
20/07/2024
Assistiamo da qualche anno a un rinnovato interesse intorno al fenomeno psichedelico. Ne è testimonianza anche la riedizione in questi giorni de “L’esperienza psichedelica” di Timothy Leary (mio amore giovanile), così come la pubblicazione di altri libri sullo stesso tema. Timothy Leary si fece guida chiassosa della stagione psichedelica californiana, e nei suoi libri affastellò esperienze religiose di ogni tempo e di ogni latitudine sotto il denominatore comune dell’espansione della coscienza. Si rese guru pop e dette avvio a un movimento di esperienze del dionisiaco che influenzò per molti anni la contro-cultura americana. Il sussurrato uso di psichedelici ha coinvolto tutte le espressioni culturali, dalla musica all’arte, dalla filosofia alla psicologia, e coinvolgendo studiosi del calibro di Michel Foucault, Carl Gustav Jung e Giovanni Enrico Morselli. Della stagione psichedelica americana semplice è evidenziarne gli errori: errato è prodursi in apologie del dionisiaco tossico, errato fu l’agire di Leary nel farsi guru pop, ma fu anche eccessivo Nixon, quando lo qualificò come "la persona più pericolosa d'America".
Forse il vero errore del movimento psichedelico fu nella pretesa, che è anche l’ossessione dell’intera storia dell’Occidente, di trasformare tutto in tecnologia. Non c’è strumento tecnologico capace di riprodurre l’esperienza mistica e i suoi derivati. Già nel II secolo a.C., tra gli allievi yogin di Patañjali, circolava una parodia della mistica: “diventare leggero come una piuma, apparire ad altri a distanza, farsi piccolo come l’atomo o tanto grande da raggiungere il sole e la luna, far apparire e scomparire gli oggetti”. L’intento dei giovani yogin era quello di mostrare che l’esperienza mistica non sta nelle manifestazioni esteriori. Il misticismo non è questo e, purtroppo per Leary, non c’è alcuna tecnologia che possa riprodurlo.
Dal rinascimento psichedelico a cui stiamo assistendo, tuttavia, è scaturito un dibattito proficuo e interessante, che intercetta antichi temi filosofici, complementari alla neuroscienza più attuale e d’avanguardia. La psichedelia, al netto delle sue ingenuità, ha saputo riscoprire una delle più antiche verità: la coscienza non racchiude tutto il possibile; per dirla con Henri Bergson, “la principale funzione del cervello e degli organi percettivi non è produttiva ma eliminitiva”: quanto mistero, quanta oscurità e quanta magnificenza in tutto ciò che la mente ordinaria non sa cogliere.