
23/09/2025
Oggi l’Italia si è bloccata perché centinaia di migliaia di persone hanno deciso di fermarla con le proprie mani.
Un paese che si rifiuta di continuare come se niente fosse mentre a Gaza si consuma un genocidio con la complicità italiana.
E cosa fanno i giornali? La Stampa apre con i “disordini”. Il Corriere mette in prima pagina i feriti tra gli agenti. Repubblica conta i fermati e parla di "guerriglia". Non una parola sull’enormità politica e morale dell’accaduto.
Quello che ha davvero allarmato cos'è? È semplice: vedere in piazza persone che mai avevano scioperato in vita loro.
La violenza è diventata il pretesto perfetto per evitare di confrontarsi con la vera domanda che questa mobilitazione pone: cosa significa quando cittadini "normali", che non hanno mai partecipato a una protesta, decidono che non possono più accettare la complicità del loro paese in un genocidio? Cosa significa quando persone che hanno sempre rispettato le regole decidono che alcune regole non meritano più di essere rispettate?
Siamo di fronte a un’operazione mediatica precisa: trasformare una manifestazione popolare in un caso di ordine pubblico. È la tecnica più vecchia del potere: spostare l’attenzione dalla causa alla conseguenza, dalla violenza invisibile di uno Stato che arma un genocidio alla violenza visibile di chi non accetta più di esserne complice.
Perché qui sta il punto. La vera violenza non è quella delle barricate. La vera violenza è il silenzio con cui accettiamo che le armi tricolori facciano a pezzi i corpi dei bambini palestinesi, che le forniture militari e gli accordi tecnologici scorrano regolari, e le relazioni diplomatiche coprano di legalità l’illegalità più radicale.
Il problema sono gli indifferenti: quelli che continuano come se nulla fosse, che preferiscono lamentarsi del traffico piuttosto che guardare in faccia un genocidio. Il problema è chiedersi quale altra lingua resta quando ogni appello, ogni manifestazione pacifica, ogni petizione cadono nel vuoto.