paese ci arrivarono i soldati tedeschi. Tutti avevano paura e nascondevano le loro cose nelle grotte.
Gli ori e gli argenti li mettevano in recipienti di terracotta, che poi li andavano a portare nelle grotte, e poi muravano l’ingresso di queste grotte. Questi fatti naturalmente me li ha raccontati mia madre, mentre stirava le camicie e le magliette col ferro da stiro ai carboni ardenti e io frequentavo la quarta elementare e avevo i pantaloni corti. Mi diceva, controllando con il dito se il ferro era ancora caldo, naturalmente dopo aver portato il dito alla bocca per inumidirlo con la saliva e non scottarsi troppo. Diceva: tu eri piccolo piccolo, un po' come il figlio di Braccio di Ferro. Eri proprio in fasce ed io tua madre ero molto ma molto preoccupata. Questo perché le mamme che avevano i figli più grandicelli, potevano correre di qua o di là, mentre lei con me in braccio non poteva fare niente. Io ero il primo figlio, perché poi dopo qualche annetto, ne arrivarono altri quattro, tre maschi e una fe*******ia. Ma intanto aveva me in braccio in fasce, io non lo sapevo, tutta al più sapevo di essere in braccio a mia madre, ma io non me lo ricordo e lei doveva correre perché arrivavano i soldati tedeschi della seconda guerra mondiale e quelli, si diceva che erano cattivi. Allora lei si mise a pregare la Madonna di Anglona che l'aiutasse a salvare me piccolino in fasce, tanto la Madonna se ne intendeva di queste cose. Per questo mi chiamo Salvatore e qualcuno mi chiama anche Salvato, forse per accorciare.

Mentre mio padre, allora quarantatreenne, gridava a mia madre di sbrigarsi, per fuggire in una località lontana irrangiungibile e misteriosa detta "A vallican ", che forse somigliava al Gran Canyon del Colorado, mia madre con me in braccio, recitava il rosario alla Madonna di Anglona .Probabilmente il fatto sarà accaduto il sei o il sette di settembre del 1943. Gli alleati era già sbarcati in Sicilia e avanzavano lungo la Calabria, mentre i soldati tedeschi indietreggiavano, risalendo la pen*sola ed erano arrivati proprio a Tursi. Non avevano altro posto, che accamparsi a Tursi e spaventare la gente. Sicuramente la mattina dell'otto settembre i soldati ricevettero l'ordine dai loro generali di ripiegare verso il nord Italia. Cosi se ne andarono da Tursi, la guerra non ci fù ed io venni lasciato in pace a stare con mia madre senza correre.

La Madonna di Anglona aveva fatto la grazia e tutto il paese andò nella chiesa cattedrale a ringraziare la Madonna. Credo che dopo andarono in pellegrinaggio al Santuario di Anglona, perché ci vanno ancora adesso e mio padre andò sempre a messa e mia madre poté recitare il rosario in santa pace, senza che mio padre brontolasse con quel psis psis ogni sera.

Ricordo che un ragazzino mori perché andò a finire sotto un macchina tedesca e certamente a quei soldati tedeschi dovette molto dispiacere, perché non era quella la loro intenzione, ma il ragazzino morì lo stesso ed è stato anche lui vittima di quella guerra. Poi c'era un bambino biondo che forse poteva avere tre anni e i soldati lo volevano portare con loro in Germania, perché era bello, biondo e quindi di razza ariana mediterranea! Fatto sta che qualche tursitano di allora convinse il soldato tedesco a lasciarlo e quel ragazzino si salvò. Tutto questo me lo hanno raccontato gli altri quando facevo la quinta elementare e giocavo con i miei amici del vicinato "A la Mucciuna " cioè a nascondino .

