Assistenza Domiciliare

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Assistenza domiciliare anziani, malati e disabili.

Prendiamo una badante o è meglio una casa di riposo?Sono pur sempre i nostri genitori e come loro si sono occupati di no...
07/03/2022

Prendiamo una badante o è meglio una casa di riposo?

Sono pur sempre i nostri genitori e come loro si sono occupati di noi accompagnandoci fino all’età adulta anche noi vorremmo stargli vicino sopratutto in un momento delicato come quello della terza età e magari dovendo affrontare anche una malattia, ma spesso la nostra quotidianità non ci permette di dare la giusta presenza e attenzione al nostro caro che non è più in grado di gestirsi in autonomia.

Allora cosa fare?

Ecco la fatidica domanda: prendiamo una badante o è meglio la casa di riposo?

Sicuramente la prima cosa da valutare è lo stato psicologico del genitore. Come si sentirebbe ad ospitare in casa sua una persona estranea? E come si sentirebbe allontanato dalla sua casa, dall’affetto della sua famiglia, privato dei suoi beni e della poca autonomia ancora rimastagli?

Molto dipende anche dallo stato della malattia e dal grado di autosufficienza della persona anziana.

Se il genitore non è più autosufficiente e la sua malattia è molto avanzata la migliore soluzione è sicuramente il ricovero in struttura, dove personale specializzato ed equipe mediche possono seguirlo in modo professionale tenendo però conto che l’anziano allontanato dalla propria casa e dalle proprie abitudini spesso si lascia andare e nessun medico o cura lo potrà guarire.

Valutare l’aiuto di una badante è sicuramente un’ottima soluzione. Il vostro genitore potrà godere ancora della propria casa e potrà avere vicino ancora tutti i propri familiari, inoltre sarà seguito giorno e notte in ogni sua esigenza, sarà sorvegliato, aiutato e curato nel migliore dei modi e in modo amorevole. In molti casi la badante diventa parte integrante della famiglia, si affeziona alla persona di cui si sta prendendo cura e viceversa l’assistito non può più fare a meno della sua badante che ormai vede come una nipote acquisita.

Nella valutazione generale bisogna sicuramente mettere in conto i costi sia per la struttura sia per la badante e i tempi di attesa che possono davvero essere molto lunghi per il ricovero in struttura e possono variare dai pochi giorni al mese in caso si scelga di assumere una badante.

Se alla fine di tutta la valutazione si decide per la badante le strade sono due: il fai da te o affidarsi ad un centro specializzato nella ricerca, nella selezione e nella gestione di personale qualificato nell’assistenza anziani.

Affidarsi ad un’azienda specializzata è sicuramente un grande vantaggio

Quando si cerca la badante per proprio conto bisogna considerare che i tempi potrebbero essere lunghi prima di trovare la persona adeguata alla propria situazione familiare, bisognerà fare diversi colloqui, cercare un commercialista o un consulente del lavoro per fare il contratto e metterla in regola, bisogna informarsi bene su tutta la parte burocratica e le scadenze dei pagamenti da effettuare per non incorrere in sanzioni o controversie e bisogna tenere conto che quando la badante andrà via (anche solo per le ferie) bisogna riprendere tutto il processo da capo.

Affidarsi ad un’azienda specializzata è sicuramente un grande vantaggio, la maggior parte delle agenzie si occupa di tutto, alleggerendo la famiglia da tutte le incombenze del caso (ricerca, selezione, contratto, pagamenti, contributi, sostituzioni), inoltre tutela la famiglia in caso di controversie con la badante, i tempi possono essere molto brevi (dalle 24/48 ore a massimo una settimana), inoltre l’azienda seria e specializzata ti segue passo passo ed è sempre presente per risolvere ogni tua problematica.

DIECI CONSIGLI PER PROTEGGERE E STIMOLARE I VOSTRI CARICari amici,da familiari sappiamo bene come la quotidianità con un...
06/02/2022

DIECI CONSIGLI PER PROTEGGERE E STIMOLARE I VOSTRI CARI

Cari amici,
da familiari sappiamo bene come la quotidianità con una persona con demenza sia complicata, lunga e l’assistenza anche estenuante. In questo periodo in cui ci viene chiesto di rimanere tutti in casa lo è ancor di più. Certamente può essere il momento di proporre alle persone con demenza attività di intrattenimento, stimolo e perché no anche di un sorriso.
1 – FOTOGRAFIE
Questo può essere il momento per riprendere in mano le vecchie foto, metterle in ordine, farsi raccontare e far scaturire una narrazione libera e magari metterne alcune in una scatola, una borsetta, un cassetto, un sacchettino o altro contenitore che sia noto, conosciuto, cercato, amato e significativo per la persona con demenza.
Questa attività potrebbe diventare più articolata se aggiungessimo nel contenitore qualche altro oggetto (un bracciale, orecchini, una collana, un portafoglio o un borsellino, un fazzoletto, la corona per dire il rosario) e lo tenessimo a portata di mano e fissassimo un appuntamento per aprirlo, rievocare e arricchirlo.
Si tratta di oggetti che aiutano a recuperare memorie di fatti personali ed esperienze di vita, le foto inoltre potrebbero, inoltre, comporre l’album personale utile a stimolare la memoria individuale e mantenere le informazioni dei membri della famiglia.

2 – VECCHI RITAGLI DI GIORNALI
In una scatola possono essere inseriti vecchi ritagli di giornale, oggetti e souvenir che servono in casa come soprammobili ma che magari non attirano più l’attenzione. Se sono custoditi nel cuore della persona con demenza sapranno rievocarle qualcosa. Questa attività aiuta la persona a recuperare il nome degli oggetti e i fatti legati ad essi (il coniuge, la badante o il figlio/a può nominare l’oggetto e sollecitare le risposte con calma, con ironia e con intesa)

3 -VECCHIE CANZONI
È il momento per ascoltare vecchie canzoni (del passato della persona con demenza) La musica in cd o audiocassette può essere utile non solo per l’ascolto ma anche per danzare (walzer, ballo liscio etc) o per ritmare l’armonia musicale con un battito di mani, movimenti delle braccia e del corpo. Anche questo passatempo coinvolge il familiare che dà avvio all’attività.

