
03/06/2024
Ultimamente ho avuto molto più a che fare, tra ospedale e cure palliative, con pazienti terminali.
Non bastano due righe per spiegare il senso di paura, di rabbia, di desolazione e di sconforto che sentono.
“Ora più che mai dobbiamo pensare a come sentirci vivi, non a come vivere”
Questo è ciò a cui siamo arrivati/e
E così, ad ognuno il suo: chi cammina nei corridoi, chi fa parole crociate, chi legge, chi telefona. Chi guarda il sole dalla finestra, chi canticchia.
Mi è arrivata tutta la potenza di questi colloqui. Più di tutti gli altri, sono sincera.
La morte mi ha sempre fatto una paura esagerata eppure ora che ci sto a contatto ogni giorno praticamente, sono riuscita a darle un senso. A spiegare ai miei pazienti che può diventare (con fatica) un inno alla vita. Un invito a non perderci nelle cose inutili, a capire cosa desideriamo e chi vogliamo accanto a noi.
“Ha ragione dottoressa, dobbiamo trovare ogni giorno qualcosa per cui sentirci vivi. Lo ricordi anche lei però che è giovane e sente sempre cose tristi”
Quanto è vero signora F. (83 anni - oncologica terminale)
E allora così ho fatto. Ho preso i miei demoni, la mia malattia, le mie ansie, la mia paura, ho chiuso lo studio due giorni e sono andata a sentirmi viva.
È stata la prima volta da quando sono rientrata (a mille, direi) a lavoro dopo l’intervento di asportazione dell’ .
È stata la prima volta dopo quel 2 febbraio, giorno delle dimissioni in cui son tornata a respirare.
È vero. Me ne dimentico spesso anche io. Ultimamente troppo presa dalle innumerevoli cose da fare.
E allora detto fatto F., Lei non lo saprà mai ma quel colloquio è stato fondamentale anche per me.
Prometto che dovrò farlo più spesso, esattamente come ho giurato a me stessa il giorno delle dimissioni.
E prometto che porterò ognuno di voi con me ogni volta che farò qualcosa che mi farà sentire viva.
Grazie F., ricorderò sempre quegli occhi pieni di vita e quel sorriso meraviglioso nonostante tutto. A dimostrazione che davvero “c’è sempre un motivo per vivere” 🩷