elenarenzi_psicologa

elenarenzi_psicologa Mi chiamo Elena Renzi e sono psicologa e psicoterapeuta.

Nuova collaborazioneNuovo studioPresso centro Ethos Rimini
24/05/2023

Nuova collaborazione
Nuovo studio
Presso centro Ethos Rimini

Come riconoscere l’autolesionismo negli adolescenti e cosa fare.
03/08/2022

Come riconoscere l’autolesionismo negli adolescenti e cosa fare.

Stefano Vicari - Neuropsichiatra : "Per riconoscere tempestivamente il problema dell'autolesionismo, i genitori devono sapere che le parti del corpo più soggette a tagli, graffi o bruciature sono le braccia e le gambe, ma anche parti più nascoste come piedi e parti intime. Gli oggetti più utilizzati per ferirsi sono lamette, taglierini o accendini. Alcuni adolescenti prendono a pugni le pareti fino a provocarsi fratture alle mani. Tra i vari campanelli di allarme, è bene fare attenzione ai cambiamenti repentini dell’umore, non innescati da eventi particolari: ad esempio, il rapido passaggio da una condizione di benessere e tranquillità ad uno stato di tristezza, nervosismo e aggressività o ad eventuali reazioni di rabbia e chiusura che i ragazzi potrebbero avere quando sorpresi a cambiarsi in camera o in bagno. Per il timore di essere scoperti essi potrebbero nascondersi o vestirsi con abiti che coprano le lesioni autoinflitte o evitare di scoprire determinate parti del corpo anche d’estate. Il genitore che coglie uno o più di questi segnali dovrebbe evitare di reagire in maniera aggressiva nei confronti del ragazzo, limitando giudizi o critiche negative (“mi hai deluso”, “non sai controllarti”). È molto più utile aprire un dialogo che comprenda accoglienza delle emozioni e del disagio che il ragazzo prova. È anche utile concordare insieme una richiesta d’aiuto a professionisti esperti come neuropsichiatri infantili o psicoterapeuti".
Per ulteriori informazioni leggi l'intervista 👇
https://it.aleteia.org/2021/06/15/autolesionismo-adolescenti-spiegato-genitori/

La mente mente.Ciò che la mente ci racconta non corrisponde quasi mai alla realtà come invece saremmo inclini a credere....
30/07/2022

La mente mente.
Ciò che la mente ci racconta non corrisponde quasi mai alla realtà come invece saremmo inclini a credere. Ma sono insiti nella sua natura alcuni processi noti come bias cognitivi (o errori di pensiero). Nessuno ne è esente.

E fin qui nulla di male, se non fosse che tali distorsioni hanno un impatto, a volte anche molto potente, sul modo in cui ci sentiamo, ci relazioniamo con gli altri e prendiamo decisioni.

La funzione di questi processi come sempre ha un suo perché.
Ci permette di ridurre l’indecifrabile caos che è la realtà e mettere un ordine apparente alle situazioni che ci capita di vivere.

Le informazioni a cui siamo esposti sono troppe per elaborarle tutte in modo dettagliato. E così il cervello vuole fare economia. Per farlo utilizza delle scorciatoie note come euristiche, che se da un lato aiutano a decidere più rapidamente, dall'altro possono condurci in alcuni errori di pensiero, i bias appunto.

Imparare a riconoscerli permette di creare maggior distanza dal proprio modo di pensare e mettere così in discussione il fatto che quello che pensi sia la realtà.

Alcuni bias cognitivi:
- Pensiero bianco/nero
- Catastrofizzazione
- Doverizzazioni
- Ragionamento emotivo
- Sminuire positivo
- Etichettamento
- Personalizzazione
- Astrazione selettiva
- Minimizzare

“Nella vita sono molte le cose che passano, si trasformano, se ne vanno. Il sonno finisce. Una piccola ferita guarisce (...
19/06/2022

“Nella vita sono molte le cose che passano, si trasformano, se ne vanno. Il sonno finisce. Una piccola ferita guarisce (quasi) senza lasciare traccia. I pensieri grigi di ieri svaniscono, così come si asciugano le lacrime. Le foglie cadono come a volte i capelli e i denti da latte.”

La vita è fatta di parentesi di tempo che spariscono, trascorrono o mutano.

