05/03/2022
STOP WAR
Di seguito un articolo del teologo Vito Mancuso
SE VUOI LA PACE PREPARA LA PACE
Pubblicato il 2 marzo 2022
“Una giornata di preghiera e digiuno per la pace in Ucraina”: con queste parole Papa Francesco
ha invitato “tutti” a un gesto personale di partecipazione e solidarietà .
Per i cattolici logico,
visto che oggi il Mercoledì delle Ceneri quando essi sono già di per sè tenuti “all’astinenza e
al digiuno” (canone 1251 del Codice di Diritto Canonico). Ma quale può essere il valore
dell’appello per i laici, per i credenti non cattolici e anche per i cattolici “così così ” sempre più numerosi?
L’obiezione infatti sorge spontanea. A che serve il digiuno? “Si vis pacem, para bellum”, recita il
celebre adagio: “Se vuoi la pace, prepara la guerra”. E se invece voglio la guerra? La risposta
scontata: “Si vis bellum, para bellum”. Ne viene che, in ogni caso, che io voglia la pace o la
guerra, devo preparare la guerra, non digiunare e pregare. Penso che si spieghino così i 1981
miliardi di dollari della spesa militare globale del 2020, cifra record in progressivo aumento
ovunque nel pianeta, grazie a cui peraltro alcuni Stati, tra cui l’Italia, possono oggi aiutare la
resistenza ucraina inviando armamenti. Mi sembra di sentire cantare Antoine quand’ero
ragazzo: “Se sei bello, ti tirano le pietre, se sei brutto, ti tirano le pietre”. La guerra, come le
pietre, il nostro inesorabile destino?
Il Mercoledì delle Ceneri detto così perchè secondo il rito millenario il sacerdote impone
della cenere sul capo o sulla fronte dei fedeli e dice: “Ricordati che sei polvere e in polvere
ritornerai” (le parole di Dio ad Adamo mentre insieme a Eva lo cacciava dal paradiso terrestre,
cfr. Genesi 3,19). Ma occorre chiedersi: è proprio quello di cui “oggi” abbiamo bisogno? Dopo
oltre due anni di Covid, nel mezzo della guerra di Putin che mette a ferro e fuoco l’Ucraina
alludendo esplicitamente alla minaccia nucleare, con tutti i problemi che le sanzioni contro di
lui creeranno anche alla nostra economia, è davvero sensato parlare di “preghiera e digiuno”?
Non sarebbe più salutare seguire il più sereno consiglio di Lorenzo de’ Medici nei Canti
carnascialeschi secondo cui “chi vuol esser lieto, sia”, visto che tanto “di doman non v’è
certezza”?
Io non amo nè il Carnevale nè la Quaresima, sono attratto piuttosto dalla pacata regolarità
della saggezza classica, anzitutto socratica, la quale non sente il bisogno di eventi o momenti
straordinari ma aderisce alla logica modesta e ordinata delle cose nella sobrietà quotidiana, e
per questo non ricerca nè la crapula nè il digiuno. Tuttavia a volte la Storia bussa con incontenibile violenza e la coscienza ne viene sconvolta sentendosi obbligata a prendere
posizione, esteriormente e interiormente.
Esteriormente lo fa schierandosi contro l’invasore
in tutte le possibili forme e sostenendo le vittime con aiuti concreti a livello economico.
E interiormente? è mai possibile limitarsi a una dichiarazione, poi magari a una donazione, e
alla fine rimanere insensibili o addirittura darsi ai divertimenti come alcuni nostri politici
(noti amici di Putin) hanno fatto durante la prima notte di guerra? Io penso che il compito
della coscienza moralmente retta sia di rispondere all’appello della Storia generando
consapevolezza ed empatia, così da assumere su di sè un po’ del dolore del mondo
partecipandovi in prima persona.
“Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai”, ovvero “ricordati che devi morire”. Abbiamo
riso tutti alla scena del film di Benigni e Troisi quando i frati di Savonarola li ammonivano
proprio con queste parole e Troisi con quella sua indimenticabile timidezza rispondeva: “Ora
m’ho ‘o segno”. Lo sappiamo tutti che dobbiamo morire, l’umanità l’ha sempre saputo; anzi, si
può dire che siamo giunti a creare cultura proprio a partire da questa consapevolezza, amara
eppure luminosa, che ci distingue da ogni altro vivente. Da qui è nato il primo poema
dell’umanità , l’Epopea di Gilgameš , da qui gli antichi greci presero a chiamarsi proprio così, “i
mortali”, Platone riassumeva lo scopo della filosofia come “imparare a morire”, Seneca lo
ripeteva con insistente dolcezza all’amico Lucilio. Oggi a Kyiv e nelle altre città ucraine ci
pensano le bombe di Putin a somministrare notte e giorno questo insegnamento filosofico.
Quanti sono i civili finora ammazzati? Quanti i soldati ucraini? Quanti i soldati russi? Quanti gli
esseri umani ridotti in cenere dalla sanguinosa liturgia del Sommo Sacerdote del Cremlino?
Ma se la sapienza insegna a imparare a morire, noi però , nel frattempo, viviamo. Ebbene, che
cosa significa vivere da esseri umani qui e ora, in modo da risultare all’altezza di questi giorni
che ci ricordano così intensamente il nostro destino? Sostanzialmente due cose: capire e amare.
Ognuno di noi è intelligenza e volontà , e, se usate bene, l’intelligenza capisce e la
volontà ama.
Di conseguenza, vivere da esseri umani significa usare bene l’intelligenza
ottenendo conoscenza e usare bene la volontà generando amore.
Ieri ricorreva il decimo anniversario della morte di Lucio Dalla, di cui ho avuto la fortuna di
essere amico, e mi vengono in mente le parole di una canzone del 1993 scritta durante la
guerra balcanica, Henna: “Io credo che il dolore, che è il dolore che ci cambierà ”. Il dolore
opprime, si sa, ma può anche insegnare. E' una consapevolezza antica, Eschilo parlava di una
legge istituita da Zeus secondo cui “con il dolore si impara” (Agamennone, 411). Che cosa si
impara guardando in faccia il dolore dei viventi? Che oltre alla ragione che logicamente
continua a dichiarare “Si vis pacem, para bellum”, c’è in noi un'altra facoltà , spegnendo la quale
si cade nel cinismo più cupo e che possiamo chiamare fiducia o solidarietà , la quale replica:
“Se vuoi la pace, prepara la pace”. In che modo? Iniziando a diventarla tu stesso.
Per questo io penso che abbia senso accogliere l’invito del Papa al digiuno per la pace in Ucraina, a
prescindere dalla fede e a prescindere da come lo si pratichi: se rimanendo del tutto senza
cibo, o diminuendolo, o mediante altre forme di astinenza. L’importante assumere su di sè
un po’ del dolore del mondo e trasformarlo in conoscenza e in amore.