Annalisa Mantovan Psicologa

Annalisa Mantovan Psicologa ALICE MILLER Il mio approccio di terapia è collaborativo, empatico e non giudicante.

Psicologa, psicoterapeuta, Terapeuta EMDR
Terapeuta Dipendiamo


Cos’è davvero la dipendenza? È un segno, un segnale, un sintomo di sofferenza.
È un linguaggio che ci parla di un dolore da comprendere. Sono fermamente convinta che la relazione terapeutica possa fornire una base sicura e affidabile entro la quale esplorare i propri vissuti. Come specialista del trauma, offro un trattamento a persone che hanno subito abusi fisici, sessuali e / o emotivi. Psicologa, Psicoterapeuta e Terapeuta E.M.D.R. , CFT e svolgo la mia attività a Roma, in studio e con terapie online. Lavoro con bambini, adolescenti, adulti e il mio obiettivo è aiutare le persone a migliorare il loro benessere emotivo e relazionale.

Una paziente racconta in terapia:“So che questa relazione mi ferisce, ma se finisse mi sentirei persa. Quando non ricevo...
20/08/2025

Una paziente racconta in terapia:
“So che questa relazione mi ferisce, ma se finisse mi sentirei persa. Quando non ricevo risposta dall’altro, provo un vuoto che mi fa temere di non esistere più”.
Questo vissuto illustra bene la dipendenza affettiva patologica. Come osservano Iannucci e colleghi (2021), in queste relazioni “il partner viene vissuto come un oggetto nutriente esclusivo e sempre a rischio di perdita, mentre il sé è percepito come eternamente bisognoso, incapace di auto-sostenersi”.
La dinamica presenta caratteristiche comuni alle altre forme di dipendenza: la vicinanza dell’altro funziona come ricompensa, la tolleranza cresce (serve sempre più conferma e presenza), e l’assenza scatena vere e proprie crisi di astinenza emotiva.
Per questo, non è raro che la persona resti legata anche in contesti abusanti: “la vittima, pur soffrendo, fatica a interrompere la relazione, poiché l’altro diventa insieme fonte di dolore e unico contenitore del proprio vuoto”.
Il lavoro terapeutico non consiste nel ridurre l’amore, ma nel restituire autonomia e capacità di scelta. Come scrive Villegas (2023): “Non si tratta di imparare ad amare di meno, ma di amare senza annullarsi, camminando verso l’autonomia”.
Solo così è possibile costruire relazioni in cui entrambi possano, come ricorda Perrone (2013), “conservare momenti di solitudine e riflessione senza sentirsi minacciati o abbandonati”.

Ci vuole un coraggio enorme per parlare. E un solo sguardo per far tacere per sempre.Quando un bambino trova la forza di...
06/08/2025

Ci vuole un coraggio enorme per parlare. E un solo sguardo per far tacere per sempre.
Quando un bambino trova la forza di raccontare un abuso, la risposta dell’adulto può cambiare il corso della sua vita.
La letteratura scientifica è chiara:
il primo racconto può essere anche l’unico.
Spesso è frammentato, esitante, confuso. Ma è reale. E fragile.
Perché credere è così importante?
• I bambini parlano quando si sentono al sicuro.
• Lo fanno in modo incerto, testando la reazione dell’adulto.
• Una risposta di paura, dubbio o rabbia può chiudere quella porta per sempre.
• Quando l’adulto nega o minimizza, il bambino spesso si convince che ciò che ha vissuto non sia mai accaduto.
Nella mia esperienza clinica, molte pazienti adulte raccontano di aver cercato, da bambine, di parlare.
Ma di fronte a reazioni adulte spaventate o arrabbiate, hanno taciuto.
Hanno finito per pensare: "Mi sarò sbagliata. Me lo sarò immaginato."
I ricordi riemergono, spesso, quando si diventa madre, o quando l’abusante muore.
È in quei momenti che la psiche riesce, finalmente, a nominare l’esperienza e iniziare a elaborarla.
Credere è un atto clinico. È un atto di cura.
È ciò che può trasformare un dolore taciuto in un percorso di protezione, consapevolezza e guarigione.
Se un bambino parla, è perché si fida.
Non facciamo crollare quella fiducia.