Questo poetico albo illustrato offre l'occasione per riflettere, attraverso le immagini, sul cambiamento.

Tutto scorre diceva Eraclito. Ogni cosa è destinata a cambiare. Nulla rimane mai uguale a se stesso e la natura ce lo insegna ogni giorno attraverso i mutamenti dei suoi colori e delle sue forme.

Eppure ci sono persone che si ostinano a ripetere "io sono fatto così" impedendo a se stessi ogni possibilità di cambiamento e di crescita personale. Come se l'idea che hanno di se stessi fosse statica, granitica, immutabile.
Come se la natura per loro avesse fatto un'eccezione.

“Nessuno può ba****si nello stesso fiume per due volte, perché né l'uomo né le acque del fiume saranno gli stessi."

Posso fidarmi di te? È questa la domanda che ci risuona a livello viscerale quando entriamo in una relazione.La fiducia ...
05/06/2022

Posso fidarmi di te?
È questa la domanda che ci risuona a livello viscerale quando entriamo in una relazione.

La fiducia fa parte delle fondamenta cementifere di ogni relazione pulsante. Non ne è esente quel rapporto molto particolare che è la relazione terapeutica.
Ma fidarsi è difficile e per chi ha sperimentato l’incertezza nelle relazioni primarie lo è ancora di più.

È un po’ come quell’esercizio di teatro in cui ci si lascia cadere all’indietro sperando che l’altro alle nostre spalle ci sorreggerà.

Così costruiamo dei pensieri impalcatura sopra i quali la fiducia possa sorreggersi.

Se mi menti allora non mi posso fidare.
Se non fai quello che ti chiedo allora non sono importante.
Se non mantieni la parola data, se non tieni il segreto, se mi sento giudicato allora non mi potrò fidare.

Alcune persone hanno sperimentato nelle loro storie personali diversi tradimenti. Possiedono dei bambini interni con ferite profonde che si portano a spasso nella vita e che ogni volta che si avvicinano a qualcuno un po’ di più, si fanno sentire.

E lo stesso avviene in terapia.

Alcuni percorsi iniziano così, a piccoli passi incerti.
Ricordo una donna, che vidi durante il tirocinio, per i primi colloqui tenne la borsa sulle gambe come a voler creare un confine immaginario che segnalasse “oltre qui non ti puoi spingere”.

Solo dopo aver sentito che la terapeuta aveva fiducia per tutte e due, decise di abbassare la borsa, permettendoci di entrare nelle sue stanze interne.

Prendersi cura dell'altro è un nobile intento, ma a volte la troppa protezione può rischiare di essere limitante, impedi...
30/05/2022

Prendersi cura dell'altro è un nobile intento, ma a volte la troppa protezione può rischiare di essere limitante, impedire la crescita verso l'indipendenza e l'autonomia. Lo sono un esempio i bambini visti troppo o tenuti sotto la famosa campana di vetro.

C'è una storia che mi ha molto colpito che esprime splendidamente questo messaggio. La storia della farfalla.

Un giorno, un contadino vide il bozzolo di una farfalla. Era completamente chiuso ad eccezione di una piccola fessura. Guardando attraverso il buchino, il contadino intravide la piccola farfalla che si dimenava con tutte le sue forze tentando di uscire.
Osservò a lungo i suoi sforzi per uscire dal bozzolo ma nonostante ce la mettesse tutta i progressi erano minimi.

Così, il contadino decise di aiutarla e allargò il buco del bozzolo con un coltellino.
Ma quando la farfalla uscì fuori, non aveva sviluppato muscoli abbastanza forti per volare. E così rimase a terra, sbattendo di qua e di la. Il contadino imparò così una lezione: la farfalla per volare, aveva bisogno di sperimentare il bozzolo restrittivo e la lotta dolorosa.

Questo è quanto accade in alcune relazioni, dove il prendersi cura dell’altro diventa eccessivo.
E l'intenzione positiva di proteggere l'altro dal mondo finisce per renderlo insicuro e incapace di spiccare il volo con le proprie forze.

"Nel giorno in cui nasci, una nuova storia ha inizio. Un libro di pagine bianche in attesa di essere scritte viene conse...
26/05/2022

"Nel giorno in cui nasci, una nuova storia ha inizio.
Un libro di pagine bianche in attesa di essere scritte viene consegnato ai tuoi genitori.