4 .MOVIMENTO
In questa situazione il movimento è sacrificato. Vi ricordiamo però che è fondamentale che la persona con demenza mantenga il più possibile la propria mobilità: si può, ad esempio, farla camminare lungo il corridoio, il terrazzo o negli spazi più ampi dell’appartamento. Via libera anche a semplici esercizi come alzarsi e sedersi dalla sedia, sollevare alternativamente le ginocchia dalla posizione seduta (per 5 volte), alzare una gamba alla volta (per 5 volte), sollevare la punta dei piedi (per 5 volte), sollevare le braccia in alto (per 3 volte riposare poi ripetere) ed i nfine portare le braccia fuori (per 3 volte riposare e ripetere.

5 – ATTIVITÀ VARIE
Potete dare sfogo alla vostra fantasia e creatività, aprendo armadi in dispensa dove si trovano pasta e riso, legumi e cereali che possono essere usati come materiale per un’attività di attenzione selettiva che prevede il separare, dividere facendo finta che si siano mescolati o utilizzare rocchetti di filo da dividere per colori. Un’attività’ creativa può’ essere quella di infilare il formato di pasta ditalini rigati e farne una collana o un bracciale. Si possono anche colorare con coloranti alimentari venduti nei supermercati.
Si può rammendare un vecchio calzino di lana con l’ago della lana più grosso e facile da maneggiare oppure utilizzare un pezzetto di tessuto molto grossolano e far cucire. Queste attività possono essere molto rilassanti: non aspettiamoci dei risultati perfetti e non importa che il punto sia lungo e la stoffa arricciata.
Si può pensare anche ad altre attività casalinghe come le pulizie, analizzando con pazienza quello che la persona faceva prima della malattia. Possiamo predisporre su un tavolo gli oggetti utilizzati in passato durante la vita lavorativa come una macchina da scrivere, penne, fogli (se impiegata/o), quaderni (recuperati dai nipoti) con i compiti da correggere (per un/a insegnante); oppure recuperare dai nipoti giochi di costruzione come il meccano o qualche attrezzo come dadi a vite grossi e posizionarli in una scatola che la persona può prendere in qualsiasi momento a suo piacimento.
Si possono sistemare cassetti, fare ordine nella biancheria, piegare asciugamani: è consigliabile chiudere antine e cassetti contenenti indumenti che non vogliamo siano toccati. Si devono predisporre degli spazi organizzati con indumenti non utilizzati da tirar fuori per far prendere aria per poi rimetterli in ordine nei ripiani o nei cassetti. La scusa ufficiale, che calza a pennello, sono le pulizie di primavera e a tale scopo procurare alla persona uno panno umido per pulire l’interno degli armadi e dei cassetti.
Un’altra attività può essere quella di far lavare, con sapone per la lana o sapone di Marsiglia fazzoletti, salviette o altra biancheria, allo scopo di fare eseguire delle attività domestiche. Oppure far stirare fazzoletti o biancheria con il ferro riscaldato a 35°, fare piegare la biancheria (salviette, asciugamani, tovaglioli, calzini etc.) e riporla nei cassetti.
È fondamentale che tutto quanto suggerito venga svolto insieme al familiare-caregiver poiché il gesto imitativo tranquillizza e rende piacevole fare le faccende in collaborazione.

6 – PROGRAMMAZIONE
La routine è fondamentale per le persone con demenza pertanto vi chiediamo lo sforzo di programmare al mattino e riuscire a mantenere laddove possibile una scansione più o meno simile delle giornate. Rispettare gli orari dei pasti, del sonno e della veglia aiuta a ridurre la sindrome del tramonto che sappiamo essere una condizione caratterizzata da un insieme di sintomi psichiatrici (principalmente stato confusionale, agitazione e deliri) che si verificano in soggetti anziani, specialmente quelli con demenza e Alzheimer, nelle ore del tardo pomeriggio, serali e notturne.
Può essere utile questo esempio.
Mattino: colazione, igiene, riordinare la casa (farsi aiutare a rifare il letto e sistemare la biancheria etc), spolverare, lavare le stoviglie, pulire le superfici; uscire per andare al cancello, al portone, in cortile o camminare in casa; coinvolgere la persona nel preparare il pasto: lavare le verdure, spezzettarle e farle/gli fare quello che in grado di eseguire come apparecchiare mettendo solo posate e tovaglioli.
Pomeriggio: farsi aiutare a rigovernare la cucina, far lavare le posate e le stoviglie infrangibili (lasciate tutto il tempo che necessita al soggetto) usando poco detersivo liquido, far asciugare le stoviglie e spazzare la cucina, tenendo conto del fatto che il risultato non sarà perfetto. Dato che il pomeriggio è lungo far fare una pennichella (se necessario) poi uscire dall’appartamento come la mattina, programmare delle attività di cucito, di costruzione etc. o accendere il televisore per vedere vecchi film comici o ascoltare la musica, cantare e/o ballare e se compare irrequietezza fare un’altra uscita.
Cena: come pranzo.

7 – ILLUMINAZIONE
Essere costretti a rimanere a casa molte ore comporterà anche un aumento delle spese domestiche ma consigliamo di tenere, quanto più possibile, le luci accese. Dal momento che la luce affievolita del sole può scatenare la sindrome del tramonto, può aiutare avere una casa o una stanza illuminata: può essere utile un sistema di illuminazione che eviti zone di ombra o penombra.
Una luce notturna nella camera da letto può essere utile per prevenire l’agitazione al risveglio. Pertanto si può organizzare in un angolo del soggiorno (anch’esso illuminato con una lampada) un tavolo o tavolino, una poltrona o una sedia comoda e con gli oggetti che la persona manipola volentieri e invitarla a raggiungere questi spazi, sedersi, toccare e magari anche riposare.
Potrebbe essere di aiuto posizionare su di un vassoio, un cestino, una scatola delle scarpe il portafoglio, una bambola, qualche animale di peluche, la coperta, alcune foto e della bigiotteria. Questi spazi e oggetti tranquillizzeranno la persona che ha la possibilità di accedervi liberamente e quando ne ha necessità.

