Roberta Bruzzone Psicologa e Criminologa

Roberta Bruzzone Psicologa e Criminologa Criminologa Investigativa, Psicologa Forense, Esperta di Analisi della Scena del Crimine
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Il caso Golinucci e la pista Emanuel Boke: perché nei cold case nulla può essere lasciato indietroTorna alla ribalta, do...
16/08/2025

Il caso Golinucci e la pista Emanuel Boke: perché nei cold case nulla può essere lasciato indietro

Torna alla ribalta, dopo tanti anni di silenzi e sospetti, la figura di Emanuel Boke, l’uomo di origine africana che all’epoca dei fatti si trovava ospite di un convento e che, in seguito, fu condannato per violenza sessuale. La sua parabola giudiziaria è emblematica: durante la detenzione confessò l’omicidio di Cristina Glinucci, salvo poi ritrattare. Oggi, nuovi elementi lo collocherebbero in Francia sotto il nome di Quist Kwame. Le indagini francesi hanno infatti accertato che a Marsiglia un uomo condannato per violenza sessuale, identificatosi con quel nome, presentava le stesse impronte digitali di Boke.

La famiglia di Cristina, da anni, chiede con forza la riapertura delle indagini. Non si tratta solo di un atto di giustizia, ma della necessità di dare risposta a una verità ancora sospesa. Il passo successivo è chiaro: ottenere un ordine di cattura europeo, confrontare i dati biometrici, il DNA e le impronte digitali di Boke/Quist Kwame con quelli già in possesso delle autorità italiane.

Ecco alcuni punti cruciali:
1. La confessione ritrattata
• Le confessioni in carcere, soprattutto da parte di soggetti già condannati per reati sessuali, vanno analizzate con estrema cautela.
Possono contenere elementi di verità mescolati a distorsioni, suggestioni, persino alla volontà di manipolare l’attenzione investigativa.
• Ciò non significa che siano prive di valore: vanno scomposte, verificate sul piano fattuale, incrociate con riscontri oggettivi (tracce, testimonianze, dati ambientali).

2. Il profilo criminologico di Boke
• Precedente condanna per violenza sessuale: elemento che, pur non potendo da solo costituire prova, segnala una pericolosità sociale e una capacità di reiterazione di condotte violente a sfondo sessuale.
• La sua presenza nel convento al momento della scomparsa di Cristina non può essere derubricata a coincidenza: rappresenta un fattore situazionale da approfondire con ogni mezzo.

3. Il tempo trascorso e le omissioni iniziali
• Le prime indagini furono caratterizzate da incertezze, reticenze e testimoni poco collaborativi. Nei casi a pista fredda, queste lacune pesano come macigni.
• Oggi la scienza forense permette recuperi che all’epoca non erano possibili: tracce biologiche, confronti digitali, banche dati internazionali. Ignorare queste opportunità equivarrebbe a tradire non solo la memoria della vittima, ma la stessa giustizia.

4. La dimensione psicologica della famiglia
• Anni di attesa e di richieste inascoltate generano nelle famiglie delle vittime un vissuto di abbandono istituzionale. La riapertura delle indagini non è solo un atto processuale, è un riconoscimento della dignità della vittima e del dolore dei suoi cari.

Nei cold case il rischio più grande è l’assuefazione perché il tempo che passa anestetizza la memoria collettiva e riduce la pressione sociale sulle indagini.
Ma è proprio nei casi rimasti irrisolti che la perseveranza investigativa diventa un dovere etico oltre che giudiziario.
• Ogni nuova pista va battuta fino in fondo.
• Ogni dato biologico va confrontato con le tecnologie odierne.
• Ogni collegamento internazionale va attivato, senza timori né inerzie.

Se Emanuel Boke e Quist Kwame coincidono davvero, e se vi sono indizi di responsabilità nel caso Golinucci, occorre arrivare a una verifica definitiva. Non è solo una questione di verità giudiziaria, è la certezza che nessuna vittima venga dimenticata e che nessun assassino possa nascondersi dietro il trascorrere degli anni.

La pista che portava a Boke è sempre stata quella da privilegiare. Oggi, grazie ai nuovi riscontri, si può e si deve tornare a indagare con strumenti più solidi e una prospettiva rinnovata.
Perché la giustizia differita non è giustizia negata, ma resta giustizia incompleta finché non viene portata a compimento.