Per i primi anni della tua vita, le esperienze fatte vengono scritte su quelle pagine vuote. I tuoi genitori o gli adulti che ti hanno cresciuto sono gli autori dei primi capitoli.

Con il passare del tempo, altri "autori" iniziano a scrivere una parte della storia. Fratelli, insegnanti, amici e compagni hanno tutti contribuito al tuo libro.

Le nostre storie definiscono chi siamo e dove stiamo andando, colorano la lente attraverso cui osserviamo il mondo.

Possiamo lasciare fino all'età adulta che siano gli altri a riempire le nostre pagine, mentre noi pigramente restiamo a guardare oppure possiamo diventare autori delle nostre storie e mettere in discussione ciò che è stato scritto dagli altri senza il nostro permesso.

Proprio come in un manoscritto, potresti prendere una penna rossa e correggere gli errori, per rifinire e migliorare la narrazione, così puoi portare alla luce la tua storia e fare le correzioni necessarie dove trovi gli errori che ti stanno bloccando.

Non hai nessun potere su quelle pagine riempite dalla tua famiglia nei tuoi primi giorni, ma adesso hai il controllo delle percezioni di quei primi capitoli e di chi li ha scritti."
Rebecca Eanes

Per molte persone prendere decisioni è difficile.Scegliere significa fare i conti con le proprie paure: paura di prender...
17/03/2022

Per molte persone prendere decisioni è difficile.
Scegliere significa fare i conti con le proprie paure: paura di prendere la decisione sbagliata, paura dell’ignoto, ecc.

L’etimologia della parola come succede spesso ci viene in aiuto, decidere (de: da, cidere: tagliare) significa da tagliare.
Ed è questo che spesso ci blocca nel decidere.
Non vorremmo dover rinunciare a nulla. Eppure scegliere significa anche perdere qualcosa.

E così si finisce per rimanere intrappolati nella paralisi dell’analisi. Quel processo in cui si pensa e si ripensa, si analizza ossessivamente ogni dettaglio e si finisce per restare “paralizzati” nel non decidere.

Anni fa, all'antropologa Margaret Mead venne chiesto da una studentessa quale riteneva essere il primo segno di civiltà ...
13/03/2022

Anni fa, all'antropologa Margaret Mead venne chiesto da una studentessa quale riteneva essere il primo segno di civiltà in una cultura.

La studentessa si aspettava che la Mead parlasse di ami da pesca, vasi di argilla o pietre per levigare.

Mead disse invece che il primo segno di civiltà in un'antica cultura era un femore che era stato rotto e poi guarito.

“Nel regno animale, se ti rompi la gamba, muori. Non puoi scappare dal pericolo, andare al fiume per bere qualcosa o cercare cibo. Nessun animale sopravvive ad una gamba rotta abbastanza a lungo da guarire l'osso.

Un femore rotto che è guarito è la prova che qualcuno si è preso del tempo per stare con colui che è caduto, ha legato la ferita, ha portato la persona in sicurezza e l’ha curata durante la riabilitazione.

Aiutare qualcun altro a superare le difficoltà, prendersi cura dell’altro è dove inizia la civiltà.”

Anche in questo momento, in cui stanno accadendo eventi terribili, la differenza la fa chi non resta solo spettatore passivo, ma sceglie dì prendersi cura dell’altro e aiutarlo per come può.

Il cuore si corazza contro il dolore, è coperto da un guscio, è compresso, è incapace di respirare, ma la vera natura de...
24/02/2022

Il cuore si corazza contro il dolore, è coperto da un guscio, è compresso, è incapace di respirare, ma la vera natura del cuore è come il sole, che continua a splendere anche se è nascosto dalle nuvole.

Inspirare l’oscurità dissolve la spessa coltre di nuvole. Allora il sole della compassione può splendere senza impedimenti.

Pema Chodron

Quando ho scelto il nome "Il rifugio" ho pensato al concetto del luogo sicuro. Cos'è un posto sicuro?Un posto dove ci se...
17/02/2022

Quando ho scelto il nome "Il rifugio" ho pensato al concetto del luogo sicuro.

Cos'è un posto sicuro?

Un posto dove ci sentiamo protetti dal mondo esterno, dove ci possiamo rifugiare quando le cose non vanno come vorremmo, un luogo (fisico o immaginario) che ci aiuta a calmarci.