05/08/2025
03/08/2025
A volte non si riesce ad andare via. Nonostante tutto.Non sempre si tratta di relazioni apertamente disfunzionali.A volt...
03/08/2025

A volte non si riesce ad andare via. Nonostante tutto.
Non sempre si tratta di relazioni apertamente disfunzionali.
A volte è più sottile. Si vive in uno stato di allerta emotiva costante, dove l’attenzione all’altro occupa tutto lo spazio interno. Basta un silenzio, un messaggio che non arriva, uno sguardo sfuggente, e si attiva un dolore sproporzionato, ma reale.
Chi attraversa questo tipo di esperienza non si riconosce come “dipendente”.
Spesso si descrive come molto sensibile, molto legata, molto coinvolta.
Eppure, dietro quella intensità, c’è qualcosa che merita attenzione.
Nel mio lavoro clinico incontro spesso donne autonome, lucide, capaci — tranne che nel campo affettivo.
Quando il legame diventa l’unico baricentro possibile, tutto il resto si riduce a sfondo: i propri bisogni, le scelte, persino la percezione di sé.
Non è una fragilità di carattere. È un’organizzazione affettiva costruita nel tempo, spesso fin dall’infanzia, in contesti dove la presenza dell’altro era instabile, condizionata, o imprevedibile.
E in quei contesti, adattarsi ha voluto dire sopravvivere.
La dipendenza affettiva è, prima di tutto, una forma di lealtà.
A un modello relazionale antico, che oggi non serve più — ma che continua a operare, silenziosamente.
Non si supera con la forza di volontà, né con un generico “amati di più”.
Serve tempo. Serve uno spazio sicuro. Serve un lavoro paziente, che non imponga rotture ma accompagni a riconoscere, senza colpa, le proprie strategie di protezione.
La terapia non giudica i legami. Non forza separazioni.
Lavora nel tempo lungo della ricostruzione: restituire alla persona uno spazio interno in cui poter stare, anche senza l’altro.
Rendere possibile un modo di amare in cui la vicinanza non costi ogni volta la perdita di sé.
Nel mio lavoro clinico, continuo a imparare da chi, con coraggio e fatica, prova a stare dentro i propri legami senza perdersi. A loro è dedicata questa riflessione.

Il deficit affettivo alla base delle dipendenze.La madre di tutte le dipendenze? La fame d’amore.Non è il cibo, né la so...
01/08/2025

Il deficit affettivo alla base delle dipendenze.
La madre di tutte le dipendenze? La fame d’amore.

Non è il cibo, né la sostanza, né il lavoro.
Le vere dipendenze iniziano molto prima.
Quando ciò che mancava non era qualcosa, ma qualcuno.
Molti comportamenti compulsivi non sono spinti da un desiderio di piacere, ma dal bisogno disperato di lenire un vuoto affettivo originario.
Come sottolinea la
Maria Chiara Gritti Dipendiamo - Centro per la cura delle New Addiction questa fame d’amore nasce dalla mancata soddisfazione di bisogni primari – protezione, accudimento, ascolto, riconoscimento – in età precoce.
Quando l’ambiente non li accoglie, quel vuoto diventa parte dell’identità.
E la persona, pur non sapendolo, inizia a cercare fuori ciò che è mancato dentro.
Cibo, sostanze, relazioni, tecnologia… diventano tentativi di riempimento.
Soluzioni momentanee a un dolore che non ha parole, ma guida azioni.
Le dipendenze, allora, non sono altro che strategie di sopravvivenza affettiva.
Una lotta silenziosa per sentire, finalmente, di esistere.
Ma nessun “tappo” può nutrire davvero.
Finché quella fame non viene vista, accolta e riconosciuta, continuerà a chiederci qualcosa.
Solo allora potremo smettere di rincorrere sostituti,
e iniziare – davvero – a guarire.

