25/11/2025
Ci chiamano "sesso debole", ma siamo acciaio che forgia la vita.
Ridotte a curve e utero, ma siamo l'intelletto che sfida il cielo.
Siamo i vestiti che indossiamo, il trucco che non camuffa il tempo, ma celebra ogni nostra battaglia.
Siamo bersaglio di chi dice: "se l'è cercata", le ingenue, le sprovvedute.
Siamo corpi violati sul ciglio della strada, la triste proprietà di un'epoca che pare non abbia mai fine.
Siamo pazze, isteriche, civette, quando osiamo avere voce e desideri.
Siamo pessime madri se lavoriamo e "mantenute" se scegliamo di restare a casa.
Ci hanno voluto in ginocchio: a piangere, a pregare, convinte, di dover essere salvate.
Siamo quelle che si lasciano morire di fame, trampolieri su tacchi impossibili, vittime di sguardi che ci vogliono magre e mute.
Se desideriamo, siamo puttane; se ci rifiutiamo, siamo frigide e bigotte.
Siamo le "signorine", le vergini e le streghe, le timorate di dio e le donnacce.
Siamo rabbia che non può più tacere
Siamo scelta che non vuole più essere negata.
Nel perdonare ci hanno rese colpevoli. Nel vestirsi, nell’accettare un invito, nell'ubriacarsi, hanno letto un’esplicita richiesta di violenza.
Siamo il ricordo di un giorno all'anno – l'8 marzo, il 25 novembre – mentre ogni 72 ore una donna muore.
Non siamo il sesso debole, ma forza indomabile.
Non siamo colpa, ma vittime che si rialzano.
Non siamo il silenzio, ma grido che spezza le catene.
Non siamo merce, ma libertà che ci riprendiamo.
Noi eravamo ciò che voi volevate.
Oggi, scegliamo di essere ciò che siamo.