I luoghi sicuri possono assumere diverse forme.
Possono essere un posto, un oggetto, un abbraccio, un profumo.
Io ho trovato il mio posto sicuro nella natura.

Quando ero bambina il mio “rifugio” era un albero di ciliegie su cui mi piaceva arrampicarmi, giocare, nascondermi e quando ce n’erano farmi una scorpacciata di ciliegie 🍒

Quando sono cresciuta, sono tornata più volte in questo posto per me speciale. Ci tornavo quando discutevo con i miei genitori, quando avevo delle delusioni o qualcosa mi faceva sentire fuori posto.

Qualche anno fa, durante una formazione di gestalt play therapy, ci chiesero di immaginare il nostro luogo sicuro da bambini e poi di disegnarlo. Ancora una volta immaginai la natura.

Avrò avuto circa 7 anni, sdraiata in un campo di ranuncoli e margherite, l’erba mossa dal vento mi faceva il solletico, il sole che mi scaldava la pelle e la sensazione piacevole di avere un cielo di montagna sopra la testa.

Questo per dire che il rifugio può assumere diverse forme ma fondamentalmente rimane un luogo vicino al cuore, un posto in cui siamo stati felici, un posto in cui possiamo sentirci protetti e al sicuro come ci si sente tra le braccia di qualcuno che ci ama.

Per un bambino piccolo il luogo sicuro può essere la tenda degli indiani, per un ragazzino può essere anche il gruppo di amici, per un adulto può essere tornare in un luogo in cui è stato felice.

Adulto è colui che ha curato le ferite della propria infanzia, riaprendole per vedere se ci sono cancrene in atto, guard...
09/02/2022

Adulto è colui che ha curato le ferite della propria infanzia, riaprendole per vedere se ci sono cancrene in atto, guardandole in faccia, non nascondendo il bambino ferito che è stato, ma rispettandolo profondamente riconoscendone la verità dei sentimenti passati, che se non ascoltati diventano presenti, futuri, eterni.

Adulto è colui che smette di cercare i propri genitori ovunque, e ciò che loro non hanno saputo o potuto dare.

Adulto è chi si assume le proprie responsabilità, ma non quelle come timbrare il cartellino, pagare le bollette o rifare le lavatrici. Ma le responsabilità delle proprie scelte, delle proprie azioni, delle proprie paure e delle proprie fragilità.

Responsabile è chi prende la propria vita in carico, senza più attribuire colpe alla crisi, al governo, alla società malata, ai piccioni che portano le malattie e all’insegnante delle elementari che era frustrata.

Sembrano adulti ma non lo sono affatto.
Chi da bambino è stato umiliato, chi ha pensato di non esser stato amato abbastanza, chi ha vissuto l’abbandono e ne rivive costantemente la paura, chi ha incontrato la rabbia e la violenza, chi si è sentito eccessivamente responsabilizzato, chi ha urlato senza voce, chi la voce ce l’aveva ma non c’era nessuno con orecchie per sentire, chi ha atteso invano mani, chi ha temuto le mani:

per tutti questi “chi”, se non c’è stato un momento di profonda rielaborazione, se non si è avuto ancora il coraggio di accettare il dolore vissuto, se non si è pronti per dire addio a quel bambino, allora “l’adultità” è un’illusione.

Ciò che separa il bambino dall’adulto, è la consapevolezza.
Ciò che separa l’illusione dalla consapevolezza è la capacità di sostenere l’onda d’urto della deflagrazione del dolore accumulato.

Ciò che rimane dopo che il dolore è uscito è amore, empatia, accettazione e leggerezza.

Non si può essere adulti se nessuno ha visto il bambino che siamo stati, noi per primi.

Adulto è colui che ha preso in carico il bambino che è stato e ne è diventato il padre e la madre.

Emily Mignanelli

(Illustrazione di Silvia Montanari)

Quando lavoro con i bambini e le famiglie uno dei mediatori che mi piace utilizzare è il disegno.Il mio preferito è quel...
03/02/2022

Quando lavoro con i bambini e le famiglie uno dei mediatori che mi piace utilizzare è il disegno.
Il mio preferito è quello dei 4 rubinetti (tecnica ideata dalla psicologa americana Lynn Stadler).

Ogni rubinetto rappresenta un’emozione, quelle principali: paura, gioia, tristezza, rabbia.