Il panico da abbandono è una risposta emotiva intensa che prende forma quando, in una relazione, percepiamo l’altro come...
01/08/2025

Il panico da abbandono è una risposta emotiva intensa che prende forma quando, in una relazione, percepiamo l’altro come distante, assente o meno coinvolto.
In quei momenti, qualcosa dentro si attiva in modo automatico e travolgente: non si tratta solo di tristezza o paura, ma di un senso di pericolo profondo, che può includere tachicardia, confusione, difficoltà a respirare, bisogno urgente di ristabilire il contatto. Il corpo reagisce come se fosse in gioco la sopravvivenza.
Questo accade perché la separazione attuale va a toccare un vissuto antico: il senso di essere soli, senza protezione, senza qualcuno che ci veda e ci rassicuri. È come se dentro si risvegliasse una parte di noi molto giovane, che non ha ancora imparato a stare da sola, che non conosce alternative alla fusione con l’altro.
Spesso, in queste situazioni, manca uno spazio interno capace di contenere la paura, di calmarla, di metterla in prospettiva. La parte adulta — quella che sa riflettere, rassicurare, decidere — in quei momenti non è accessibile, o è troppo debole per essere di aiuto.
Il panico da abbandono non è segno di fragilità, ma il riflesso di un conflitto interiore profondo tra bisogno di legame e bisogno di autonomia.
La distanza emotiva dell’altro attiva una crisi perché non abbiamo ancora un legame stabile e sicuro con noi stessi.
Nel mio lavoro clinico come psicoterapeuta, all'interno del network Dipendiamo - Centro per la cura delle New Addiction fondato dalla Dott.ssa Maria Chiara Gritti accompagno le persone a esplorare questi vissuti, riconoscerli nella loro origine e costruire nuovi modi per attraversarli — senza esserne più travolti.
Comprendere che il panico ha una radice, un significato e una storia è il primo passo per trasformarlo.

Due ruote, due modi di stare in relazioneCi sono relazioni che si fondano sul rispetto reciproco, e relazioni in cui una...
31/07/2025

Due ruote, due modi di stare in relazione

Ci sono relazioni che si fondano sul rispetto reciproco, e relazioni in cui una persona esercita un controllo sistematico sull’altra.
Nel lavoro clinico con le relazioni disfunzionali, è utile osservare due modelli che sintetizzano queste dinamiche: la ruota del potere e del controllo e la ruota dell’uguaglianza.
La ruota del potere e del controllo descrive i comportamenti attraverso cui un/una partner può esercitare dominio sull’altro/a:
Intimidazione, manipolazione, colpevolizzazione
Isolamento dalla rete familiare o sociale
Uso dei figli come strumento di pressione
Svalutazione sistematica, distorsione della realtà, gaslighting
Controllo economico, decisionale, affettivo
Negazione dell’abuso e inversione delle responsabilità
Questi comportamenti non sono semplici difficoltà comunicative. Sono strategie relazionali disfunzionali e sistemiche, attuate da un/una perpetratore/trice e subite da una vittima.
La violenza non è solo fisica o sessuale: spesso è emotiva, psicologica, economica. Più difficile da riconoscere, ma altrettanto invalidante.

All’opposto, la ruota dell’uguaglianza evidenzia i pilastri delle relazioni sane:
Rispetto e ascolto reciproco
Condivisione delle responsabilità e delle decisioni
Fiducia, trasparenza e supporto
Accoglienza delle differenze e dei bisogni individuali
Cura dei figli come compito comune
Nessun uso del potere per dominare
In una relazione sana, ciascuno può esistere pienamente, sentirsi al sicuro, libero/a di esprimersi e di essere se stesso/a.
Il lavoro psicologico parte da qui: nominare, comprendere, ricostruire.

Quando vediamo solo il narcisismo dell’altro, ma non il nostro riflesso: il narcisismo per procura.Giancarlo Dimaggio, p...
28/07/2025

Quando vediamo solo il narcisismo dell’altro, ma non il nostro riflesso: il narcisismo per procura.