12/11/2021

Astronomi domine
Questa parola magica, l'ho sentito la prima volta, alla radio. Ero in casa e da poco avevo comprato una radio a modulazione di frequenza e l'avevo pagata venticinque mila lire in contanti. I soldi erano miei naturalmente. Avevo avuto l'assegno di studio universitario a Napoli dove studiavo: trecentomila lire. In realtà, al Banco di Napoli agenzia n° 1 mi avevano dato solo 297500 lire. L'impiegato mi disse poi, che erano per le spese di bollo. Comunque presi i soldini che misi al sicuro in una tasca all'interno della maglia di lana. Mia madre ci aveva cucito una tasca, cosi i soldi non li avrei persi. Questo succedeva anche ai tempi di quando studiavo da geometra a Matera. Quindi torno a Tursi col treno, arrivo la mattina alle sette col pulman di Policoro e salgo in casa.
Annuncio l'evento a papà e a mamma e poi dopo aver poggiato la valigia di cartone di colore rosso, la stessa del geometri, caccio i soldi dalla tasca della maglia di lana, bevo il caffé al fumo di Londra di mio padre e vado a comprare la radio. Cosi con "Radio anch'io" accesa di pomeriggio studiavo Ragioneria uno e Statistica due.
C'era un programma musicale intitolato :"Per voi giovani" .Mandavano in onda le canzoni dei Beatles e dei Rolling Stones. I Nomadi cantavano la canzone di Guccini "Dio è morto" e Bob Dylan il menestrello d' America cantava la canzone "Blowin' in the wind". C'era la guerra nel Viet-Nam in corso e poi ogni tanto si affacciava mio padre che mi diceva: "Na fè bene con questa musica" . Ed io riprendevo i miei amati studi statistici. Un giorno d'estate, faceva caldo, molto caldo, così bevevo acqua a volontà e portavo sulla terrazza di casa i fichi ad asciugare. Erano le tre di pomeriggio di estate alla radio c'erano loro: "I Pink Floyd " con la loro musica psichedelica del 1967, ed io ascoltavo le canzoni " Astronomi Domine " e " Interstellar Overdrive".
Io ero un appassionato di romanzi di fantascienza. Quando studiavo a Matera all’Istituto Tecnico Commerciale e per Geometri, andavo al cinema "Duni" dove ho visto tre films di fantascienza: "Delitto nella quarta dimensione"; "Space man" ed un altro con gli astronauti americani della Nasa, dove c'era uno che studiava il sole e diceva: "Non ti preoccupare cara, c'è abbastanza carburante nel sole, da viverci per almeno altri quattro miliardi di anni." Ed io nel buio della sala mi tranquillizzavo.
La radio suonava :"Astronomi domine", mia madre cuciva le lenzuola sdrucite, io bevevo una bottiglia di acqua, non dal frigo, perchè il frigo non c'era, poi dopo alcuni "Bip bip" entravano dal balcone rivolto a sud alcuni alieni, il sole era passato da poco e quegli alieni erano quasi cento alieni che dicevano di stare zitti, perchè i Pink Floyd si apprestavano a suonare la musica di " Interstellar overdrive". Sembravano delle rondini e si erano poggiati davanti al balcone. Cosi io lasciavo i libri ed ascoltavo gli inglesi biondi dai capelli lunghi. La musica mi faceva sognare, io rimanevo incantato e non ascoltavo neanche mia madre che mi chiamava, per dirmi che dovevo salire sul terrazzo a stendere i panni. Io poi rispondevo : "Più tardi ci vado, adesso devo sentire questa musica”. Cosi mia madre apriva la porta della sala da pranzo, dove io ci studiavo ed ascoltavo la musica alla radio e mi diceva: "Abbassa il volume che sta salendo papà, a prendersi il caffè e lui non vuole sentire musica”. Poi chiudeva la porta, si sedeva ed ascoltava anche lei la musica. Mia madre era nata in America tanti anni fà ed anche se la musica dei Pink Floyd era inglese, la ascoltava lo stesso. Quando l'astronave interstellare aveva lasciato i bastioni di Orione e lo speaker della radio passava a raccontare un aforisma di Schopenauer, io mi sentivo non solo giovane, ma anche filosofo. Finito di ascoltare la canzone, andavo a salire le piccole scale che andavano sul terrazzo e portavo in braccio i panni da asciugare, mentre mia madre era già sopra ed apriva la porta della terrazza. Qui i conigli, grandi e piccoli, ci venivano incontro , per vedere se c'era erba da mangiare (asciutta, se no ai conigli viene il mal di pancia e muoiono), ed io pensavo tra me e me, chissà se la musica dei Pink Floyd è piaciuta anche a loro. Ma intanto il sole stava calando a ovest e dovevamo stendere i panni sporchi lavati in famiglia. A quei tempi anche alcuni giovanotti locali che studiavano fuori da pendolari portavano i capelli lunghi. Era la moda di quei tempi, col mangiadischi e le musiche napoletane. In quegli anni, si era nel 1967, alcuni giovani tursitani che studiavano al magistrale di Montalbano Jonico, avevano fondato a Tursi un club dal titolo:"Club tre" dove si riunivano per chiacchierare ed ascoltare la musica dei Beatles. C'erano anche alcune ragazze, compagne di scuola, che tutte le mattine prendevano il pulman per andare a Montalbano. Poi verso le due passate tornavano e noi giovani universitari, li andavamo ad aspettare per vederli scendere dal pulman e dirigersi di corsa alle loro case dove li aspettava un bel piatto di "spaghetti …western".