8 – NORME IGIENICO-SANITARIE
Fate rispettare a tutte le persone che entrano in contatto con i vostri cari le norme igienico-sanitarie che vengono trasmesse e che sono state consigliate. Fondamentale il lavaggio delle mani e la disinfezione degli ambienti soprattutto se il vostro caro è seguito da un assistente familiare che non vive con lui e frequenta altri ambienti. Per semplificare anche alla persona con demenza può essere utile tenere a portata di mano una manopola da far usare già inumidita con sostanze disinfettanti.

9 – SINDROME DEL TRAMONTO
È vero che ci sono limitazioni nell’uscire ma, come dicevamo prima, per fronteggiare la sindrome del tramonto quando la persona con demenza non riconosce la propria casa è necessario assecondarla e farla uscire anche solo sul pianerottolo o nell’androne o in cortile. Questo accorgimento, che rientra tra le misure consentite, può aiutare la persona con demenza e ripristinare l’orientamento. Anche fare una sola rampa di scale può essere utile per distrarre o stancare la persona (valutare sempre il grado di abilità motoria residua e le sue capacità); è preferibile comunque farla salire e non scendere appoggiando la mano sul corrimano e poi riprendere l’ascensore fino all’appartamento.

10 – SVAGO E PASSATEMPI
Cucinare insieme può rappresentare un valido momento di svago e passatempo. Questa attività può essere organizzata all’interno del programma giornaliero. Si può strutturare il momento cucina in stadi: 1 – pensare ad una ricetta e scegliere gli alimenti da cucinare; 2 – scrivere su un foglietto le cose che mancano e da comperare; 3 – andare al supermercato (il caregiver senza la persona in questo caso); 4 – preparare i cibi in base alla ricetta e farsi aiutare dalla persona con demenza nelle mansioni più semplici come ad esempio tagliare la cipolla, il sedano o la carota etc.
È consigliabile usare un coltello con lama a seghetto o poco tagliente per evitare delle ferite. I cibi saranno tagliati a pezzetti un po’ strani e non perfetti ma dobbiamo tollerare qualsiasi cosa perché l’obiettivo è mantenere allenata la memoria procedurale (come si fa un’azione) e non il risultato. Cuocere gli alimenti può rappresentare un pericolo ma prestando molta attenzione si può fare rimescolare il cibo nella pentola. Molte persone in questo periodo suggeriscono ricette per preparare biscotti: stendere la pasta, tagliarla con le formine oppure preparare un’insalata mista, una macedonia o un dolce freddo rende l’attività di cucina molto soddisfacente e piacevole e, inoltre, aumenta l’autostima della persona con demenza (un tempo una brava cuoca) e la sua percezione di essere ancora capace.

https://adassistenza.it/salute/contratto-collettivo-nazionale-colf-badanti/
15/11/2020

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Contratto collettivo nazionale di lavoro sulla disciplina del rapporto di lavoro domestico Art. 1 – Sfera di applicazione Il presente contratto collettivo nazionale di lavoro, stipulato tra: FIDALDO, Federazione italiana datori di lavoro domestico, aderente a Confedilizia, costituita da NUOVA COLL...

RACCONTO TOCCANTE DI UN MALATO COVIDLa mia esperienza con il CovidVivere e superare questa drammatica esperienza mi ha c...
11/11/2020

RACCONTO TOCCANTE DI UN MALATO COVID

La mia esperienza con il Covid

Vivere e superare questa drammatica esperienza mi ha cambiato profondamente. Sento il bisogno di spiegare quanto sia subdolo questo male, quali scelte decisive ho assunto che mi hanno salvato, come ho vissuto la traumatizzante esperienza nel Pronto Soccorso, come ho visto morire gente accanto a me e inoltre spiegare a tutti le assurde condizioni di lavoro ed il rischio costante degli operatori sanitari, giovani ragazzi e ragazze che hanno in mano le vite dei malati ma restano sottopagati e spesso poco considerati.
Infine voglio abbattere il negazionismo Covid ed evidenziare le vere condizioni dei Pronto Soccorso da dove passa tutta la sofferenza umana di chi non sa più a chi affidarsi.

Covid - fase 1

La mattina del 13/10 era proprio bella, calda e soleggiata. Ero contento della partita di golf del giorno prima, condivisa con un grande giocatore professionista che mi aveva insegnato cose preziose del mio gioco preferito. Faceva così caldo (il 12/10) che gran parte della partita la feci con una semplice polo.
Forse fu per questo azzardo fuori stagione che la mattina del 13/10 mi alzai con un po’ di tosse ed una sensazione strana di febbre in salita.
“Sarà una infreddata” - pensai - ma alla sera la tosse aumento’ come pure la febbre.
Il giorno dopo, il 14/10, comparve uno strano sintomo: una dissenteria inusuale ed una perdita di appetito.
A questo punto il 15/10 chiamai il medico curante che capì subito il problema e mi consigliò di fare subito un tampone Covid.
Per ridurre i tempi prenotai per il 16/10 presso un centro medico privato ed il 17/10 ebbi il più terribile dei responsi: Positivo al Covid.

Subito il mio medico curante prescrisse il protocollo standard con antibiotico, eparina e cortisone.
In breve i sintomi sparirono, la febbre calò ed il 20/10 sembrava che la fase 1 fosse conclusa, e mi apprestavo ad attendere la fine della quarantena per fare il tampone di uscita.

Covid - fase 2

Purtroppo mi sbagliavo, grazie al controllo giornaliero con il saturimetro, dal 21/10 cominciai a registrare dati in picchiata fino a toccare la soglia importante del 90%.
Il mio medico curante prescrisse il 22/10 una Rx toracica di controllo, ma non riuscii ad eseguirla perché come paziente Covid venivo rifiutato da tutti gli ospedali e centri specialistici.