Giancarlo Dimaggio, psichiatra, psicoterapeuta ed esperto nei disturbi di personalità, descrive una configurazione relazionale che può aiutare a comprendere molte forme di sofferenza affettiva: il narcisismo per procura.
Accade quando una persona si lega a qualcuno che percepisce come speciale, carismatico, fuori dall’ordinario. In quella figura proietta la propria aspirazione a sentirsi “abbastanza”, degna, riconosciuta. Come scrive Dimaggio, si tratta di “qualità speciali, semi-divine, nelle quali proietta la propria aspirazione alla grandiosità non pienamente riconosciuta.”
Finché la relazione regge, questa idealizzazione offre una sorta di equilibrio. Ma se il legame si incrina, non emerge solo la delusione: affiora “la ferita narcisistica di chi lamentava il narcisismo del proprio partner.”
A quel punto, tutta l’attenzione si concentra sull’altro: su ciò che fa, su ciò che non fa, su quanto è distante, contraddittorio, egoista. È quello che Dimaggio definisce “focalizzazione persistente e unica sul comportamento disfunzionale dell’altro.”
Ma cosa significa?
Significa che la persona, assorbita dal tentativo di capire o correggere l’altro, finisce per perdere completamente contatto con sé stessa.
Smette di guardarsi dentro, di interrogarsi sui propri bisogni, limiti, desideri.
E smette anche di percepirsi come capace di scegliere, decidere, cambiare.
In psicologia si parla di perdita di agency: viene meno la percezione di essere soggetto della propria vita.
E si resta fermi, in attesa che l’altro si trasformi. O si accusi.
Trovo che questo concetto sia particolarmente utile per comprendere perché alcune relazioni affettive, anche molto dolorose, si mantengano nel tempo.
Non è solo questione di dipendenza emotiva. A volte, l’altro rappresenta un’immagine di sé che non si è pronti a lasciare andare.
Come sottolinea Dimaggio, il lavoro psicoterapeutico non si orienta su come cambiare l’altro, ma su come riconoscere e trasformare le dinamiche interne che mantengono il blocco.
È lì che può cominciare il cambiamento.

Il narcisismo patologico: dietro la maschera, un disturbo della personalitàSpesso, quando si parla di narcisismo, si pen...
28/07/2025