04/11/2021

Al mercato nell’autunno del ‘76

Oggi è lunedì e c’è il mercato: E' il venti del mese. Infatti il venti di ogni mese c'è il mercato a Tursi. Lo ha inventato il vescovo della diocesi di Anglona Tursi, mons. Pasquale Quaremba, originario di Muro Lucano, in provincia di Potenza. Già le voci della gente si sentono per strada. Sì, perché il mercato si svolge in piazza Maria SS.ma di Anglona, quella che sta davanti al municipio nuovo, di fronte alla centralissima via Roma, in parte in via Roma e in parte nel piazzale di fronte alla chiesa cattedrale del mio paesello. I pulman degli studenti che vanno al magistrale di Montalbano Jonico e al liceo scientifico di Policoro sono partiti alle sette del mattino, per evitare il traffico cittadino. I ragazzi che vanno alle scuole elementari e alle medie, danno un'occhiata furtiva alle bancarelle. Ci sono esposte le scale di legno e le sedie di paglia. C'è l'orologiaio venuto dalla vicina Colobraro con Silvio, il figlio piccolo. C'è il venditore delle pentole, che servono per cucinare i brodini con il dado Knorr. C'è il venditore di scarpe dell'altra volta che avanza dei soldini da qualcuno del paese e il barese Colette con i maglioni Robe di Kappa. Sono i migliori in commercio e costano come nelle boutique delle grandi città. L’amico di turno ha comprato i blu jeans che consegna alla madre, che pagherà alla cassa e che poi accorcerà, quando torna a casa. C’è chi veste elegante perché ha comprato il maglione pura lana con il marchio Cerutti. C’è il venditore di dischi delle canzoni del bandito Giuliano, con le lacrime agli occhi e l’offerta speciale. All’incrocio della strada per salire su al centro storico, c’è il vigile appoggiato al palo della segnaletica e controlla il traffico delle auto. Il bambino ha attraversato la strada di via Roma e la mamma lo prende per mano. “Mamma, mi compri le scarpe color rosa ?”, dice una bambina mentre sta andando scuola e mangia il panino.” Zitta, non vedi che ho i soldi contati?” Risponde la madre. Se ne parlerà all’altro mercato. Il nocellaro di fronte al bar Vinci, incarta le nocelle e guarda gli assaggiatori abusivi di lupini. Non di dirà niente. E’ per la promotion. Non per niente viene da Noicattaro, in provincia di Bari, la terra di origine di Michele, il mio compagno di giochi, perché, quando eravamo ragazzi di dieci anni, giocavamo con una pallina piccolina e delle bacchette, con le quali si doveva spingere la pallina in avanti e andare e segnare il gol, stile Criket.
- “Ehi, ciao, sono venuto a comprare le scarpe”.
-“Ma stai un po’ qui con noi. Fra poco passa lei, la ragazzina bellina che ti piace tanto e
mangia queste nocelle”.
Con tutte queste magliette e queste camicie, a settemila lire, se non arriva la moda oggi, mi sai dire, quando arriva. A Natale?
- Ragazzi, scusate, lasciate passare. Alt, largo, fate passare la macchina, dice il vigile Flori.
- Ma chi c’è dentro. La biondina dell’altra sera?
- Giovanni, dammi il giornale. Che ha fatto, ieri la Juve ?
- Ciao Carmela, come sei elegante! Che compri oggi?
- Forse un pantalone. Ma sarà difficile.
- Vuoi una mano? Sai io sono un esperto in acquisti.
- Grazie. Sono con mia madre, che è una esperta in materia.
- Buon giorno capo. Stanco, eh?
- Eh si. Quando finisco, ci vorrà “Na Bir al bar” (un boccale di birra, al bar).
Ore dieci del mattino. Il sole è già alto sulla collina di fronte, al “Cevizito”.