E nei casi a pista fredda, l’impegno deve essere ancora più radicale e deve portare a non lasciare nulla di intentato, mai.

Femminicidio: a che punto siamo?Anche nel 2025 i numeri aumentano. E non è questione di statistiche, è questione di vite...
16/08/2025

Femminicidio: a che punto siamo?

Anche nel 2025 i numeri aumentano. E non è questione di statistiche, è questione di vite spezzate.
E non si tratta di casi di cronaca nera, sono storie spezzate che ci ricordano come la violenza di genere continui a insinuarsi dove meno ce lo aspettiamo, tra mura domestiche, relazioni apparentemente innocue, quotidianità tranquille.

Da psicologa forense e criminologa lo dico con chiarezza: qui non si tratta solo di punire, ma di prevenire.
Non bastano più leggi scritte sull’onda dell’emozione, protocolli senza copertura economica, o volontari lasciati soli a tamponare un’emergenza che ha ormai i contorni di una guerra civile silenziosa ma inarrestabile.

Serve una S.O.S. – Squadra Operativa Speciale:
• multidisciplinare,
• composta da professionisti certificati, formati e ben retribuiti,
• dotata di risorse vere, monitorate nel tempo,
• capace di intervenire in modo rapido e integrato quando si intravedono i segnali di escalation.

Perché la violenza non esplode mai dal nulla: si nutre di segnali sottovalutati, di stereotipi tossici che ancora oggi giustificano il controllo, la gelosia, la pretesa di possesso sull’altro.
È lì che bisogna colpire, nella cultura che continua a raccontare che “era solo amore malato”, che “lui ha perso la testa”, che “certe cose succedono”. No: siamo noi a permettere che certe cose succedano ancora.

La psicologia e la criminologia ci insegnano che il terreno su cui germoglia il femminicidio è quasi sempre coltivato prima: con parole, atteggiamenti, micro-violazioni, svalutazioni.
E se non spezziano questi schemi alla radice, continueremo a contare morti e a piangere vittime, invece di proteggerle.

Per questo il contrasto deve essere spietato contro gli stereotipi e radicato nella prevenzione, sin dalla scuola, nei luoghi di lavoro, nelle famiglie, nelle istituzioni.
Formazione continua, strumenti reali di protezione, educazione al riconoscimento precoce dei comportamenti manipolatori e violenti.

Il resto — le pene inasprite, i proclami, le campagne spot — senza un impianto solido di risorse e cultura, resteranno solo fumo negli occhi.

Ricordiamolo: ognuno ha una responsabilità diretta.
Perché nel silenzio di chi vede e tace, di chi sa e non segnala nutre il senso di impunità dei carnefici .

Quel silenzio è il più potente alleato di assassini e manipolatori. Ogni omissione è un colpo sparato insieme a loro contro le vittime.

Ecco perché il contrasto deve essere feroce: demolire stereotipi, educare fin dall’infanzia, formare in modo continuo, dare strumenti reali di protezione e intervento.
Solo così spezziamo la catena che porta dal primo insulto al femminicidio.

La violenza di genere è la cartina di tornasole della civiltà di un Paese.
E nel 2025 la sentenza è chiara e inappellabile: tutti bocciati.

Gli incel – quegli uomini che odiano visceralmente le donne perché incapaci di costruire relazioni sane – sono una categ...
15/08/2025

Gli incel – quegli uomini che odiano visceralmente le donne perché incapaci di costruire relazioni sane – sono una categoria pericolosa, e non solo online.
Sono il concentrato perfetto di frustrazione, fallimento, disagio psichiatrico e misoginia tossica.

Spesso sono io stessa, in quanto figura di spicco nel contrasto alla violenza di genere, il bersaglio delle loro farneticanti dichiarazioni sui social: minacce, insulti, teorie deliranti sul mio conto.
Li lascio parlare… fino a quando non passo alle vie legali.

E lì, davanti a un giudice, gli stessi leoni da tastiera diventano agnellini impauriti: si scusano per ogni parola, pronti persino a chiedere perdono per aver rubato le caramelle all’asilo. Patetici, ma mai innocui.

Si tratta di soggetti profondamente squilibrati, con gravissime problematiche personologiche evidenti, che non vanno mai sottovalutati. La misoginia non è “un’opinione”: è una chiara manifestazione di disturbo psichiatrico e come tale va affrontata.

La rete non li rende pericolosi: lo sono già. La rete li rende solo più visibili.