Chiedo al bambino e alla famiglia di disegnare come “scaricano” i loro rubinetti. Se hanno un flusso intermittente, se sgocciolano, se scrosciano, ecc.

Ma a volte capita che alcuni rubinetti siano spenti, rotti, non funzionanti.
C’è chi dice dì non provare paura, chi pensa dì essere sempre felice, chi non sente la rabbia e chi non vuol vedere la tristezza.

Quando mi accorgo che un rubinetto non funziona lo faccio notare. A volte i bambini si stupiscono quando scoprono che anche i loro genitori provano paura.

Eppure queste emozioni le proviamo tutti. E le proviamo tutte. Spesso sono così veloci che neppure ce ne accorgiamo. Tutte le emozioni sono utili e tutte vanno bene. Anche quelle spiacevoli.

Ma la verità è che spesso non sappiamo come ci sentiamo. A volte perché non sappiamo dare un nome a quello che proviamo, altre volte perché non siamo in ascolto di cosa vuole dirci il nostro corpo e finiamo così per “reagire” e restare in balia del loro influsso.

Sono una persona che piange.Mia mamma racconta che quando ero piccola i miei occhi spargevano lacrime come i getti di un...
27/01/2022

Sono una persona che piange.
Mia mamma racconta che quando ero piccola i miei occhi spargevano lacrime come i getti di una fontana.
Lacrime di rabbia, di commozione, di dolore.

Il pianto emotivo ha diverse funzioni regolatrici, tra cui quella di aiutare a calmarsi.
Eppure capita spesso di incontrare persone che chiedono scusa quando piangono,
che si vergognano di mostrare agli altri le loro lacrime.

La mente torna a quelli che possono essere stati i messaggi che abbiamo ricevuto da bambini in risposta al nostro pianto:
"non è niente", "smetti di piangere", "i maschi non piangono", "non si mostrano le emozioni in pubblico"

e si finisce per formarsi l'idea che piangere significa essere fragili, deboli, vulnerabili.
Così per alcuni la capacità di far uscire le lacrime si spegne e queste rimangono lì, bloccate come un nodo in gola.

Le lacrime sono importanti per la connessione umana, ponte per compassione ed empatia. Piangiamo perché abbiamo bisogno delle altre persone.

Quindi meglio se piante insieme a qualcuno di cui ci fidiamo.

Fai la brava! Come sei bravo! E se non faccio la brava cosa succede? Mi amerai lo stesso? Mi terrai con te?Nel lavoro co...
19/01/2022

Fai la brava! Come sei bravo!

E se non faccio la brava cosa succede? Mi amerai lo stesso? Mi terrai con te?
Nel lavoro come educatrice mi accorgo spesso di quante volte venga spontaneo usare il termine “bravo” per premiare nel bambino il comportamento che si desidera da lui.

Questo per alcuni bambini finisce per diventare il mezzo attraverso il quale ottenere amore.
Se sarò bravo allora mi amerà.
… che da adulto si può tradurre in "se farò tutte le cose in modo perfetto...", "se non mi arrabbierò ...", "se farò tutto quello che l'altro mi chiede..." ... ALLORA MI AMERÀ .

Il bisogno di amore è quanto di più importante per un bambino e così certi bambini capiscono in fretta che questo “fare il bravo” è il modo per essere amati. Ma l’incarnare il bambino ideale ha un prezzo … quello di sacrificare le parti più autentiche di sé. E pensare che vale solo se sono gli altri a pensarlo.

Qual è la distanza che dovremmo tenere dagli altri per non restare feriti? E non sto parlando del distanziamento sociale...
15/01/2022

Qual è la distanza che dovremmo tenere dagli altri per non restare feriti?
E non sto parlando del distanziamento sociale, ma di quello per proteggerci dalle ferite psicologiche.
Il dilemma dei porcospini di Schopenauer può stimolare delle riflessioni in questo senso.

🦔🦔 “Alcuni porcospini, in una fredda giornata d’inverno, si strinsero vicini, per proteggersi, col calore reciproco, dal rimanere assiderati. Ben presto, però, sentirono il dolore delle spine reciproche; il dolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo l’uno dall’altro.
Quando poi il bisogno di scaldarsi li portò di nuovo a stare insieme, si ripeté quell’altro malanno; di modo che venivano sballottati avanti e indietro tra due mali: il freddo e il dolore.
Tutto questo durò finché non ebbero trovato una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore posizione.”