E’ l’ora di punta. I venditori nelle baracche si danno da fare e cambiano gli spiccioli, contrattano, tagliano le stoffe, misurano, incartano, con una occhiata al cliente e uno ai passanti. Loro sono venuti da lontano con la macchina. Hanno dormito in tenda, con la coperta di lana e oggi per loro è il giorno più lungo. All’una dovranno smontare le baracche, tanto la gente se ne andata a casa e arriverà il vigile di turno. Il traffico e defluito fuori paese e il sudore scorre tra i capelli. E’ anche la nostra ora, per il solito giro d’ispezione. Scenderanno da casa le belle, come alla fiera di Anglona. E compreranno le magliette e le gonne. I vecchi assaggeranno il formaggio venuto da Stigliano. Il mio grande amore passerà da qui. Mi sono appostato all’incrocio della strada, nel punto strategico, sotto la baracca del venditore di magliette. Mangio una nocella e guardo lontano. E’ lei con la mamma e la sorellina piccolina e bellina, ma che non ha l’età per comprare da sola. Un microfono da una baracca ha riunito la gente, per vendere le coperte di lana e i tovaglioli: offerta speciale a transistor. Ore undici. Il sole continua a picchiare. Si sente qualche colpo di clacson. Il vigile è sudato. Noi all’ombra delle solite camice stiamo bene. Il lento defluire del mio paese è qui a due passi. Mi sfiora le braccia. I portafogli si aprono e si chiudono. La baracca di fronte è piena di gente. Gli aiutanti si muovono da destra a sinistra. Si stringono mani e arrivederci e buongiorno. Lei è passata di nuovo. Alla piazza dell’angolo, il solito posto per la solita vendita. Lui non c’era, osservava. Il nipote di dietro parlava e vendeva. E lui osservava con la sigaretta tra le dita e il cappello in testa. E’ in pensione. Da vent’anni e forse più, ha venduto, puntuale come un orologio a mezzanotte, metri e metri di stoffa, bianche, nere, di velluto. Vestiti, gonne, pantaloni, asciugamani e lenzuola, sono passate dalle sue mani. Il sorriso pronto e il figlio accanto. Il figlio, ora non c’è, lavora al nord. Il mitico nord dei nostri sogni. Lui il padre è rimasto. Stesso tavolo, stesse carte, stessi amici. Ha provato a starci al nord, perché anche lassù la gente va in pensione. Ci sono i bar, ma non è il suo paese. E così lui è tornato. L’aria e le strade di qui, non sono così piene di gente.
Ore quattordici: L’ultimo camion con l’ultimo telone se ne andato. La piazza sembra un campo di battaglia … cartaceo. Giornali di ieri, pezzetti di stoffa e listelli di legno con il cellofan, si alzano al soffio leggero del vento di tramontana. Siamo tutti a casa a mangiare. Gli spazzini intanto sono al lavoro e puliscono tutto. Alle tre del pomeriggio, con i pulman in partenza, è tutto pulito e spazzato. La sera al bar con la birra e il gioco delle carte, le si*****te si accendono (non c’era ancora il divieto di fumare dentro i locali pubblici). Cantano i juke box e si ascolterà ancora una volta la canzone dedicata al bandito Giuliano. Alle undici di sera, le strade sono quasi al buio ed io entro in un bar dove si gioca a bazzica su un tavolo con il tappeto verde. Do un’occhiata ai giocatori con le stecche, e uno che dice: “Bianca, dopo”. Stasera tornerò a casa mia, in via Roma 83 e dopo aver visto un po’ di TV, andrò a dormire. Stasera il mio amico è partito per il Nord Italia e mi ha lasciato i dischi dei Pink Floyd. Conservali per quanto ritorno.