Un’altra donna uccisa. Un’altra vita spezzata. Un altro caso in cui lo Stato fallisce e a pagarne il prezzo e’ una donna...
15/08/2025

Un’altra donna uccisa. Un’altra vita spezzata. Un altro caso in cui lo Stato fallisce e a pagarne il prezzo e’ una donna con il suo sangue versato.

Tiziana Vinci, 54 anni, aveva fatto tutto ciò che il sistema le chiede di fare per salvarsi: aveva lasciato la casa, denunciato le violenze, attivato il Codice Rosso. L’ex marito, Umberto Efeso, era stato ammonito, sottoposto al divieto di avvicinamento e persino dotato di un braccialetto anti-stalking. Ma quel dispositivo – l’unico strumento concreto di controllo – da dieci giorni funzionava male sulla base di quanto riportano le principali fonti giornalistiche.
Leggo che le anomalie erano note, segnalate, documentate. Nessuno ha però provveduto alla sostituzione.

Nel frattempo, Efeso si è mosso liberamente. Ieri mattina ha preso un coltello, è entrato nella villa dove Tiziana stava lavorando, ha discusso con lei per l’ennesima volta e l’ha colpita a morte. Poi ha avuto il tempo di lavarsi, cambiarsi, nascondere l’arma e telefonare al 112 per autodenunciarsi.

Questa non è una “fatalità”. È un fallimento.
Un fallimento di sistema che, nel 2025, non può più essere tollerato.

Perché ogni volta che un braccialetto non funziona, che una segnalazione resta in sospeso, che la protezione promessa si rivela carta straccia, una donna muore. E insieme a lei muore la fiducia nello Stato.

Da anni sappiamo che nei casi di violenza domestica la fase di separazione è quella a più alto rischio. Sappiamo che l’escalation è prevedibile, che il controllo ossessivo e i maltrattamenti sono campanelli d’allarme inequivocabili. Eppure, ancora oggi, continuiamo a proteggere formalmente le vittime ma lasciarle sole nei fatti.

Ogni volta che accade, si invoca una “stretta” legislativa, un “rafforzamento” delle misure. Ma non basta scrivere buone leggi se poi non vengono applicate con rigore e tempestività. La tecnologia di monitoraggio serve a poco se non funziona o se nessuno interviene quando smette di funzionare.

Nel 2025 non possiamo più accettare che le donne continuino a morire nonostante abbiano chiesto aiuto, denunciato e seguito le procedure. La responsabilità individuale dell’assassino è fuori discussione, ma qui c’è anche una responsabilità collettiva: quella di uno Stato che, ancora una volta, non è riuscito a fare il proprio dovere fino in fondo.

Tiziana Vinci non è morta solo per mano di chi l’ha colpita, ma anche per mano di un sistema che avrebbe dovuto proteggerla e non l’ha fatto.

“La prossima volta potrebbe toccare a te”Ti svegli una mattina, prendi la macchina, e ti avvii verso il lavoro o a porta...
14/08/2025

“La prossima volta potrebbe toccare a te”

Ti svegli una mattina, prendi la macchina, e ti avvii verso il lavoro o a portare i figli o i nipotini a scuola. È una giornata qualunque.
Poi, all’improvviso, un’auto ti piomba addosso a velocità f***e, guidata da ragazzini che non hanno nemmeno l’età per la patente. Fine della storia.
La tua vita — o quella di qualcuno che ami — si interrompe in un istante. E sai cosa succede a chi era alla guida? Nulla.
Perché “la legge” li protegge: sotto i 14 anni, in Italia, non si è imputabili.

Il paradosso tutto italiano

Il caso di Milano di questi giorni è solo l’ennesima dimostrazione di un sistema che ha smarrito completamente il concetto di giustizia reale.
Quattro minorenni — tutti sotto i 14 anni — rubano un’auto, sfrecciano in città a velocità f***e e finiscono per causare un incidente mortale.
Non sono “bambini” che si sono messi a giocare: hanno pianificato, agito e messo in conto di scappare. Hanno avuto la lucidità di commettere un reato e di cercare di farla franca.
Eppure, per il nostro ordinamento, non hanno la maturità per capire il disvalore delle loro azioni.

È la fotografia di un’Italia dove, se hai l’età giusta (o meglio, quella sbagliata), puoi distruggere vite e uscirne con una pacca sulla spalla.