La scelta decisiva

Non mi ero accorto che un principio di polmonite stava penetrando subdolamente in me, iniziando a danneggiare i polmoni in modo asintomatico. Infatti respiravo bene, parlavo e camminavo, forse appena in affanno ma niente febbre e solo un po’ di tosse.
Quando il 23/10 la saturazione scese sotto i 90% il mio medico ruppe gli indugi e decise (cosa assai inusuale di questi tempi) di visitarmi a casa il 24/10. Un’auscultazione dei polmoni ed una misurazione della saturazione con un saturimetro professionale confermarono i sospetti di polmonite.
Immediatamente mi convinse a recarmi al Pronto Soccorso dell’ospedale di Garbagnate per un esame del sangue ed i RX al torace.
Alle 20,30 del sabato sera del 24/10 uscii di casa con uno zainetto con poche cose e salutai mestamente mia moglie come il pescatore che salpa verso un mare nero e tempestoso. Non la rividi per .... giorni.

Il Pronto Soccorso

Arrivai al buio, in auto, da solo e aspettai nel triage Covid per 5 ore insieme al mondo dei potenziali Covid in attesa del loro triste ma scontato riscontro. Alla 1 di notte fui visitato da un bravo medico che eseguì subito una Emogas (esame del sangue arterioso che misura la saturazione profonda nei polmoni) e la famosa Rx al torace. Agghiacciante la sentenza: “Lei questa notte non si muove di qui, la dobbiamo trattenere”.

La notte la passai su una barella in uno stanzone affollatissimo del triage con una cannula di ossigeno nel naso. Prima notte tra gente che si lamentava e tanti movimenti di entrata ed uscita ma avevo solo bussato alla porta dell’inferno.

L’inferno si presentò con tutti i suoi ruggiti il giorno dopo quando fui trasferito in terapia sub-intensiva del Pronto Soccorso e mi fu detto che la situazione era grave, ma che se avessi collaborato non sarei andato in rianimazione, evitando la temutissima “intubazione”

Non riuscii a capire cosa intendessero per “collaborazione” ma poi capii e mi prese il terrore.

25/10: Il Pronto Soccorso nella parte della terapia sub-intensiva è di per se un luogo da medicina di guerra. In continuo arrivano pazienti solo Covid nelle più svariate condizioni, uomini e donne, gli operatori sanitari correvano da un letto all’altro, avvolti nella regola del tre (tre tute, tre guanti, tre mascherine) che rendono il loro lavoro faticosissimo, trasformandoli in angeli/demoni senza volto e senza espressioni.
I dirigenti ogni 6 ore scendevano e richiedevano nuovi posti letto, requisendo i corridoi, le salette di supporto, ogni buco che potesse contenere un letto veniva sfruttato.
L’umanità dei malati si scioglieva nei lamenti inascoltati da operatori presi come erano a rianimare arresti cardiaci e inserire drenaggi polmonari, operando sul letto stesso del paziente.
Vidi il primo morto che non superò un lungo massaggio cardiaco.

Il 25/10 sera mi presentarono l’orco, cioè il famoso casco per l’ossigenazione forzata.

Fui trasferito nella Shock Area ed il nome credo non fu dato a caso. Mi fecero indossare un casco di plastica pieno di tubi e ganci che mi ingabbiavano e m’impedivano di girarmi o di sdraiarmi. Un immediato senso di claustrofobia mi assalì appena lo sigillarono tutto intorno alla mia testa, lasciando due cm tra il naso e le pareti di plastica.

Ma appena l’orco cominciò a urlare fu il panico.

Un rumore assordante come quello di un aspirapolvere impazzito fece partire una p***a che spingeva ossigeno giù, giù verso i polmoni. Il respiro partì a mille e cominciai a sudare, gli occhi incominciarono a bruciare e dopo pochi minuti la gola era ormai secca e mi venne subito l’istinto di liberarmi. Chiamai aiuto ma c’era troppo caos intorno, un paziente urlava per dolori al petto ed un altro cominciò una danza assurda di tremori sul letto che ben presto si fermò. Era il secondo deceduto.

Capii allora che sarei sopravvissuto a quel girone dantesco se fossi riuscito a “collaborare” con l’orco. Diversamente sarei stato presto intubato in terapia intensiva di cui avevo letto che Il 50% non superava la prova. Mi ricordai gli insegnamenti di yoga e di training autogeno che aiutano a dominare i comportamenti istintivi del corpo, e cominciai a provare ad auto calmarmi ed a collaborare.

Passò così il 25 ed il 26 senza mangiare né muovere la schiena piegata a 90 gradi sulla stessa brandina del triage che ben presto cominciò a bruciare come il fuoco. Gli operatori sanitari faticavano a star dietro alla somministrazione delle terapie e solo con gran gesti riuscii a comunicare con loro per ottenere un po’ d’acqua. Non c’era sulla lettiga il classico pulsante di allarme.

La notte del 27/10 fu la più br**ta, non mangiavo dal 24 a pranzo e rimpiansi si aver avanzato qualcosa nell’ultimo pranzo a casa. I vicini sofferenti piangevano, litigando con la costrizione del casco, ma non erano visibili perché non ti puoi girare, resti solo con il tuo problema, ognuno pensa solo a se stesso, mosso da uno spirito di sopravvivenza egoista ma triste.
Il telefono con scheda Vodafone non funzionò mai e quindi non riuscivo a comunicare se fossi vivo, né a rispondere alle chiamate che mi immaginavo sarebbero cresciute sempre più.
Intorno il mondo si accalcava per cercare un posto in quel dannato reparto, unica speranza per sopravvivere ai devastanti colpi di tosse.

La svolta

Il 28/10 una infermiera pietosa trovò finalmente un letto normale, morbido e regolabile elettricamente. La mia schiena ringraziò. Cominciai a mangiare qualcosa nelle pause che adesso l’orco mi concedeva. Appena mi veniva tolto il casco approfittavo per bagnarmi la faccia, grattarmi la lunga barba incolta, soffiarmi il naso. Le braccia ormai nere perché bucate più volte per i numerosi e dolorosi prelievi (Emogas arterioso è particolarmente doloroso ed emorragico) . La p**i con il pappagallo, la maglietta ormai sudicia da 4 gg.
Un disastro.
Di notte l’orco non ti consente di dormire e solo, a sfinimento, ti appisoli qualche mezz’ora per poi risvegliarti tra gli incubi: non sai più dove sei, le crisi di panico, iperventilazione, calore ovunque. Ma dovevo resistere.