Quello che avviene tra i porcospini della storia di Schopenhauer è un po' quello che succede quando due esseri umani si avvicinano tra loro. Qualcosa dell'altro ci attrae e ci avviciniamo per guardare meglio questa bellezza e sentirne il calore.

Ma avvicinarsi all’altro ci espone alle spine.
È quando si entra in maggior intimità con una persona, infatti, che si rischiano i dolori più profondi.
E così, per non correre il rischio di essere feriti può capitare di tenersi alla larga dal calore.


Adoro gli albi illustrati! Quando voglio farmi un regalo entro nella mia libreria preferita e ne prendo uno.Oggi ne ho s...
05/01/2022

Adoro gli albi illustrati!
Quando voglio farmi un regalo entro nella mia libreria preferita e ne prendo uno.
Oggi ne ho scelto uno speciale. “Il buco” di Anna Lennas.

A tutti può capitare, in alcuni momenti della propria vita, di sentirsi come Giulia, la bambina protagonista di questo libro, che tutto d’un tratto si ritrova con un enorme buco nella pancia.

Questo buco non le piace per niente. Da lì passa il freddo della tristezza ed escono mostruose paure.

"La vita è piena di incontri. E anche di perdite. Alcune insignificanti, come quando si perde una matita o un foglietto. Ma alcune sono importanti, come la perdita di qualcosa a cui si tiene, della salute o di qualcuno che si ama."

Quando si perde qualcuno di importante, sia un lutto o una rottura di una relazione, capita di sentire il buco.
Non sono sensazioni piacevoli e per non sentirle si cercano dei tappi per chiudere il buco, per colmare il vuoto.

E così si cerca una "soluzione" a questo dolore. Ognuno ha la sua personale ricetta: cibo, fumo, shopping, relazioni sbagliate.
Ma così il buco diventa sempre più grande. Fino a quando non si smette di cercare fuori e si inizia a guardarci dentro.

E così si scopre che in realtà quel vuoto è pieno di sorprese e cose da dirci.

(Nella foto Mandorla, il mio tappo buono)

Conosco delle barcheche restano nel porto per paurache le correnti le trascinino via con troppa violenza.Conosco delle b...
02/01/2022

Conosco delle barche
che restano nel porto per paura
che le correnti le trascinino via con troppa violenza.

Conosco delle barche che arrugginiscono in porto
per non aver mai rischiato una vela fuori.
Conosco delle barche che si dimenticano di partire
hanno paura del mare a furia di invecchiare
e le onde non le hanno mai portate altrove,
il loro viaggio è finito ancora prima di iniziare.

Conosco delle barche talmente incatenate
che hanno disimparato come liberarsi.

Conosco delle barche che restano ad ondeggiare
per essere veramente sicure di non capovolgersi.
Conosco delle barche che vanno in gruppo
ad affrontare il vento forte al di là della paura.

Conosco delle barche che si graffiano un po’
sulle rotte dell’oceano ove le porta il loro gioco.
Conosco delle barche
che non hanno mai smesso di uscire una volta ancora, ogni giorno della loro vita
e che non hanno paura a volte di lanciarsi
fianco a fianco in avanti a rischio di affondare.

Conosco delle barche che tornano in porto lacerate dappertutto,
ma più coraggiose e più forti.
Conosco delle barche straboccanti di sole
perché hanno condiviso anni meravigliosi.

Conosco delle barche che tornano sempre quando hanno navigato.
Fino al loro ultimo giorno,
e sono pronte a spiegare le loro ali di giganti
perché hanno un cuore a misura di oceano.
Jacques Brel

Conoscete le vostre paure? E cosa fate quando le riconoscete? Spesso davanti alla paura si fugge ma questo non fa altro che renderla più forte. E così la barca rimane ferma in porto senza la possibilità di vedere nuovi orizzonti.

Indirizzo

Rimini

Orario di apertura

Lunedì 14:30 - 19:00
Martedì 14:30 - 19:00
Mercoledì 14:30 - 19:00
Giovedì 14:30 - 19:00
Venerdì 14:30 - 19:00
Sabato 09:00 - 17:00

Telefono

+393898310430

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