21/10/2021

La pozzanghera

Pioveva da due settimane. Le strade erano bagnate e cariche di terra discesa da Rione Costa. Le case e le auto erano bagnate. I bambini con il cappotto addosso, con una mano portavano l'ombrello e con l'altra mangiavano il panino fresco di forno e di mortadella. Sulle spalle la cartella con i libri e i quaderni. Le auto ancora non li accompagnavano a scuola. Non era di moda. I ragazzi andavano a quei tempi ancora a piedi. Era il 1975 e la grande civiltà delle macchine, con le auto ad intasare il traffico e a far dannare il vigile di turno, ancora non era arrivata a Tursi. Non eravamo ancora moderni e al passo coi tempi. Quando pioveva veniva spesso a mancare la luce e i più coraggiosi camminavano al buio o usavano la pila elettrica.
Paradosso dei paradossi mancava anche l'acqua, specie quando pioveva. In genere era facile che qualche tubatura dell'acquedotto si rompesse. Cosi erano arrivate le autobotti con l'acqua e tanti rubinetti per riempire le bottiglie e le vasche di plastica o i bidoni di plastica bianca. In piazza, quella davanti alla chiesa cattedrale, l'assalto a "Fort Knox" era pronto. Tutti con i secchi di plastica attorno ai camion, per la conquista di un …posto, non al sole, ma … all'acqua. Il vigile di turno, con la sua divisa nera e il cappello nero e sudato in testa, cercava fin dove era possibile di metterci in colonna, cosi uno alla volta, - diceva - si fa tutti la provvista. Anche le sue scarpe erano bagnate come l'impermeabile che indossava in queste occasioni diciamo cosi... acquatiche. Adesso fermiamoci un momento per ascoltare da vicino alcuni dialoghi che la gente diceva, cosi per passare il tempo:
- Sono prima io, ho aspettato da molto tempo a restare qui con voi. Poi devo riempire soltanto una bottiglietta per cucinare un po' di minestra, stasera.
- E io che sono due ore che aspetto. Quanta pazienza che ci vuole.
- Ragazzino, tu sei giovane e mettiti dunque dietro e fai passare prima noi che abbiamo la famiglia, la cucina e l'insalata.
- Ehi non spingere, per poco non mi facevi cadere. Ma guarda come sono scostumati questi giovani.
- E dammi la gomma (quella che porta l'acqua).
- Ehi, mi hai fatto il bagno. Questa non ci voleva, con tutta l'acqua che è caduta stanotte.
- Per la miseria, ma la luce, quando viene?
Il vigile, spazientito e pure infreddolito, diceva: Calmatevi, calmatevi , la luce arriverà, uno alla volta, mi sembrate i ragazzini al mercato.
“Signora stia calma, calma per ca**tà. Uno alla volta e la prenderete tutti. Una seconda autobotte è in arrivo”. Alcuni che avevano le macchine portavano l'acqua nel cofano quando tornavano a casa la sera. Nella parte alta del paese, la terra era franata. Anche le case non ce la facevano a stare ferme. Qualcuna da un momento all'altro sarebbe crollata, con molta paura e tanta polvere. Il sindaco di quel tempo, aveva dato l'ordine di sgombero ad alcune famiglie, per via delle loro case, giudicate dai tecnici del comune un pochino pericolanti. Queste famiglie avrebbero alloggiato provvisoriamente nelle scuole, se lo sgombero avveniva durante le feste di Natale. I reporter della Gazzetta del Mezzogiorno avevano scritto la cronaca in prima pagina assieme alla riunione dei ministri. Le foto del paese ammollo e il servizio speciale ci consolavano. Finalmente anche noi tursitani eravamo sulle pagine dei giornali. Povero nostro paese del sud contadino o quasi. L'entroterra in prima visione e il sottosviluppo a portata di mano e dei secchi da riempire. Dopo quell'alluvione si aspettava anche l'onorevole che avrebbe visitato le campagne con i rami spezzati degli alberi delle arance e le foglie per terra.
Il sindaco con gli stivali era andato anche lui assieme agli operai del comune a sgomberare la terra che era caduta nei pressi del municipio vecchio, ma ancora in funzione. I vigili del fuoco erano andati a far saltare l'ultima torre dell'ultimo castello che c'era in Rabatana che nessuno di noi ha mai visto tutto intero, ma che i nostri padri ci avevano raccontato le sere d'inverno al focolare.