Il 29/10 arrivano i primi dati di miglioramento e quindi cominciamo a ridurre le ore dell’orco a favore della più gestibile mascherina ad ossigeno. Avevo forse superato l’abisso.
Intorno i malati che si aggravavano venivano trasferiti in terapia intensiva ed il loro posto veniva occupato subito da nuovi disperati che non respiravano.
Ammirevoli e instancabili i medici che cominciarono anche a tenere i contatti con le famiglie usando i loro telefoni. Parlai con mia moglie la sera del 29/10 e piansi nel sentire la sua voce.
Gli operatori sanitari sudati fradici fin dalle prime ore del turno lavorano in condizioni difficilissime, gli occhiali appannati, le dita cotte dall’umidità di tre paia di guanti, fanno fatica a trovare le vene ad aprire e chiudere ossigeno a praticare le medicazioni. Il tutto per turni massacranti e per stipendi da cooperative.

Il 30/10 vedo l’orco solo la notte, la situazione migliora ancora di più ed il 31/10 sarà l’ultima notte con lui.
Gli incubi mi seguiranno ma il patto di collaborazione ha funzionato, forse adesso sono fuori.

Via dal Pronto Soccorso

Il 31/10 vengo trasferito nel reparto di pneumologia sempre sotto ossigeno ma tramite una comoda, mascherina. Il reparto è come un’oasi dopo la traversata del deserto a piedi. Ti abbandoni al sonno perso in 7 notti di orco, finalmente dormo anche sul fianco, mangi cibi caldi da sogno anche se a casa tua storceresti il naso, utilizzi finalmente il bagno in autonomia, ti godi l’alternarsi ordinato della routine di un ospedale non di guerra.

Ti puliscono, ti controllano le terapie, ti fanno mangiare, parli con i medici, ti sistemano il letto, la fisioterapia, cominci a camminare, vedi la fine del tunnel.

Cominci a parlare con i vicini di letto, l’umanità non urla più il suo dolore, si unisce nel percorso di guarigione, finalmente emerge la solidarietà, ci si scambia le esperienze.
Ormai i progressi sono galoppanti, dimentico il letto, sto sempre più in piedi e finalmente arriva la riduzione dei medicinali, si toglie il monitoraggio che ti trovavi sempre dietro la schiena, incominciamo a respirare in autonomia.

Il 3/11 siamo quasi arrivati all’obiettivo di 200 nella saturazione profonda alveolare, adesso sono io che incalzo il Covid, lo bracco ovunque non gli do tregua: esercizi di ventilazione, camminate nel corridoio, vedo una bilancia .... 15 gg fa ero 82 kg. Salgo timido e non ci credo: 74 kg. Il Covid mi ha rubato 8 kg ed un vetro impietoso mi dice dove li ho persi.

Il 5/11 ormai sono solo con ossigeno di supporto mobile, lo sto azzannando questo bastardo Covid, non lo mollo, voglio il suo scalpo.
Dal 6 al 9 il il supporto di ossigeno è in riduzione lottando però per mantenere la saturazione > 95%
Il 10/11 data importante, le dimissioni, riprendo la mia auto ancora parcheggiata in ospedale e guido verso casa ma non riesco a comprare un mazzo di i fiori per mia moglie , sarà comunque il nostro più bel anniversario di matrimonio.

Cosa ho imparato da questa esperienza:

- Non si può stare più di tre giorni con febbre alta senza esami di controllo
- Il saturimetro è la sentinella più importante, usalo sempre
le terapie anti Covid devono essere clusterizzate e standardizzate presso i medici di famiglia, non si deve improvvisare.
- Ogni giorno perso in un atteso ed improbabile miglioramento ti fa sprofondare nelle sabbie mobile della polmonite
- Farsi prescrivere subito RX torace e prelievo Emogas sotto i 93- 90% di saturazione
- Non farsi prendere dal panico durante il primo periodo di ricovero in Pronto Soccorso, vero “passaggio agli inferi”
prima ti fai ricoverare, prima inizia l’inversione della curva di discesa
- Non mollare e pensa sempre di farcela anche nei momenti più drammatici

Cosa dobbiamo dire a tutti

- Imparate a difendervi bene con mascherine adeguate FFP2 e, nei posti più affollati, anche la visiera per proteggere gli occhi
- Monitorare ogni eventuale sintomo e non aspettare troppo per fare esami specialistici in caso di test positivo e persistenza della febbre
- Informare i giovani del loro enorme potenziale infettivo verso gli adulti nel caso di una loro positività, anche se per loro non rappresenta quasi mai un grosso problema
- I giovani devono conoscere le enormi sofferenze che possono arrecare ai loro parenti in caso di contagio e devono essere consapevoli del loro potenziale distruttivo
- Il Covid colpisce circa il 5% dei soggetti con tampone positivo nel modo che vi ho descritto. Di questo 5%, un 1% muore quasi subito, un altro 1% va in terapia intensiva a pancia in giù per essere intubato
- Non credere alla favola dei negazionisti sulla situazione non critica dei Pronto Soccorso

Chi non crede deve provare solo una notte e vedrai come si ricrederà.

Cosa non sappiamo degli ospedali

Ho personalmente riscontrato l’affollamento incredibile dei Pronto Soccorso, la gestione delle problematiche a livello di medicina di guerra, il convulso alternarsi di crisi e drammi personali, la mancanza di spazi, la mancanza di personale, la pressione delle ambulanze in attesa.

Bisogna far sapere che la crisi dei Pronto Soccorso non è una invenzione dei politici, né uno strumento per ottenere vantaggi per gli ospedali. È cruda e vera realtà, piena di sofferenze, di umanità piangente, di solitudine, d’isolamento e, alla fine, di disperazione.

