Roberta Bruzzone Psicologa e Criminologa

Roberta Bruzzone Psicologa e Criminologa Criminologa Investigativa, Psicologa Forense, Esperta di Analisi della Scena del Crimine
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08/10/2025

Il profilo di Chiara Petrolini

Il caso di Chiara Petrolini non racconta due scosse emotive isolate, né due cedimenti improvvisi di una mente in crisi. Al contrario: ci parla di una traiettoria precisa, di una mente che impara da sé stessa, che affina il proprio schema fino a renderlo sempre più efficiente.

Tra il primo e il secondo omicidio non c’è semplice ripetizione: c’è una vera e propria escalation, una progressione psicologica e operativa che mostra il secondo atto come più freddo, ordinato, controllato. È la firma di chi ha assimilato l’esperienza criminale e la riproduce con maggiore padronanza.

Al centro di tutto c’è ciò che il Colonnello Anna Bonifazi, psicoterapeuta del RACIS dei Carabinieri, ha definito con lucidità chirurgica il “motore criminale”.

Un meccanismo che prende forma nell’ideazione, cresce nell’immaginazione operativa e infine si traduce nell’azione reale. In questo caso, l’omicidio non rappresenta l’inizio, ma il punto d’arrivo di un copione mentale già provato e riprovato, come una scena già recitata dentro la mente dell’autrice prima ancora che accadesse.

E subito dopo l’azione, ecco la seconda metà di quel motore: l’autoconservazione. Silenzio, cancellazione, occultamento. La gestione del rischio diventa parte integrante del delitto. In altre parole, uccidere e nascondere non sono due momenti distinti, ma le due facce di un unico disegno lucidamente portato a termine.

Nella vicenda di Chiara Petrolini troviamo tutti i segni tipici della serialità comportamentale:
* un tempo di raffreddamento brevissimo tra un evento e l’altro;
* modalità d’azione coerenti, con piccole variazioni funzionali, come se stesse correggendo la “tecnica”;
* e soprattutto, una seconda gravidanza cercata, che diventa un indicatore inequivocabile di continuità ideativa.

Non parliamo quindi di un incidente o di un raptus. Ma di una scelta consapevole, che riattiva lo stesso schema dentro la medesima cornice relazionale e ambientale, aumentando controllo e accuratezza. È qui che si riconosce il tratto di un pattern seriale: l’apprendimento dall’esperienza, la progressiva desensibilizzazione, la freddezza che sostituisce l’emozione.

Chiara Petrolini mostra una straordinaria capacità di pianificare e condurre sequenze complesse.

Sa scomporre il gesto in fasi, prevedere gli snodi critici, modulare tempi e rischi.

È una mente che si osserva mentre agisce — legge il contesto, corregge la rotta, massimizza l’efficacia e riduce l’esposizione.
Nel momento più devastante per qualunque madre — il parto e l’occultamento del neonato — lei non crolla. Contiene, regola, raffredda l’emozione e la piega alla logica dello scopo.

Questa capacità di controllo, di gestione razionale della scena del crimine e delle conseguenze, esclude la presenza di un disturbo psicotico.

Non c’è confusione, non c’è perdita di contatto con la realtà.

C’è lucidità strumentale, razionalità fredda e controllo dell’impulso finalizzato al raggiungimento di un obiettivo.

In questa cornice, l’omicidio non è vissuto come un corpo estraneo o un errore da espiare.

È un atto ego-sintonico: perfettamente coerente con l’immagine interna di sé.Chiara Petrolini separa il gesto dal suo valore morale e lo riconduce a una logica utilitaristica — “risolvere, tacitare, proteggersi”.

Il delitto diventa un mezzo per mantenere intatta la maschera di normalità, quella stessa immagine idealizzata che non può permettersi di incrinare.
L’assenza di rimorso visibile, la rapidità nel rientrare in una apparente normalità, la deresponsabilizzazione immediata del gesto sono tutti indicatori di freddezza narcisistica e di una struttura della personalità che tende a negare l’empatia per preservare l’Io da qualunque cedimento.

Non siamo di fronte a un comportamento dettato dalle circostanze, ma a una costruzione mentale stabile, un modello operativo consolidato che integra ideazione, esecuzione e occultamento in un unico processo, ripetibile e prevedibile.

È una pericolosità strutturale, non episodica.
Finché quel motore interno continuerà a funzionare — a generare idee, immagini, giustificazioni e copioni — il rischio che la condotta si ripeta non può essere considerato remoto. Solo un intervento psicoterapeutico e psichiatrico profondo e prolungato, finalizzato a disattivare quel meccanismo interno, può interrompere il ciclo.

Mettendo in sequenza gli indicatori chiave — escalation asimmetrica, cooling-off minimo, continuità delle modalità, gravidanza ricercata, controllo freddo, strategia di occultamento e ego-sintonia dell’atto — il profilo che emerge è nitido a mio avviso: non una donna travolta due volte da un crollo emotivo, ma una mente che riproduce lo stesso schema con precisione crescente.
Un comportamento seriale non per numero di vittime, ma per logica interna e struttura mentale.

Un disegno lucido, coerente, dove ideazione, esecuzione e cancellazione si saldano in un unico atto di dominio e autoprotezione.
In termini forensi, questo significa imputabilità piena, pericolosità personologica elevata e la necessità di misure capaci di spegnere il motore criminale prima che possa riattivarsi.

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