31/07/2025
"All' epoca era troppo piccola per capire la vita, e ovviamente non aveva i mezzi per essere autonoma, perciò ogni volta che sentiva parlare delle circostanze critiche della sua nascita, avvertiva un senso di minaccia incombente, come se la sua stessa esistenza potesse sparire da un momento all'altro. Ma ora che e adulta e matura, ha acquisito forza. Può smettere di avere paura, di farsi piccola. Può alzare la voce. Occupi tutto lo spazio che vuole e raddrizzi la schiena!".
Da "L'ora di greco", di Han Kang,
pagina 51.
Vorrei commentare brevemente questo passo perché lo trovo un ottimo esempio di ciò che uno psicoanalista di solito non fa, o solo in rare situazioni in cui la struttura psichica del paziente lo consente.
Mi riferisco al dare minuziose spiegazioni e interpretazioni: questo non rilancia il lavoro, lo arresta piuttosto, rischiando così di fissare e chiudere l'elaborazione del paziente, che piuttosto ha bisogno di elaborare, dire, ridire, e trovare e costruire le sue risposte.
Rispetto al dire al paziente cosa fare e come, è piuttosto il paziente che deve costruire il suo modo di vivere, le sue soluzioni. Il terapeuta non è affatto un coach - ora tanto in voga - che ti dice cosa fare. Piuttosto il percorso terapeutico permette di trovare un altro punto di vista e di prospettiva, un alleggerimento di quei tentativi di soluzione precari e pesanti che il paziente si era costruito e che gli rendono la vita difficile, e di cogliere spesso la ripetizione che è in gioco: ciò che lo fa soffrire è già accaduto, è la riedizione di altro.
Nel testo citato dopo qualche mese la paziente decide di interrompere il percorso, e dopo un intervento del terapeuta che le dice "la capisco", la paziente gli risponde "No, non è così semplice".
I suddetti punti mi fanno dire Ahi ahi ahi terapeuta, ti sei messo in scacco da solo: ti sei messo nel vicolo cieco delle tue, non sue, elaborazioni, e di essere intervenuto in modo assertivo e imperativo.
PS è un libro profondo, che a me, una volta terminato, ha fatto ve**re voglia di rileggerlo per la sensazione di aver perso qualcosa, di non averne colto appieno la bellezza e complessità.