I medici e gli operatori operano in una difficoltà incredibile, a cominciare dai sistemi di sicurezza che li espongono continuamente al contagio.
Chi di noi lavorerebbe 8 ore al giorno in un ambiente chiuso in cui sono affollati decine di positivi Covid con il massimo di carica batterica?
Lo fareste per 700 € / mese ?
Sì, gli addetti alla pulizia ed alle mansioni più semplici non sono dipendenti dell’ospedale, ma spesso sono cooperative che lavorano per conto dell’ospedale né più, né meno degli addetti alle pulizie dei supermercati.

I DPI che devono indossare rendono i loro movimenti difficili, li fanno sudare come in una sauna, non possono bere per non essere costretti troppo di frequente ad andare in bagno, cambiandosi e rivestendosi completamente, con enormi perdite di tempo e spreco di materiali. Di conseguenza molti usano pannoloni.

Ho visto gli occhiali appannati che rendono difficile dosare un’iniezione, aprire un rocchetto di garza adesiva, aprire una confezione sigillata con la plastica. Tre paia di guanti rendono insensibili le dita degli infermieri che fanno fatica a individuare le vene o le arterie per il prelievo, spesso ripetuto con enormi ematomi per il paziente. Le bende adesive che si appiccicano ai guanti ai camici, ti ci avvolgi dentro e non ne esci più.
C’è poca considerazione e riconoscenza per questi operatori sanitari e per questi medici.

Conclusione

Il Covid non è una semplice influenza, che presenta solo una piccola % di perdite accettabili.
Il Covid colpisce tutto il sistema sociale, le relazioni e la stabilità familiare.
Io credo che nessuno possa permettersi di accettare che “qualche anziano non produttivo“ possa essere sacrificato, pur di non ricorrere al lockdown.
Nessuno di noi vuole diventare un anello sacrificabile sull’altare del fatturato.
Perché tutti noi abbiamo un parente anziano e tutti noi amiamo la nostra famiglia.
Il Covid è il nostro nemico. Nemico di tutti.
Vivere e superare questa drammatica esperienza mi ha cambiato profondamente. Sento il bisogno di spiegare quanto sia subdolo questo male, quali scelte decisive ho assunto che mi hanno salvato, come ho vissuto la traumatizzante esperienza nel Pronto Soccorso, come ho visto morire gente accanto a me e inoltre spiegare a tutti le assurde condizioni di lavoro ed il rischio costante degli operatori sanitari, giovani ragazzi e ragazze che hanno in mano le vite dei malati ma restano sottopagati e spesso poco considerati.
Infine voglio abbattere il negazionismo Covid ed evidenziare le vere condizioni dei Pronto Soccorso da dove passa tutta la sofferenza umana di chi non sa più a chi affidarsi.

Covid - fase 1

La mattina del 13/10 era proprio bella, calda e soleggiata. Ero contento della partita di golf del giorno prima, condivisa con un grande giocatore professionista che mi aveva insegnato cose preziose del mio gioco preferito. Faceva così caldo (il 12/10) che gran parte della partita la feci con una semplice polo.
Forse fu per questo azzardo fuori stagione che la mattina del 13/10 mi alzai con un po’ di tosse ed una sensazione strana di febbre in salita.
“Sarà una infreddata” - pensai - ma alla sera la tosse aumento’ come pure la febbre.
Il giorno dopo, il 14/10, comparve uno strano sintomo: una dissenteria inusuale ed una perdita di appetito.
A questo punto il 15/10 chiamai il medico curante che capì subito il problema e mi consigliò di fare subito un tampone Covid.
Per ridurre i tempi prenotai per il 16/10 presso un centro medico privato ed il 17/10 ebbi il più terribile dei responsi: Positivo al Covid.

Subito il mio medico curante prescrisse il protocollo standard con antibiotico, eparina e cortisone.
In breve i sintomi sparirono, la febbre calò ed il 20/10 sembrava che la fase 1 fosse conclusa, e mi apprestavo ad attendere la fine della quarantena per fare il tampone di uscita.

Covid - fase 2

Purtroppo mi sbagliavo, grazie al controllo giornaliero con il saturimetro, dal 21/10 cominciai a registrare dati in picchiata fino a toccare la soglia importante del 90%.
Il mio medico curante prescrisse il 22/10 una Rx toracica di controllo, ma non riuscii ad eseguirla perché come paziente Covid venivo rifiutato da tutti gli ospedali e centri specialistici.

La scelta decisiva

Non mi ero accorto che un principio di polmonite stava penetrando subdolamente in me, iniziando a danneggiare i polmoni in modo asintomatico. Infatti respiravo bene, parlavo e camminavo, forse appena in affanno ma niente febbre e solo un po’ di tosse.
Quando il 23/10 la saturazione scese sotto i 90% il mio medico ruppe gli indugi e decise (cosa assai inusuale di questi tempi) di visitarmi a casa il 24/10. Un’auscultazione dei polmoni ed una misurazione della saturazione con un saturimetro professionale confermarono i sospetti di polmonite.
Immediatamente mi convinse a recarmi al Pronto Soccorso dell’ospedale di Garbagnate per un esame del sangue ed i RX al torace.
Alle 20,30 del sabato sera del 24/10 uscii di casa con uno zainetto con poche cose e salutai mestamente mia moglie come il pescatore che salpa verso un mare nero e tempestoso. Non la rividi per .... giorni.

Il Pronto Soccorso

Arrivai al buio, in auto, da solo e aspettai nel triage Covid per 5 ore insieme al mondo dei potenziali Covid in attesa del loro triste ma scontato riscontro. Alla 1 di notte fui visitato da un bravo medico che eseguì subito una Emogas (esame del sangue arterioso che misura la saturazione profonda nei polmoni) e la famosa Rx al torace. Agghiacciante la sentenza: “Lei questa notte non si muove di qui, la dobbiamo trattenere”.

La notte la passai su una barella in uno stanzone affollatissimo del triage con una cannula di ossigeno nel naso. Prima notte tra gente che si lamentava e tanti movimenti di entrata ed uscita ma avevo solo bussato alla porta dell’inferno.

L’inferno si presentò con tutti i suoi ruggiti il giorno dopo quando fui trasferito in terapia sub-intensiva del Pronto Soccorso e mi fu detto che la situazione era grave, ma che se avessi collaborato non sarei andato in rianimazione, evitando la temutissima “intubazione”

Non riuscii a capire cosa intendessero per “collaborazione” ma poi capii e mi prese il terrore.

