15/08/2025
📌Quello a cui stiamo assistendo in queste giornate di Ferragosto nella cronaca sanitaria, si potrebbe definire come una sorta di teatro del grottesco. La drammatica (o comica, fate voi) messinscena di un potere o meglio, di un sottopotere, che non si vergogna più nemmeno di mostrarsi per quello che è: un’arena di reclamate e pretese spartizioni, in cui i “principia” democratici del rispettoso confronto, anche robusto, tra parti doverosamente opposte, non soltanto sono disattesi in nome di una fantomatica scienza autoreferenziale,
irrefutabile e di “casa nostra”; ma anche deformati attraverso l’uso della maldicenza più bieca e imbastarditi fino a ridursi al loro opposto: pura lottizzazione di posti.
In questo clima assai discutibile, se non francamente becero, anche la Medicina — quella vera, fatta di conoscenza, di esperienza, di attenzione alla persona concreta e non a un “target” teorico ed evanescente di malati — è stata ancora una volta mediaticamente strappata dalle mani di chi dovrebbe custodirla, per essere al contrario piegata alle logiche di un mercato senza futuro.
A leggere bene le cose, si mescolano deliberatamente due piani inconciliabili. Da una parte, il sapere medico-clinico, che da sempre è espresso e testimoniato dal lavoro indefesso e silenzioso di tantissimi singoli medici e rinnovato ogni giorno dalla relazione unica tra medico e malato, quale alleanza indissolubile; e dall’altra parte, una cosiddetta medicina commerciale, strombazzata e in mano a pochi - buoni spesso a nulla ma capaci di tutto - che a mezzo spot sufficientemente grotteschi, sopravvive esercitandosi nei proclami di un marketing aggressivo, quale totem di presunta scientificità confezionata (self-reference effect) ad hoc, per delegittimare gli altri e legittimare il più delle volte strategie di immagine personale o di vendita e basta.
È una sorta di inganno sottile, venefico, che non si regge soltanto, come si suole dire, sull’operato di alcuni colossi del settore; ma anche su una rete di adepti minori: operatori, opinionisti, professionisti, ahinoi. Un manipolo che a volte sembra accontentarsi delle briciole di quel sottopotere o, peggio, è alla ricerca di una “approvazione” sociale, più che di grandi vantaggi; aderendo a un meccanismo che può somigliare più a un esercizio di ingravescente bullismo collettivo, che a un incontro fra “gente di scienza” .
In questo contesto, la disapprovazione ovviamente non trova spazio: non dentro le coscienze, anestetizzate dalla paura di perdere consenso o altro; e non fuori, in una società che sembra spenta, anergica, povera di contenuti, dove l’opinione dissenziente è subito etichettata in modo negativo e isolata.
Così nasce quella che si potrebbe chiamare “pseudolibertà” quasi istituzionalizzata. Una condizione, in realtà, ancor più insidiosa della dittatura, perché mentre quest’ultima è visibile, si riconosce e volendo si può affrontare; la pseudolibertà, all’opposto, mente, inganna la coscienza comune e individuale, delegittima, denigra, fa credere di essere liberi mentre in realtà si è già incasellati, omologati e manipolati. Allineati, avrebbe detto qualcuno, non tanto per convinzione, quanto per timore di essere esclusi o danneggiati.
Di etica, in questo scenario, ovviamente non si parla più. È la grande assente. La si nomina prevalentemente a sproposito. Si tira in ballo il “giuramento di Ippocrate”, ma più come un adorno retorico, un talismano di cui in realtà, spesso, non si conosce neanche il testo, non avendolo letto o tantomeno compreso, riducendolo a un’espressione posticcia e vuota di contenuto.
E il dramma, quello vero, è che nessuno si accorge di questo colpevole agire antidemocratico e antiscientifico, oppure, prudentemente, finge in modo esemplare di non vedere, promuovendo così in se stesso il compimento di una delle tante “banalità del male” di antica e futura memoria.
E intanto, il contesto sociale è dominato dalla impulsiva ossessione di ciò che secondo sondaggio “pensano gli altri”, che per qualcuno diventa uno status così disagevole da essere degno di diagnosi. Una vera scadente condizione che rende ancora più fragili gli animi già fiaccati dal mancato esercizio costruttivo del senso di responsabilità (anche istituzionale), vedendo negli “altri”, con timoroso rispetto, dei giudici implacabili, che sono a determinare chi va innalzato e posto sull’altare della fama e chi invece finisce bruciato nel rogo dell’infamia (o cosi vorrebbero far credere ai più).
Un’ansia di approvazione che tiene quasi tutti inchiodati al loro posto: parte delle istituzioni e del mondo medico, entrambi alla ricerca di una identità persa nell’aver accettato di ossequiare il non ossequiabile; e gli stessi malati, che in molti casi, non sapendo più cosa fare, smarriti e confusi, invece di rivendicare la propria centralità nella cura, restano travolti come spettatori passivi.
Tutti un po’ come i capponi di Renzo, direbbero alcuni endocrinologi illuminati, che continuano a beccarsi fra di loro (sui social, nella vita, ecc.), mentre la pentola è già sul fuoco e la storia va avanti.
In questo panorama miserrimo, serve una nuova alleanza, non solo tra le istituzioni e i cittadini, ma tra il medico e il malato e tra i medici e la loro coscienza, nonché tra la singola persona e il proprio diritto a una medicina che non sia ridotta semplicemente a “farmaco”, ma rimanga scienza clinica sistemica, applicata alla vita e alla cura individuale. Un primato che il malato deve imparare a pretendere e che solo il vero medico conosce esercitandolo ogni giorno; e che non è un “prodotto” da vendere al miglior offerente, sia pur attraverso la lottizzazione dei posti della commissione più rivendicata.
Tutti ovviamente dimentichi del significato vero della parola “servizio”.
È un po’ come la libertà di opinione, che non equivale alla libertà di menzogna. Ma neanche alla libertà di maldicenza. Perché la libertà di menzogna e quella di maldicenza non sono tra quelle rivendicabili . Da nessuno.
È bene che lo ricordino soprattutto quelli che ogni giorno, di questi giorni, mentendo, dicono “male” degli altri, non rendendosi conto che, di fatto, con il loro apparente successo hanno già ben bollato a vita se stessi .