Perché non sono imputabili

La norma è chiara: l’art. 97 del Codice Penale prevede che chi non ha compiuto i 14 anni non è imputabile. La logica alla base — in teoria — è proteggere i minori dalla macchina giudiziaria e partire dal presupposto che non abbiano ancora sviluppato pienamente la capacità di discernere il bene dal male.
Peccato che questa teoria si sgretoli di fronte alla realtà: questi ragazzi sanno benissimo cosa stanno facendo. Sanno come rubare un’auto, come condurla, come fuggire dalla polizia. Sanno mentire, coprirsi, eludere. Ma per la legge sono “incapaci di intendere e di volere”.

E i genitori?

La domanda viene spontanea: “Almeno i genitori pagheranno?”.
La risposta, purtroppo, è: solo se si dimostra che erano consapevoli e non hanno fatto nulla per impedire il reato.
In pratica, dovrai provare che sapevano e hanno lasciato correre. Altrimenti, anche per loro, poco o nulla.
Nel frattempo, le famiglie delle vittime si trovano ad affrontare non solo il lutto, ma anche la beffa di risarcimenti improbabili: se i responsabili non hanno risorse economiche, puoi dimenticarti di vedere un euro, a meno di ricorrere al fondo statale per le vittime di reati violenti, che però è tutt’altro che automatico e immediato.

Il “segreto” noto a tutti

Nei contesti criminali, questa legge è un’arma.
Lo sanno bene certe famiglie e certe organizzazioni: usare minorenni come “scudi penali” è prassi consolidata. Perché? Perché la soglia di imputabilità è alta e la pena, di fatto, inesistente.
E così, mentre noi ci raccontiamo che stiamo “proteggendo” i più giovani, in realtà stiamo insegnando loro che si può delinquere senza conseguenze. È un messaggio devastante, che spalanca le porte a carriere criminali già in età adolescenziale.

Un problema anche culturale

Questo non è solo un buco della legge. È un fallimento politico e culturale.
Perché una norma si può cambiare, ma se non si affronta il problema alla radice, continueremo a vedere ragazzini che rubano, spacciano, aggrediscono, guidano auto rubate, spesso filmando tutto per metterlo sui social.
Parliamo di un vuoto educativo enorme, aggravato da modelli familiari inesistenti o tossici e da un sistema scolastico e sociale incapace di intervenire prima che la situazione esploda.

Cosa serve davvero
1. Abbassare la soglia di imputabilità: portarla almeno a 12 anni, in linea con altri Paesi europei, e prevedere un sistema di pene progressive, anche in forma educativa, ma vere.
2. Responsabilizzare le famiglie: introdurre norme più stringenti sulla responsabilità genitoriale, anche in termini di risarcimento e custodia.
3. Interventi preventivi: monitoraggio delle situazioni a rischio, educazione civica reale, progetti di reinserimento mirati per minori che già mostrano comportamenti antisociali.
4. Misure restrittive immediate: per i reati gravi, niente “torni a casa e ci vediamo in comunità quando c’è posto”. Serve un collocamento immediato in strutture protette.

Non è giustizia, è impunità

La vera ingiustizia di casi come quello di Milano è che le vittime non hanno voce.
Hanno un funerale, hanno lacrime, hanno vite spezzate. Ma non hanno giustizia.
E quando lo Stato manda il messaggio che un omicidio commesso da un minore sotto i 14 anni è un “incidente” senza colpevoli, sta dicendo a tutti noi che nessuno è davvero al sicuro.

Il rischio per tutti noi

Perché il punto è questo: non serve trovarsi nel “posto sbagliato al momento sbagliato”. Basta essere in strada, quella giusta, quella che percorri ogni giorno.
Basta un incrocio. Una curva cieca. Una macchina rubata lanciata a tutta velocità. E la tua vita può finire per colpa di qualcuno che, per la legge, “non può capire” — ma che in realtà ha pianificato ogni mossa.

Una domanda che non possiamo piu’ evitare

Quanti altri morti serviranno prima che si abbia il coraggio di dire che questa legge non funziona?
Quante altre famiglie dovranno vedere un colpevole libero dopo poche ore?
E soprattutto: quando smetteremo di far finta che questi minori siano “inconsapevoli” mentre ci ridono in faccia.

Perché oggi è toccato a lei. Domani, potrebbe toccare a te.