I padri a loro volta lo avevano sentito da piccoli al focolare e cosi da duecento anni questo castello era grande, con le gallerie che andavano fin giù alla Chiesa Madre in Rabatana. Ora, io vedendo il presepe di pietra che c'è nei sotterranei della chiesa ho visto le sembianze di come doveva essere questo mitico castello dei Doria, venuto da Genova per governare i nostri antenati e i nostri contadini. Adesso con il crollo forzato di quest'ultima torre, la nostra storia si è un pochino accorciata. Non ci saranno più i ricordi a farci compagnia.
Ma torniamo alle nostre acque potabili, che i cittadini raccoglievano quasi fosse olio di oliva. Si erano formate delle pozzanghere vicino ai camion delle autobotti. Così i bambini calpestavano l'acqua con gli scarponi, per farla schizzare addosso ai compagni, sotto lo sguardo irritato della gente. Le macchine intanto passavano, suonavano e poi rallentavano.
Una mamma che aspettava il suo turno vide un ragazzino che metteva i piedi scalzi nella pozzanghera. Il bambino aveva i calzoni corti e un maglione rossastro, si era piegato e con le mani a terra toccava l'acqua. Era tutto immerso nell'acqua mani e piedi. Si voltò mi guardò e sorrise. I ragazzi della scuola media passavano con i libri, l'ombrello, i grembiuli e i cappotti.
Una signora più lontana comprava le banane da un furgone.
- Quanto costano?
- Mille lire al chilo.
Un bambino biondo intanto passava:
- Ciao vai a scuola? E il cappuccio non lo metti?

Il bambino scalzo intanto si era alzato. Aveva anche lui i capelli biondi. Le mani se le era asciugate ai calzoni corti. Cosi l'acqua scorreva ai suoi piedi. Una signora si avvicinava e dato che non pioveva, aveva chiuso l'ombrello e lo scuoteva. Le gocce raggiunsero anche il ragazzino dai piedi scalzi.
- Ma guarda un po', cosi conciato prenderà un raffreddore.
- Questi bambini "Su coria toste" (hanno la pelle dura). Altro che i nostri figli sempre coperti e con la sciarpa di lana.
Il biondino intanto si avvicinava al furgone e guardava le banane. Forse aveva un pochino fame. Ma nessuno se ne era accorto. Io sto andando a scuola (La scuola media “Sant’Andrea Avellino” di Tursi, il mio paese natìo). Poi mi volto e vedo che il ragazzino dai piedi scalzi mi segue. Lo saluto con la mano. Forse avrei fatto meglio a comprare le banane e dargliene almeno una. Ma lui non parlava. Emetteva soltanto dei grugniti e non si capiva quello che diceva. Passò quell'inverno del '75. Venne primavera e venne l'estate.
Una sera offrii un gelato al biondino. Lui lo prese e mangiandolo mi segui fino alla pineta. Mi sentivo strano con quel bambino che veniva dietro di me come un cagnolino. Del resto non parlava, gesticolava. Non che fosse sordomuto. Solo che non aveva imparato a parlare. A scuola non ci voleva andare e cosi le maestre dopo vari tentativi per farlo restare almeno nei banchi a socializzare, si arresero all'ineluttabile. Ci sarebbe voluto un esercito di uomini e donne di buona volontà per convincerlo a imparare almeno a leggere. Magari dovevo farlo io. Tanto lui seguiva me. Ma non avevo tempo e capacità. Ci voleva come si dice oggi un logopedista che somigliasse a me, anche per superare la diffidenza che aveva verso tutti. La sua natura diciamo cosi un pochino selvaggia lo metteva in condizioni di stare lontano dai ragazzi, i quali si divertivano ad insultarlo imitando le parolacce che diceva lui in modo storpiato. Cosi il bambino era sempre in strada, senza cultura, senza libri e senza quaderni. Di borsa nemmeno a parlarne.
Lui il biondino non mi salutava da lontano, veniva direttamente ad incontrarmi per avere il solito cono di gelato al bar. Le banane ormai non c'erano. Le pozzanghere non c'erano, era l'estate, ma lui era sempre scalzo. Quel giorno battendo i piedi nell'acqua aveva asciugato la pozzanghera.

Scritto da Salvatore Martire

Indirizzo

Reggio Nell Emilia
42123

Telefono

3311107497

Sito Web

Notifiche

Lasciando la tua email puoi essere il primo a sapere quando Tursinet pubblica notizie e promozioni. Il tuo indirizzo email non verrà utilizzato per nessun altro scopo e potrai annullare l'iscrizione in qualsiasi momento.

Condividi

Share on Facebook Share on Twitter Share on LinkedIn
Share on Pinterest Share on Reddit Share via Email
Share on WhatsApp Share on Instagram Share on Telegram