Il narcisismo patologico: dietro la maschera, un disturbo della personalità
Spesso, quando si parla di narcisismo, si pensa a qualcuno di vanitoso, egocentrico o manipolatore. Ma in psicologia clinica, il narcisismo non è un tratto superficiale del carattere: è una condizione complessa, che in certi casi assume le caratteristiche di un vero e proprio disturbo di personalità.
Il Disturbo Narcisistico di Personalità (NPD) è riconosciuto dal DSM-5-TR come un pattern pervasivo di grandiosità (nella fantasia o nel comportamento), bisogno di ammirazione e marcata mancanza di empatia. Ma questa definizione, se presa alla lettera, rischia di catturare solo una parte del fenomeno.
La clinica contemporanea ha chiarito che esistono almeno due grandi modalità di espressione del narcisismo patologico:
• una forma grandiosa, dominante, visibile, fatta di sicurezza ostentata, superiorità e ricerca di status;
• una forma vulnerabile, più silenziosa, segnata da vergogna, ritiro sociale, ipersensibilità al giudizio e oscillazioni interne dell'autostima.
Queste due configurazioni non sono alternative: possono coesistere nello stesso individuo, generando un funzionamento interno instabile e contraddittorio. Alcuni pazienti possono apparire sicuri, persino affermativi in alcuni contesti, e poi crollare emotivamente di fronte a frustrazioni, fallimenti o critiche minime.
Una fragilità invisibile: identità e autostima
Al cuore del disturbo c’è un problema profondo di regolazione dell’autostima. Chi soffre di NPD spesso non possiede un senso di sé stabile e coerente. La propria immagine interiore dipende dallo sguardo degli altri, dal riconoscimento, dal successo, dalla prestazione. Questa instabilità si traduce in oscillazioni identitarie, che rendono difficile per la persona riconoscersi in modo continuo e realistico.
Empatia selettiva e relazioni disfunzionali
Contrariamente a uno stereotipo diffuso, chi ha un funzionamento narcisistico non è privo di empatia. La componente cognitiva dell’empatia (capire cosa prova l’altro) può essere conservata, ma quella affettiva (sentire con l’altro) è spesso compromessa. Questo rende le relazioni superficiali o asimmetriche: l’altro può essere idealizzato, usato per confermare il proprio valore, e poi svalutato o ignorato se smette di svolgere quella funzione.
Molti pazienti con NPD instaurano relazioni disfunzionali, dove il bisogno di controllo e validazione emotiva si alterna alla paura dell'intimità. In alcuni casi, questo produce legami segnati da dipendenza affettiva, in cui il partner finisce per adattarsi continuamente ai bisogni del narcisista, spesso a scapito del proprio benessere.
Le differenze di genere: forme visibili e invisibili
Il NPD è più frequentemente diagnosticato negli uomini. Nei maschi, la configurazione grandiosa tende a essere più visibile e compatibile con stereotipi culturali di successo, potere, assertività. Nelle donne, invece, sono più comuni manifestazioni vulnerabili, internalizzate, che possono essere confuse con disturbi dell’umore o del comportamento alimentare. Questo contribuisce a una sottodiagnosi del narcisismo femminile, rendendolo clinicamente “invisibile”.
Una maschera di forza può nascondere un dolore antico
Il narcisismo patologico non è solo un eccesso di ego, ma spesso una forma di sopravvivenza psichica a esperienze relazionali precoci frustranti o invalidanti. È una strategia per proteggersi dal senso di inadeguatezza, dalla vergogna e dalla paura di non contare per nessuno.
Comprendere questo disturbo significa andare oltre le etichette.

• Weinberg, I., & Ronningstam, E. (2022). Narcissistic Personality Disorder: Progress in Understanding and Treatment. Focus, 20(4), 368–377. https://doi.org/10.1176/appi.focus.20220052
• Ronningstam, E., & Weinberg, I. (2020). Dos and Don’ts in Treatments of Patients With Narcissistic Personality Disorder. Journal of Personality Disorders, 34(Supp.), 122–142. https://doi.org/10.1521/pedi.2020.34.supp.122
• Ronningstam, E. (2016). New Insights Into Narcissistic Personality Disorder. Psychiatric Times. Feb 29.

La dipendenza affettiva non è amore.È un trauma che spera ancora di essere riparato.Non è l’altro che desideri.È l’impos...
25/07/2025

La dipendenza affettiva non è amore.
È un trauma che spera ancora di essere riparato.
Non è l’altro che desideri.
È l’impossibile conferma che sei amabile, che vali abbastanza da essere scelto, trattenuto, tenuto a mente.
Quello che ti lega non è la persona che hai davanti, ma una scena antica:
il giorno in cui, senza che potessi capirlo, hai iniziato a credere che il modo in cui ti guardavano definiva chi sei.
E se quello sguardo era assente, distratto, ambivalente…
hai imparato che il tuo valore era negoziabile.
Che l’amore andava guadagnato.
Che per essere amati, bisognava essere altro da sé.
La dipendenza nasce lì: dove l’amore ha smesso di essere casa ed è diventato esame.
E ogni relazione che ti fa sentire “non abbastanza” ti riporta lì, senza che tu lo scelga davvero.
Guarire non significa smettere di amare.
Significa smettere di cercare, nell’altro, la smentita di un verdetto antico.
E cominciare a vivere legami in cui non serve più dimostrare di meritare.

Indirizzo

Piazza Dei Navigatori 8 Roma
Rome
00147

Orario di apertura

Lunedì 09:00 - 18:00
Martedì 09:00 - 18:00
Mercoledì 09:00 - 18:00
Giovedì 09:00 - 18:00
Venerdì 09:00 - 18:00

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