
27/04/2025
L'autenticità non è avere il coraggio di dire all'altro cosa sta facendo di sbagliato secondo noi.
È, invece, una sorta di compito che possiamo o meno decidere di portare avanti.
Il compito ha diverse fasi.
La prima è notare quale pezzo doloroso della nostra storia ci ricorda il comportamento dell'altro (si, a meno che l'altro non ci abbia imprigionato o ci stia picchiando, dipende sempre da questo).
La seconda è dare un nome a quell' emozione (no, non rabbia e nemmeno tanto tristezza quanto paura o vergogna).
La terza di esprimerla, assumendoci da un lato il rischio che l'altro non risponda come vorremmo, e dall'altro la fiducia nella nostra capacità di fare fronte alla situazione sgradevole che, eventualmente, dovesse crearsi.
L'autenticità non è, quindi, dire all'altro "Non devi uscire con la tua collega" o "Non devi lavorare tanto" ma "Ho paura che mi trovi poco interessante e sto pensando che lei possa essere per te più attraente di me" o "Mi vergogno nel dirti che, quando sei fuori per lavoro, mi sento sola".
E se l'altro non dovesse tener conto della nostra autenticità?
Potremmo assicurarci che abbia ascoltato e capito la nostra condivisione.
E se non gli interessasse?
Dovremo affrontare il dolore che sicuramente proveremo, messi di fronte a tale realtà.
Questo dolore passerà perché potremo dedicare il nostro impegno ad attività più gratificanti.
Se invece non siamo autentici quel dolore lo sentiremo comunque (infatti arrabbiarsi mentre rimproveriamo l'altro è una sensazione sgradevole e di solito la rabbia è preceduta e seguita da un rimuginio ansioso o deprimente), ma non ci daremmo la possibilità di andare oltre.