25/10: Il Pronto Soccorso nella parte della terapia sub-intensiva è di per se un luogo da medicina di guerra. In continuo arrivano pazienti solo Covid nelle più svariate condizioni, uomini e donne, gli operatori sanitari correvano da un letto all’altro, avvolti nella regola del tre (tre tute, tre guanti, tre mascherine) che rendono il loro lavoro faticosissimo, trasformandoli in angeli/demoni senza volto e senza espressioni.
I dirigenti ogni 6 ore scendevano e richiedevano nuovi posti letto, requisendo i corridoi, le salette di supporto, ogni buco che potesse contenere un letto veniva sfruttato.
L’umanità dei malati si scioglieva nei lamenti inascoltati da operatori presi come erano a rianimare arresti cardiaci e inserire drenaggi polmonari, operando sul letto stesso del paziente.
Vidi il primo morto che non superò un lungo massaggio cardiaco.

Il 25/10 sera mi presentarono l’orco, cioè il famoso casco per l’ossigenazione forzata.

Fui trasferito nella Shock Area ed il nome credo non fu dato a caso. Mi fecero indossare un casco di plastica pieno di tubi e ganci che mi ingabbiavano e m’impedivano di girarmi o di sdraiarmi. Un immediato senso di claustrofobia mi assalì appena lo sigillarono tutto intorno alla mia testa, lasciando due cm tra il naso e le pareti di plastica.

Ma appena l’orco cominciò a urlare fu il panico.

Un rumore assordante come quello di un aspirapolvere impazzito fece partire una p***a che spingeva ossigeno giù, giù verso i polmoni. Il respiro partì a mille e cominciai a sudare, gli occhi incominciarono a bruciare e dopo pochi minuti la gola era ormai secca e mi venne subito l’istinto di liberarmi. Chiamai aiuto ma c’era troppo caos intorno, un paziente urlava per dolori al petto ed un altro cominciò una danza assurda di tremori sul letto che ben presto si fermò. Era il secondo deceduto.

Capii allora che sarei sopravvissuto a quel girone dantesco se fossi riuscito a “collaborare” con l’orco. Diversamente sarei stato presto intubato in terapia intensiva di cui avevo letto che Il 50% non superava la prova. Mi ricordai gli insegnamenti di yoga e di training autogeno che aiutano a dominare i comportamenti istintivi del corpo, e cominciai a provare ad auto calmarmi ed a collaborare.

Passò così il 25 ed il 26 senza mangiare né muovere la schiena piegata a 90 gradi sulla stessa brandina del triage che ben presto cominciò a bruciare come il fuoco. Gli operatori sanitari faticavano a star dietro alla somministrazione delle terapie e solo con gran gesti riuscii a comunicare con loro per ottenere un po’ d’acqua. Non c’era sulla lettiga il classico pulsante di allarme.

La notte del 27/10 fu la più br**ta, non mangiavo dal 24 a pranzo e rimpiansi si aver avanzato qualcosa nell’ultimo pranzo a casa. I vicini sofferenti piangevano, litigando con la costrizione del casco, ma non erano visibili perché non ti puoi girare, resti solo con il tuo problema, ognuno pensa solo a se stesso, mosso da uno spirito di sopravvivenza egoista ma triste.
Il telefono con scheda Vodafone non funzionò mai e quindi non riuscivo a comunicare se fossi vivo, né a rispondere alle chiamate che mi immaginavo sarebbero cresciute sempre più.
Intorno il mondo si accalcava per cercare un posto in quel dannato reparto, unica speranza per sopravvivere ai devastanti colpi di tosse.

La svolta

Il 28/10 una infermiera pietosa trovò finalmente un letto normale, morbido e regolabile elettricamente. La mia schiena ringraziò. Cominciai a mangiare qualcosa nelle pause che adesso l’orco mi concedeva. Appena mi veniva tolto il casco approfittavo per bagnarmi la faccia, grattarmi la lunga barba incolta, soffiarmi il naso. Le braccia ormai nere perché bucate più volte per i numerosi e dolorosi prelievi (Emogas arterioso è particolarmente doloroso ed emorragico) . La p**i con il pappagallo, la maglietta ormai sudicia da 4 gg.
Un disastro.
Di notte l’orco non ti consente di dormire e solo, a sfinimento, ti appisoli qualche mezz’ora per poi risvegliarti tra gli incubi: non sai più dove sei, le crisi di panico, iperventilazione, calore ovunque. Ma dovevo resistere.

Il 29/10 arrivano i primi dati di miglioramento e quindi cominciamo a ridurre le ore dell’orco a favore della più gestibile mascherina ad ossigeno. Avevo forse superato l’abisso.
Intorno i malati che si aggravavano venivano trasferiti in terapia intensiva ed il loro posto veniva occupato subito da nuovi disperati che non respiravano.
Ammirevoli e instancabili i medici che cominciarono anche a tenere i contatti con le famiglie usando i loro telefoni. Parlai con mia moglie la sera del 29/10 e piansi nel sentire la sua voce.
Gli operatori sanitari sudati fradici fin dalle prime ore del turno lavorano in condizioni difficilissime, gli occhiali appannati, le dita cotte dall’umidità di tre paia di guanti, fanno fatica a trovare le vene ad aprire e chiudere ossigeno a praticare le medicazioni. Il tutto per turni massacranti e per stipendi da cooperative.

Il 30/10 vedo l’orco solo la notte, la situazione migliora ancora di più ed il 31/10 sarà l’ultima notte con lui.
Gli incubi mi seguiranno ma il patto di collaborazione ha funzionato, forse adesso sono fuori.

Via dal Pronto Soccorso

Il 31/10 vengo trasferito nel reparto di pneumologia sempre sotto ossigeno ma tramite una comoda, mascherina. Il reparto è come un’oasi dopo la traversata del deserto a piedi. Ti abbandoni al sonno perso in 7 notti di orco, finalmente dormo anche sul fianco, mangi cibi caldi da sogno anche se a casa tua storceresti il naso, utilizzi finalmente il bagno in autonomia, ti godi l’alternarsi ordinato della routine di un ospedale non di guerra.