Da oggi c’è anche la versione audiolibro sulle principali piattaforme
14/08/2025

Da oggi c’è anche la versione audiolibro sulle principali piattaforme

13/08/2025

“Amami da morire” non è solo uno spettacolo, è un viaggio emozionante, profondo, a tratti perfino spiazzante dentro i meccanismi invisibili e invischianti delle relazioni tossiche.

Vi aspetto a Capoterra il 23 agosto!

Trovate tutte le altre date (il tour è in corso di definizione per il 2026) qui: https://www.ticketone.it/artist/roberta-bruzzone/roberta-bruzzone-amami-da-morire-3926031/

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Unico contatto per info sullo spettacolo Artespettacolo 📞 347 5587798

Chiara – 13 agosto 2007 / 13 agosto 2025Diciotto anni senza di lei.Diciotto anni di dolore vero per chi l’ha amata.E di ...
13/08/2025

Chiara – 13 agosto 2007 / 13 agosto 2025
Diciotto anni senza di lei.
Diciotto anni di dolore vero per chi l’ha amata.
E di troppe menzogne travestite da “ricerca della verità” rilanciate dalla bocca di chi non la conosceva neppure e oggi banchetta su ciò che rimane di lei, facendo scempio della sua vita e del suo ricordo.

Chiara non è un enigma da risolvere in salotto.
Non è il pretesto per architettare complotti inverosimili.
Non è materia per chi cerca visibilità ad ogni costo.

Usare il suo nome per inventare storie è un’offesa intollerabile.
È mancare di rispetto a lei.
È ferire ancora la sua famiglia.

Chiara merita solo una cosa: rispetto.
Rispetto per la sua memoria.
Rispetto per chi ogni giorno porta il peso della sua assenza.

La sua storia non è un gioco.
E soprattutto non è un’arma da strumentalizzare per alimentare interessi personali, per raggranellare qualche like e qualche spicciolo in più, per ricercare ossessivamente visibilità o anche peggio.
Chi lo fa, le manca di rispetto due volte.

Come volevasi dimostrare….Caso Chiara Poggi. Il famigerato DNA dell’“ignoto 3” sulla garza?Niente killer fantasma: era u...
12/08/2025

Come volevasi dimostrare….Caso Chiara Poggi. Il famigerato DNA dell’“ignoto 3” sulla garza?
Niente killer fantasma: era una bella contaminazione, frutto degli esami svolti nello stesso periodo su altre salme. E a metterlo nero su bianco è la procura di Pavia…
Un dettaglio che azzera mesi di fantasiose e strampalate ricostruzioni degne di un romanzo di quarta categoria, portate avanti da chi giurava fosse la “firma” dell’assassino.
Ma i fatti hanno la br**ta abitudine di resistere, mentre le chiacchiere — e i chiacchieroni — finiscono spazzati via dal vento.

Negli ultimi giorni, complice anche il tragico epilogo di questa vicenda, si è parlato molto — e spesso a sproposito — d...
12/08/2025

Negli ultimi giorni, complice anche il tragico epilogo di questa vicenda, si è parlato molto — e spesso a sproposito — di una presunta incapacità di intendere e di volere di Stefano Argentino. È importante chiarire che l’omicidio da lui commesso presenta caratteristiche e modalità che nulla hanno a che vedere, sotto il profilo giuridico, con una condizione di infermità di mente.
La pianificazione meticolosa, la consapevolezza delle conseguenze e la coerenza esecutiva delle sue azioni escludono qualsiasi vizio di mente rilevante ai fini dell’imputabilità, confermando una piena capacità di comprendere e di volere l’atto criminoso.

Dalla analisi degli atti che ho avuto modo di esaminare in qualità di consulente della famiglia della vittima emerge un profilo personologico preciso.

Profilo di personalità – lettura comportamentale forense

1. Tratti narcisistici
• Intolleranza al rifiuto: Argentino ha reagito alla rottura e alle ripetute richieste di distanza della vittima come se fossero un affronto personale, tipico dei soggetti narcisistici vulnerabili, incapaci di accettare la perdita di controllo.
• Bisogno di dominio: tendeva a definire tempi, modi e confini della relazione, svalutando sistematicamente l’autonomia decisionale dell’altra persona.
• Rabbia punitiva: il rifiuto ha generato una risposta di rivalsa, pianificata e finalizzata a “punire” l’altro per la perdita subita.

