25/10/2023
Non è mai solo uno scappellotto, solo una sculacciata, solo una sfuriata. Non è mai solo una volta ogni tanto. Quel “solo” si fissa nell’anima e nel corpo, brucia a distanza di tempo, si trasforma in rabbia, impotenza, solitudine. Fa paura. Non possiamo trovare giustifiche…mai! Un bambino deve dover fare uno sforzo incredibile per accogliere una carezza da quella stessa mano che lo picchiato. Si deve scindere per salvare quella parte di genitore buono. O si deve rendere colpevole, per dare un senso a quello che ha appena vissuto. La violenza sui bambini deve essere interrotta subito. Ci indigniamo per uno schiaffo dato ad una donna ma tolleriamo e giustifichiamo quello dato ad un bambino. Questo deve cambiare in tutti noi, perché la violenza è violenza. Senza attenuanti.
"…Solo uno scappellotto!"
“Dottore non si tratta di picchiare i bambini ci mancherebbe! Siamo tutti d’accordo sul no alla violenza in tutte le sue forme; ma non esageriamo!”
“Che sarà mai uno scapaccione occasionale sul culetto?”
“Uno scappellotto non è picchiarli e quando ci vuole ci vuole! Qualche volta è l’unico modo per ottenere un risultato!”
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Un risultato? Quale risultato?
"Il risultato che almeno così si ferma e obbedisce!”
“Per mio figlio è l’unico modo!” “Ma ripeto, non fraintenda, mica botte forti!”
“Solo uno scappellotto!"
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Certo, si ferma e obbedisce. Uno scapaccione funziona.
Ma funziona perché fa male e soprattutto fa paura.
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E allora ripeto la domanda: quale è il vero risultato?
Che cerchiamo di ottenere nel nostro sforzo educativo?
Vogliamo che il bambino “capisca” …cosa?
E cosa resta di quella esperienza? Cosa “scriviamo” nel suo piccolo cervello?
Solo un “Se lo fai te le suono!” ??
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La verità è che non resta affatto solo questo.
Le botte, con il dolore e la paura, lasciano sempre una traccia profonda e fanno male alla persona, non al culetto!
Non insegnano niente, anzi purtroppo insegnano l’opposto di quello che vogliamo dire loro.
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Perché?
Perché il dolore e la paura occupano la scena e travolgono tutto il resto.
Il bambino picchiato e spaventato si sente cattivo e non comprende in realtà il senso di un comportamento sbagliato!
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Noi vorremmo dire:
“Non si fa!” e insegnare un percorso positivo che potremmo definire “Impara a gestire le tue emozioni”!
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Con le botte, la paura e il dolore invece diciamo:
“Sei cattivo! Un buono a niente!”
“Stai attento a quello che farai nella vita perché dovrai sempre aver paura!”
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le botte, tutte, sono inutili e confondono.
Non è solo l’intensità del dolore che fa male (“dottore solo uno scappellotto!”), ma l’insieme della esperienza negativa della paura che scatena un’ansia capace di paralizzare il cervello che dovrebbe “capire” un errore.
Il bambino si ferma, è vero, ma lo blocca un meccanismo automatico di difesa, non la sua scelta ponderata dopo una analisi corretta della situazione.
E’ il “fingiti morto” per sfuggire ad un pericolo. Comportamento automatico di emergenza presente anche nel mondo animale.
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Imparare a rispettare le regole invece è molto importante.
Le regole infatti sono sicurezza e servono a stare bene con gli altri.
“Ci tocca” (uffà!) quindi insegnarle, ma questo significa insegnare a controllare l’impulsività per gestire anche le frustrazioni e gli insuccessi.
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Le frustrazioni, cioè il “no”, scatenano la rabbia, cioè energia libera per superare l’ostacolo.
Educare è insegnare a trasformare questa rabbia in energia positiva per trovare percorsi sociali costruttivi.
Trasformarla cioè in energia utile a scegliere le migliori azioni per superare l’ostacolo. Cioè controllare gli impulsi e pensare prima di agire.
“Tradotto: “Se mi va una cosa storta, non butto tutto all’aria ma mi concentro di più per riuscire a farla meglio!”
Dobbiamo insegnare questo.
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Insomma… “Ci tocca” anche saper dire NO!
Ma dobbiamo sapere che il bambino piccolo confonde “l’essere” con il “fare”.
Una sgridata severa per un “non si fa!” può essere percepita come un “sei cattivo!”.
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La percezione di essere cattivi è devastante.
Senza una buona autostima il bambino è destinato ad essere un adulto insicuro e perdente.
E allora dobbiamo essere bravi a saper dire con chiarezza “Non si fa!”
…ma sottolineare sempre e comunque la stima e l’apprezzamento: “Sei sempre bello bravo e buono!”.
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ll linguaggio che parla con i bambini non è fatto di parole e spiegazioni complesse! Ma di non verbale.
Parlano i volti e le emozioni.
La paura e il dolore non spiegano niente e colpiscono la persona: “Sei cattivo e incapace!”
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Un No fermo, con un volto serio che non ha bisogno di urla minacce ricatti e sceneggiate, dice semplicemente un “Non si fa”.
“Il cattivo” è “il brutto capriccio che ti fa piangere”, non tu!
Il NO resta No e i capricci non si vincono mai.
…Ma tu resti bello bravo e buono “sempre l’amore della tua mamma”!
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Vi dico un segreto:
funziona di più un NO detto a voce bassa, con uno sguardo assolutamente serio e fermo, senza troppe parole ma bene mirato ad una azione, che una sceneggiata con urla fuori controllo e duecento parole sparate a mitraglia…
Le “sceneggiate” che spaventano infatti sono difficili da capire:
“Piccino che hai fatto?”
“…Ehm, mamma si è arrabbiata molto! Mi sono nascosto…”
“Si, ma che hai fatto?”
“…non me lo ricordo!”
Invece è importante che sia chiara la relazione tra il NO e l’azione che non va bene (solo quella).
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Subito dopo il “sei sempre bello bravo e buono!” arriva al cuore con il contatto fisico.
Le carezze, i sorrisi, la condivisione di giochi ed emozioni, le favole lette tenendoli in braccio…
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Ultima cosa:
Oltre al distruggere l’autostima e a far sentire cattivi e inadeguati, le botte (tutte) fanno un altro disastro nel cervello di un bambino:
“Ho paura di papà!” “Il mio papà è cattivo!”
(dico papà perché nello stereotipo il ruolo del “giustiziere” era del papà, ma sappiamo che non è così!).
Come si fa ad identificarsi con un cattivo?
Come si fa ad organizzare un comportamento su un modello negativo?
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Il bambino che subisce “botte”, difficilmente “si vorrà bene” e l’aggressività accumulata dentro nel corso degli anni, verrà fuori in epoche successive con serie difficoltà di relazione.
Un bambino picchiato, picchierà.
E allora… un ceffone? E’ una cambiale!
Con il tempo si paga sempre con gli interessi!