Ti puliscono, ti controllano le terapie, ti fanno mangiare, parli con i medici, ti sistemano il letto, la fisioterapia, cominci a camminare, vedi la fine del tunnel.

Cominci a parlare con i vicini di letto, l’umanità non urla più il suo dolore, si unisce nel percorso di guarigione, finalmente emerge la solidarietà, ci si scambia le esperienze.
Ormai i progressi sono galoppanti, dimentico il letto, sto sempre più in piedi e finalmente arriva la riduzione dei medicinali, si toglie il monitoraggio che ti trovavi sempre dietro la schiena, incominciamo a respirare in autonomia.

Il 3/11 siamo quasi arrivati all’obiettivo di 200 nella saturazione profonda alveolare, adesso sono io che incalzo il Covid, lo bracco ovunque non gli do tregua: esercizi di ventilazione, camminate nel corridoio, vedo una bilancia .... 15 gg fa ero 82 kg. Salgo timido e non ci credo: 74 kg. Il Covid mi ha rubato 8 kg ed un vetro impietoso mi dice dove li ho persi.

Il 5/11 ormai sono solo con ossigeno di supporto mobile, lo sto azzannando questo bastardo Covid, non lo mollo, voglio il suo scalpo.
Dal 6 al 9 il il supporto di ossigeno è in riduzione lottando però per mantenere la saturazione > 95%
Il 10/11 data importante, le dimissioni, riprendo la mia auto ancora parcheggiata in ospedale e guido verso casa ma non riesco a comprare un mazzo di i fiori per mia moglie , sarà comunque il nostro più bel anniversario di matrimonio.

Cosa ho imparato da questa esperienza:

- Non si può stare più di tre giorni con febbre alta senza esami di controllo
- Il saturimetro è la sentinella più importante, usalo sempre
le terapie anti Covid devono essere clusterizzate e standardizzate presso i medici di famiglia, non si deve improvvisare.
- Ogni giorno perso in un atteso ed improbabile miglioramento ti fa sprofondare nelle sabbie mobile della polmonite
- Farsi prescrivere subito RX torace e prelievo Emogas sotto i 93- 90% di saturazione
- Non farsi prendere dal panico durante il primo periodo di ricovero in Pronto Soccorso, vero “passaggio agli inferi”
prima ti fai ricoverare, prima inizia l’inversione della curva di discesa
- Non mollare e pensa sempre di farcela anche nei momenti più drammatici

Cosa dobbiamo dire a tutti

- Imparate a difendervi bene con mascherine adeguate FFP2 e, nei posti più affollati, anche la visiera per proteggere gli occhi
- Monitorare ogni eventuale sintomo e non aspettare troppo per fare esami specialistici in caso di test positivo e persistenza della febbre
- Informare i giovani del loro enorme potenziale infettivo verso gli adulti nel caso di una loro positività, anche se per loro non rappresenta quasi mai un grosso problema
- I giovani devono conoscere le enormi sofferenze che possono arrecare ai loro parenti in caso di contagio e devono essere consapevoli del loro potenziale distruttivo
- Il Covid colpisce circa il 5% dei soggetti con tampone positivo nel modo che vi ho descritto. Di questo 5%, un 1% muore quasi subito, un altro 1% va in terapia intensiva a pancia in giù per essere intubato
- Non credere alla favola dei negazionisti sulla situazione non critica dei Pronto Soccorso

Chi non crede deve provare solo una notte e vedrai come si ricrederà.

Cosa non sappiamo degli ospedali

Ho personalmente riscontrato l’affollamento incredibile dei Pronto Soccorso, la gestione delle problematiche a livello di medicina di guerra, il convulso alternarsi di crisi e drammi personali, la mancanza di spazi, la mancanza di personale, la pressione delle ambulanze in attesa.

Bisogna far sapere che la crisi dei Pronto Soccorso non è una invenzione dei politici, né uno strumento per ottenere vantaggi per gli ospedali. È cruda e vera realtà, piena di sofferenze, di umanità piangente, di solitudine, d’isolamento e, alla fine, di disperazione.

I medici e gli operatori operano in una difficoltà incredibile, a cominciare dai sistemi di sicurezza che li espongono continuamente al contagio.
Chi di noi lavorerebbe 8 ore al giorno in un ambiente chiuso in cui sono affollati decine di positivi Covid con il massimo di carica batterica?
Lo fareste per 700 € / mese ?
Sì, gli addetti alla pulizia ed alle mansioni più semplici non sono dipendenti dell’ospedale, ma spesso sono cooperative che lavorano per conto dell’ospedale né più, né meno degli addetti alle pulizie dei supermercati.

I DPI che devono indossare rendono i loro movimenti difficili, li fanno sudare come in una sauna, non possono bere per non essere costretti troppo di frequente ad andare in bagno, cambiandosi e rivestendosi completamente, con enormi perdite di tempo e spreco di materiali. Di conseguenza molti usano pannoloni.

Ho visto gli occhiali appannati che rendono difficile dosare un’iniezione, aprire un rocchetto di garza adesiva, aprire una confezione sigillata con la plastica. Tre paia di guanti rendono insensibili le dita degli infermieri che fanno fatica a individuare le vene o le arterie per il prelievo, spesso ripetuto con enormi ematomi per il paziente. Le bende adesive che si appiccicano ai guanti ai camici, ti ci avvolgi dentro e non ne esci più.
C’è poca considerazione e riconoscenza per questi operatori sanitari e per questi medici.

Conclusione

Il Covid non è una semplice influenza, che presenta solo una piccola % di perdite accettabili.
Il Covid colpisce tutto il sistema sociale, le relazioni e la stabilità familiare.
Io credo che nessuno possa permettersi di accettare che “qualche anziano non produttivo“ possa essere sacrificato, pur di non ricorrere al lockdown.
Nessuno di noi vuole diventare un anello sacrificabile sull’altare del fatturato.
Perché tutti noi abbiamo un parente anziano e tutti noi amiamo la nostra famiglia.
Il Covid è il nostro nemico. Nemico di tutti.

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