14/09/2023
Dovremmo riempire le strutture di bellezza.
Arte, libri, spettacoli, cultura....vita!
Le RSA dovrebbero essere riempite di vita perché le persone che le abitano sono ancora vive.
Malate, a volte sole, in difficoltà a muoversi o a pensare, spesso entrambe. Ma sono vive.
E possono ancora godere delle cose belle, se gliene offriamo l'occasione.
La miglior assistenza sanitaria serve, ma non basta. Buoni esami, lenzuola pulite e alimentazione entro i paramenti sono un pezzo della cura, fondamentale, il primo punto imprescindibile ma, io credo, non sufficiente.
Mi interrogo e mi chiedo in continuazione...basta una salute curata se poi il mio tempo trascorre tra la poltrona e il letto, con un ronzio di TV sullo sfondo e una tombola a settimana?
In questo continuo ammodernamento di procedure e macchinari, di protocolli e tecnicismi...dove sta la vita che resta?
Come si esprime la persona, lo straordinario bagaglio di esperienze, idee e speranze che ha coltivato nella vita?
Dove va la diversità che tutti ci caratterizza e che da vecchi, per la semplice somma delle esperienze, dovrebbe crescere e non diminuire?
Come possono individui che nella vita hanno amato, pensato e agito in modi radicalmente diversi tra loro uniformarsi così profondamente quando entrano in struttura?
Li vedo li, fermi in fila tra carrozzine e poltrone e mi interrogo, soprattutto sulle persone ancora lucide.
La demenza, con il suo carico di sventura, un po' le differenze le livella e un po' le accentua, ma leva anche una bella fetta di consapevolezza e richiede tempi lenti, che meglio si sposano con la lentezza e l'alternarsi di vuoto e di pieno tipico della vita nelle strutture [purché tutto questo sia accorto, intendiamoci].
Ma, mi chiedo, chi è lucido abbastanza da conservare le proprie idee e i propri desideri, come abita il tempo infinito in struttura?
Perché ce ne sono molte persone in struttura che conservano buona lucidità.
Dove vanno tutte le loro aspirazioni, i loro interessi, le cose che prima (di entrare) amavano fare?
Non è mica vero che la malattia cancella anche questo.
Dover rinunciare a pezzi della propria identità è una fatica nella già grande fatica di ambientarsi. Ed è un tema cardine che inevitabilmente emerge nei colloqui dei primi tempi, ma anche dopo.
Alcune strutture l'hanno compreso e sempre più spesso leggo di iniziative che provano a portare il bello dentro le RSA.
Spettacolo teatrali, mostre, cinema, pizzate di gruppo, circoli di lettura e molto altro iniziano ad entrare nelle strutture, merito spesso di educatori pionieri che sprezzanti del pericolo abbandonano le rassicuranti tombole plenarie per avventurarsi su attività più vicine alla quotidianità "fuori", qualcuno persino dopo le 18! Che per molti non è notte ma quasi, in struttura.
E a me si scalda il cuore nel leggere ogni cosa che prova ad andare oltre, perché qui ci vedo una chiave di volta per tutto il sistema.
È forse nella cura delle diversità, nel differenziare il più possibile le occasioni di socialità e divertimento, nel coltivare il bello anche in RSA che riusciremo a trasformarle in luoghi di vita, oltre che posti dove concluderla?
È nel renderli luoghi belli da abitare nonostante il motivo per cui li si abita, che possiamo creare spazi di vita senza levare dignità alla malattia e alla morte?
Non possono forse queste due dimensioni convivere tra loro quando pensiamo e progettiamo la quotidianità delle strutture?
Io credo di sì.
O per lo meno credo che così avremmo più speranze di umanizzare le strutture e su questo mi interrogo molto.
E provo ad interrogare anche voi.
(Disclaimer: in struttura non ci sono soldi, non c'è personale, non c'è tempo. Lo so, ci lavoro e ci sbatto il naso di continuo. Ed è una grossissima piaga che rischia di fiaccare anche l'animo più indomito.
Ma, ma...questo non annulla il resto dei bisogni. E se bisticciamo tra poveri su dove ti**re la coperta, si rischia di non vedere che il problema non è cosa coprire prima, perché tutte le parti hanno uguale diritto di essere coperte.
Il problema, forse, è che ci stanno dando una coperta troppo corta.)