2. Componenti ossessive e persecutorie
• Ruminazione prolungata: pensiero fisso sulla vittima, con condotte di pedinamento e monitoraggio prolungate nel tempo.
• Premeditazione: appunti scritti e ricerche su coltelli, indicativi di un’elaborazione pianificata dell’atto omicidiario.
• Persistenza nonostante i segnali di stop: prosecuzione delle condotte persecutorie nonostante il chiaro rifiuto espresso dalla vittima.

3. Controllo coercitivo
• Svalutazione sistematica: riduzione dell’altro a un ruolo di oggetto funzionale al proprio bisogno di conferma e possesso.
• Punizione del distacco: trasformazione del rifiuto in un mandato di annientamento della vittima, seguita dall’autoannientamento, già previsto in una sequenza mentale e scritta.

Questi Tratti di personalità non equivalgono a infermità mentale.

I tratti narcisistici e ossessivi rientrano in schemi caratteriali disfunzionali, ma non costituiscono un disturbo mentale grave tale da annullare o ridurre sensibilmente la capacità di intendere e di volere. Non vi è evidenza di alterazioni psicotiche, dissociative o di grave compromissione cognitiva.

Indicatori di capacità cognitive integre
• Pianificazione dettagliata (diario con sequenza omicidio-suicidio).
• Consapevolezza delle conseguenze (incluso il suicidio come epilogo).
• Scelta di mezzi e modalità idonee all’esecuzione.

Indicatori di capacità volitive integre
• Condotta finalistica coerente.
• Controllo esecutivo dell’azione.
• Selezione del momento e del luogo con criteri razionali.

Giurisprudenza consolidata
Secondo la Corte di Cassazione, i disturbi di personalità, anche se marcati, non incidono sull’imputabilità salvo compromissione radicale delle funzioni cognitive e volitive.

Il comportamento di Stefano Argentino si colloca pienamente nel perimetro dell’imputabilità penale:
• Piena capacità di comprendere il disvalore dell’atto.
• Piena capacità di autodeterminarsi.
I tratti di personalità narcisistici e ossessivi hanno agito come fattori motivazionali e di escalation, ma non come cause di esclusione o attenuazione della responsabilità penale.

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11/08/2025

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Angela Celentano – L’angoscia dell’attesa infinitaIl 10 agosto 1996, sul Monte Faito, una giornata di svago in famiglia ...
11/08/2025

Angela Celentano – L’angoscia dell’attesa infinita

Il 10 agosto 1996, sul Monte Faito, una giornata di svago in famiglia si trasformò in un incubo destinato a non avere fine. Angela Celentano, 3 anni appena, scomparve nel nulla durante una gita. In pochi minuti la bambina sembrò dissolversi, lasciando dietro di sé solo domande senza risposta.

La macchina investigativa si attivò subito, ma i primi momenti — come in ogni caso di scomparsa — furono determinanti e, nel loro scorrere, gettarono le basi per quell’angoscia che da allora accompagna la famiglia e chiunque abbia seguito la vicenda. Le ricerche si concentrarono nella zona, si ipotizzarono cadute accidentali, allontanamenti, persino un rapimento premeditato. Nessuna pista, però, condusse a una soluzione definitiva.

Dal punto di vista criminologico, questo caso rappresenta l’essenza della scomparsa “pura”: nessuna scena del crimine definita, nessuna traccia biologica utile, nessuna testimonianza univoca. Solo un vuoto. Ed è proprio quel vuoto a diventare il nemico più spietato per chi attende.
L’angoscia dell’attesa è un meccanismo logorante: ogni telefonata, ogni segnalazione, ogni avvistamento apre un varco di speranza che, troppo spesso, si richiude nel silenzio. La mente della famiglia vive in un costante stato di allerta, intrappolata tra il bisogno di credere e il timore di illudersi ancora.

Nel tempo, il caso di Angela ha visto riaccendersi e spegnersi numerose piste, inclusa la misteriosa e-mail dal Messico, e indagini all’estero. Eppure, a oggi, nessuna certezza.
Il Monte Faito resta il punto zero di un enigma lungo 29 anni, un luogo che per i genitori è diventato il simbolo di una ferita che non si rimargina.

In ogni anniversario, la domanda resta la stessa: dov’è Angela?
E finché non arriverà una risposta, l’attesa continuerà a scandire i giorni di chi la cerca, trasformando il tempo in un complice silenzioso del mistero.

Indirizzo

Rome

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